Ho difficoltà a scrivere, ultimamente, e anche a ricordare – ma ho deciso che da qualche parte devo cominciare, o meglio, ricominciare. Che ...
Ortigia, un'ode ai dettagli
Il buon proposito della settimana è quello di tornare a scrivere. Il buon proposito del weekend era stato fare qualcosa di bello e buono per...
Verezzi, a spasso nel passato
Qual è il vostro animale preferito? Il mio, forse ormai lo avrete intuito, è il gatto – e lo è, in realtà, non perché, come pensano ...
Berna: la relatività degli orsi, del potere e del tempo
Qual
è il vostro animale preferito?
Il
mio, forse ormai lo avrete intuito, è il gatto – e lo è, in realtà, non perché,
come pensano i più, sia morbido e cuccioloso; ma per come sa bilanciare in
maniera perfetta la tenerezza con la crudeltà, la buffoneria con l’eleganza,
l’indole casalinga con quella selvatica, l’indipendenza con la gelosia
patologica. I gatti sono creature complesse: peluche assassini, un po’ ninja e
un po’ divi – ed è questo che amo di loro. Nonché il fatto che abbiamo alcuni
tratti in comune: non sono né ninja né diva, ahimè; però sono indipendente,
solitaria, amo le cose scomode ed ho un’attitudine giudicante nei confronti
della maggior parte dell’umanità.
Chi era Walther von der Vogelweide ? Probabilmente il suo nome non vi dirà molto, e magari starete facendo anche un po’ fatica a pronunciarl...
Klausen - sulle tracce di Walther
Chi era Walther von der Vogelweide? Probabilmente il suo nome non vi dirà molto, e magari starete facendo anche un po’ fatica a pronunciarlo, mentre lo leggete e provate a sillabarlo per vedere se vi si accende qualche campanello in qualche recondito ed impolverato cassetto della memoria. Però, se siete stati a Bolzano, sarete sicuramente passati in una piazza a lui dedicata, dal momento che è quella principale del capoluogo altoatesino – solo che hanno pensato bene di denominarla semplicemente “piazza Walther”: un po’ perché avranno giustamente dedotto che i non nativi di lingua teutonica avrebbero avuto qualche difficoltà nel dare indicazioni; un po’ perché da quelle parti con il caro vecchio Walther c’è una certa confidenza, e viene spontaneo chiamarlo per nome.
Il mio ufficio, dovete sapere, è disseminato di un numero abbastanza ingiusto di poster e totem di meravigliose spiagge tropicali, con le ac...
Nosy Iranja e il lavoro dietro le quinte dei pesci pappagallo
Il mio ufficio, dovete sapere, è disseminato di un numero abbastanza ingiusto di poster e totem di meravigliose spiagge tropicali, con le acque turchine e la sabbia di borotalco: per mia fortuna sono più attirata dalle brughiere selvagge e dalle scogliere tempestose; tuttavia ammetto che a volte dover lavorare di fronte a questi panorami idilliaci sia per certi versi un po’ crudele – ma, del resto, questo facciamo. Nel senso che vendiamo viaggi, intendo, non nel fatto di essere crudeli: se vendessimo prosciutti e avessimo le pareti tappezzate di foto di rosei maialini, allora quello sì che sarebbe crudele.
Ma come al solito sto divagando.
Quello che volevo dire era che, fra queste foto esotiche, ce n’è sempre stata una che mi è rimasta impressa più delle altre: si trova sulla porta di uno degli stanzini in cui ci si può rinchiudere per telefonare, o per pensare in santa pace quando attorno c’è troppo rumore – e raffigura un isolotto circondato da un mare azzurrissimo e collegato alla terraferma da una striscia di sabbia talmente candida da sembrare finta.
Ecco, quell’isolotto si chiama Nosy Iranja e si trova in Madagascar – ma io non lo sapevo.
Mantova è una città anfibia. Il suo lato migliore, quello che se, fosse una ragazza con mire rapaci nei confronti di un pretendente elusiv...
Mantova: girl power, acqua e metafore
I dominicani ballano. Sempre. Anche il personale di sala che ti accoglie nei ristoranti del resort, mentre aspetta davanti alla porta che ...
All'isola di Saona ci hanno girato “Laguna Blu” , il film dei primi anni ’80 che è servito per realizzare, tramite immagini patinate d...
Saona, le regole del reggaeton e delle finte isole deserte
All'isola di Saona ci hanno girato “Laguna Blu”, il film dei primi anni ’80 che è servito per realizzare, tramite immagini patinate degne dello spot di un bagnoschiuma, la comune fantasia erotica di naufragare su un’isola deserta, ovviamente tropicale e bellissima, in compagnia dell’uomo (o donna) dei nostri sogni – ovviamente biondo e bellissimo.
Conoscete i Nanowar of Steel ? Sono un gruppo metal italiano, dalle sonorità power metal anni ’80 e dai testi brillantemente demenziali: f...
Bayahibe - un Gatto Nero (vikingo) ai Caraibi
Conoscete i Nanowar
of Steel? Sono un gruppo metal italiano, dalle sonorità power metal anni
’80 e dai testi brillantemente demenziali: fanno geniali parodie di brani
metallari di grande successo, mescolando con abile sarcasmo tutti i cliché del
genere. Di recente si sono anche lanciati in qualche commistione, facendo
satira anche su altri generi musical: “Norwegian
reggaeton” mischia gli stereotipi della musica caraibica con quelli del
metal scandinavo, ipotizzando come si potrebbe trovare un cuore dark, amante
delle tenebre e delle atmosfere fredde e malinconiche, in vacanza in un
paradiso tropicale dove il divertimento è d’obbligo e tutti si dimenano in
spiaggia al ritmo della rumba fino al mattino. Beh, in realtà, a quanto pare,
il nostro eroico metallaro non si troverebbe poi tanto male, stando alla loro
versione dei fatti, ma si lancerebbe in un ammirevole tentativo di integrazione
che sfocia in un curioso mix di vida loca, tombe profanate, foche e rumba.
Siena per me è stato un incontro casuale, e, al tempo stesso, cercato da tempo: potrebbe suonare come una contraddizione, ma siamo in ques...
Lettera d'amore a Siena
Da Udine non ci si passa per caso – questo lo dicono tutti, compresa la geografia. La città friulana non si trova lungo comuni traiettorie ...
Udine, alla ricerca di quello che conta
Da Udine non ci si passa per caso – questo lo dicono tutti, compresa la geografia. La città friulana non si trova lungo comuni traiettorie di passaggio, e, quindi, se la si vuole visitare, o ci si va apposta, oppure bisogna inserire una deviazione all’interno del proprio itinerario. È un po’ come se ti dicesse “Se ti fa piacere la mia compagnia devi dimostrarmelo, altrimenti io me ne sto anche bene per conto mio”. Già per questo motivo mi è simpatica, dunque.
Questa è la storia di un’altra fuga. Di quelle che ogni tanto faccio, quando ho bisogno di spostare il focus: è quasi una procedura di evacu...
Perché Cremona piacerebbe a Dan Brown
Questa è la storia di un’altra fuga. Di quelle che ogni tanto faccio, quando ho bisogno di spostare il focus: è quasi una procedura di evacuazione – io me ne vado altrove, la mia testa viene via con me ed abbandona quel posto complicato e un po’ venefico in cui aveva finito per intrappolarsi da sola, come quando nel sonno ci si attorciglia nelle coperte e poi si fa fatica a liberarsi. Funziona come quando si aprono le finestre, e si cambia l’aria: forse delle procedure di evacuazione ha l’emergenza, ma assomiglia di più ad un rituale di purificazione.
Cremona doveva essere in compagnia, quel
giorno, ma è stata in solitaria: non importa, non ho ancora deciso quale delle
due modalità funzioni meglio in questi casi – ma probabilmente il “meglio” è
semplicemente quello che decidiamo di fare con ciò che abbiamo a disposizione,
prendendone gli aspetti migliori, godendo di quel che si può godere, come
quando trovi un frutto ammaccato e decidi di tagliargli via la parte marcia e
mangiare il resto, che è buono lo stesso.
Lo volevo fare, prima o poi. Scrivere di questo anno stranissimo, intendo, di quello che ha significato, di quello che ha tolto e di quell...
Mi manca viaggiare (al di là di ciò che è ovvio)
Lo volevo fare, prima o poi. Scrivere di questo anno stranissimo, intendo, di quello che ha significato, di quello che ha tolto e di quello che ha dato - soprattutto, di quello che ha cambiato. Mi ero ripromessa di farlo quando tutto sarebbe finito, perché i bilanci vengono meglio quando guardi le cose da lontano, quando in un certo senso non ti appartengono più - e perché l'emotività non è mai un buon giudice. Ma questa era un'illusione ingenua dei primi tempi: quando pensavamo di restare chiusi in casa qualche mese, per poi tornare, festosi e sollevati, alla normalità di prima; quando con le mie colleghe ci dicevamo che a maggio avremmo preso un volo per le Maldive, per festeggiare la fine di un progetto impegnativo e di questo incubo. Era un pensiero ingenuo, ora lo sappiamo - però era un bel pensiero. Ora quel che sappiamo è che anche questa fase sarà come tutte le fasi di cui si compone la vita - e che anche lei non terminerà mai con uno strappo netto e liberatorio; ma sarà, piuttosto, uno strascico lungo e vischioso, e, soprattutto, una volta che sarà finalmente sbiadito, non saremo più uguali a come eravamo prima che cominciasse. E' un po' come succede con le tempeste, o i cicloni - ma questo l'hanno già detto Murakami e Pieraccioni, e non mi voglio ripetere.
Non amo "fare cose" a Capodanno. Non amo Capodanno, fondamentalmente. Mi piace fare bilanci di quel che è stato, e ammetto di ess...
A Modena, in fuga dal Capodanno
Non amo "fare cose" a Capodanno.
Non amo Capodanno, fondamentalmente. Mi piace fare bilanci di quel che è stato,
e ammetto di essere una persona che vive nel passato: non lo trovo un difetto,
se serve per imparare ed evolvere, per emanciparsi dalle zavorre che
alimentiamo da soli. Con il futuro però mi mantengo neutrale: è imprevedibile
come una belva lasciata libera, e ho sempre fiducia nei suoi confronti - ma non
credo negli imbonimenti fatti di fuochi d'artificio, né negli esorcismi a suon
di petardi; e secondo me nemmeno lui.
"Cosa fai a Capodanno?" è sempre una domanda a cui vorrei
non dover rispondere. A cui mi piacerebbe rispondere con quello che vorrei non
dover fare - tipo divertirmi per forza, perché il rumore, di solito, non mi
diverte mai, e la folla, se finisce per essere anonima, mi mette malinconia.
Vorrei che fosse legale poter non fare nulla, a Capodanno.
Poiché non lo è - ho deciso, quest'anno scappo.
Si può davvero scappare?
No, però forse lo si può circumnavigare, scivolandogli di fianco senza dover
rendere conto a nessuno.
Viaggiando, quindi.
Che cos’è una bugia, in fin dei conti? Qualcosa di non vero, questo è ovvio. Ma, forse, più che cosa sia la bugia, dovrebbe contare il motiv...
Santillana del Mar, bugie e verità
Che cos’è una bugia, in fin dei conti? Qualcosa
di non vero, questo è ovvio. Ma, forse, più che cosa sia la bugia, dovrebbe
contare il motivo per cui viene detta: non tutte le bugie hanno come scopo
l’inganno e la manipolazione - ci sono bugie bianche che vengono dette per non
ferire; ci sono omissioni di verità scomode e deleterie, che qualche
oltranzista della morale ritiene di dover comunque classificare fra le
menzogne; e ci sono bugie che, più che per mistificazione, vengono dette per
scherzo, per presa in giro più o meno bonaria – e boccalone tu che ci caschi.
Il sarcasmo stesso può essere erroneamente scambiato per bugia, da chi non è in
grado di capirlo.
A Èze ci siamo andate che era gennaio – io & Tabby Cat, ma era un po’ come se fosse primavera, e questa escapade in Costa Azzurra era d...
Èze - nidi d'aquila (o forse di cuculi)
A Èze ci siamo andate che era gennaio – io &
Tabby Cat, ma era un po’ come se fosse primavera, e questa escapade in Costa Azzurra era diventata anche una sorta di fuga
dall’inverno, dal freddo nelle ossa, dai pensieri bui. Èze è stata una
decisione estemporanea: ce l’ha suggerito la mia amica Monica, che siamo andate
a trovare a Mentone il giorno prima – è un nido d’aquila, ci ha detto, è una
chicca medievale. “Nido d’aquila” non
l’ho mai sentito dire, mi fa venire in mente un film, ma non un film vero – un
film che mi sono inventata io adesso sul momento, una specie di mix fra “Là dove osano le aquile” e “Qualcuno volò sul nido del cuculo”: e
lo sappiamo tutti benissimo che i cuculi non fanno il nido ma vanno a
depositare il loro uovo nel nido di altri uccelli – e se fosse stato proprio un
cuculo ad osare avvicinarsi ad un nido di aquila? E come crescerebbe un cuculo,
che è un uccello abbastanza bruttino e sgraziato, se venisse allevato da delle
aquile? Magari complessato, o, magari, al contrario, se i suoi genitori aquila
gli avessero pompato l’autostima all’inverosimile, facendogli credere di essere
un’aquila anche lui, sarebbe diventato uno di quei personaggi insopportabili
che si atteggiano molto al di sopra della loro reale sostanza. Insomma, ne
verrebbe fuori un film bellissimo – una sorta di antitesi ai libri di Anthony
De Mello: niente aquile che si credono polli, solo cuculi che si credono
aquile.
Quello che mi aveva colpita di Malta è stato che non era uguale a nessun altro posto che avessi mai visto prima di allora. Malta è un’isola ...
Mdina, il cuore antico di Malta
Quello che mi aveva colpita di Malta è stato che
non era uguale a nessun altro posto che avessi mai visto prima di allora. Malta
è un’isola minuscola, a ben vedere, ha un diametro di appena 20 kilometri,
eppure in questo suo sottile lembo di terra che galleggia nel Mediterraneo, ci
sono condensati tanti mondi diversi – tanto che la loro mescolanza, la loro
convivenza, in orizzontale nello spazio e in verticale nel tempo, in questo
fazzoletto ha creato un mondo tutto nuovo, un misto fra Medioriente, Italia del
Sud ed Inghilterra.
La città fortificata di Mdina è il cuore antico
di questo strano bazar di mondo, e racchiude fra le sue spesse mura color
avorio l’essenza di questa sfumatura unica che hanno assunto le diverse anime
che hanno originato Malta quando si sono fuse insieme. Si trova sopra
un’altura, domina come una sentinella tutta l’isola ed è nata così – come una
fortezza: già i Fenici l’avevano concepita in questo modo, e i Romani e gli
Arabi che si sono poi susseguiti nel suo possesso non hanno fatto altro che
incoraggiare questa sua natura, renderla sempre più inespugnabile, sempre più
guerriera. Nel Medioevo diventa il centro di potere principale dell’isola, la
Città Notabile, residenza di tutta l’aristocrazia e sede del Consiglio. Anche
il potentissimo Ordine cavalleresco di San Giovanni ne fa il suo centro
nevralgico – finché un terremoto nel XVII secolo non la danneggia e spinge
tutti gli stakeholders degli affari
maltesi a spostarsi altrove, a La Valletta e in altre città che hanno uno
sbocco sul mare. Mdina dunque pian piano viene abbandonata, va in pensione e
diventa solamente un luogo di villeggiatura per l’aristocrazia. Oggi conta
appena 300 abitanti e, ai suoi antichi soprannomi deferenti da nobile
guerriera, ha sostituito quello di Città
del Silenzio – che sa forse di fantasmi e cose che non ci sono più, ma che
le rimane come un diadema del suo splendore passato, del suo fascino misterioso
ricco di segreti e bisbigli.
Il fascino di Helsinki è un fascino da introversa. Non è una città che si faccia notare: non ha monumenti sontuosi, non ha un cuore antico c...
Helsinki e ciò che è sostanza
Il fascino di Helsinki è un fascino da
introversa. Non è una città che si faccia notare: non ha monumenti sontuosi,
non ha un cuore antico con vicoli pittoreschi – sostanzialmente, non ha
qualcosa, sulla superficie, che sia unico e distintivo. La sua personalità sta
tutta nell’atmosfera, più che nell’apparenza: è una capitale, ma circondata da
isolette, con il mare che fa capolino all’improvviso, come una sorpresa, da
qualunque parte ci si trovi. Ha un’eleganza discreta, fatta di colori tenui e
sobri, di linee neoclassiche e, ogni tanto, qualcuna che vira inaspettatamente
verso qualche voluta art nouveau –
austera, ma con grazia, con delicatezza.
È una città che ama il verde, il silenzio,
l’armonia del design. È una città che forse non ti fa innamorare subito: te ne
vai con una sensazione neutrale, dicendoti che non ti è dispiaciuta ma nemmeno
ti è entrata nel cuore – eppure continui a pensarci. Ed è difficile dire che
cosa esattamente ti abbia colpito: ha più a che fare con una sensazione che non
con una lista di cose – la giri relativamente in fretta se ci vai come turista;
però avresti voglia di tornarci, e ti dici persino che è un posto in cui non ti
dispiacerebbe vivere. Il fascino introverso funziona così, di solito: non
colpisce sempre e non colpisce tutti, ma, quando lo fa, va a toccare corde
profonde, e finisce per legarti in un modo che razionalmente non saresti in
grado di spiegare. Per le persone ha a che fare con gli occhi, con la luce che
hanno e con le cose che dicono che le parole non riuscirebbero a tradurre; per
le città invece ha a che fare con l’aria che respiri camminando per le loro
vie, con l’atmosfera che le scorre attraverso, che può essere un’onda o una
musica. In entrambi i casi, alla fin fine, ciò che conta è come sanno farci
sentire.
In realtà, quando dico che la tafofilia è una predilezione un po’ di nicchia, che si è sempre un po’ titubanti a tirare fuori con persone c...
Pére-Lachaise, la rock star dei cimiteri
In realtà, quando dico che la tafofilia è una predilezione un po’ di
nicchia, che si è sempre un po’ titubanti a tirare fuori con persone che si
conoscono poco bene per timore di apparire macabri o necrofili – mi dimentico
sempre di lui, che, se a mio modesto parere può anche non essere il Re assoluto dei cimiteri monumentali, perlomeno ne è sicuramente il Presidente Esecutivo:
il Pére-Lachaise, ovviamente. Il celebre luogo di sepoltura parigino conta
infatti una media di tre milioni di visitatori l’anno – e questi numeri fan sì
che si sieda abitualmente sul podio delle attrazioni più gettonate della
capitale francese, assieme alla Tour Eiffel e alla cattedrale di Notre-Dame,
solitamente sorpassando addirittura Montmartre (secondo me è colpa di tutti
quei gradini). Insomma, una vera e propria rockstar all’interno dell’universo
introspettivo e notturno dell’arte funeraria, che di solito è appannaggio
esclusivo di palati a proprio agio con le ombre e con l’accettazione della
parte dolorosa della vita – ma che, in questo eccezionale caso, ha saputo
evidentemente in qualche modo estendersi anche ad un pubblico più ampio.
La mia anima statistica sarebbe ora curiosa di
sapere quale sia la motivazione che porta un così alto numero di turisti a
varcare i cancelli del Pére-Lachaise, per capire quale sia il fattore che
riesca a renderlo così popolare rispetto ai suoi colleghi cimiteri monumentali
altrettanto ricchi di arte e fascino ma decisamente più snobbati. Vengono tutti
solamente per visitare la tomba di Jim Morrison (ve l’avevo detto che era una
rockstar), magari non degnando nemmeno di uno sguardo tutte le altre
incantevoli opere che si possono incontrare inoltrandosi di appena qualche
vialetto più in là? Oppure è una pura e semplice questione di marketing – e
anche Highgate, se fosse più pubblicizzato, diventerebbe più gettonato del Big
Ben?
Non lo so – però quello che posso dire è che,
sicuramente, il tratto distintivo del Pére-Lachaise è quello di portare, fra i
suoi silenziosi viali alberati e la sua aura malinconica, una sfumatura
romantica, a volte declinata anche su tonalità molto sensuali, che può
decisamente appartenere soltanto a Parigi.
Questa volta, invece, è proprio da un tramonto che partiamo. Perché Nizza, questa volta, è stata il nostro Piano B: dovevamo essere alt...
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Were this world an endless plain, and by sailing eastward we could for ever reach new distances