Che cos’è una bugia, in fin dei conti? Qualcosa di non vero, questo è ovvio. Ma, forse, più che cosa sia la bugia, dovrebbe contare il motiv...

Santillana del Mar, bugie e verità Santillana del Mar, bugie e verità

Santillana del Mar, bugie e verità

Santillana del Mar, bugie e verità


Che cos’è una bugia, in fin dei conti? Qualcosa di non vero, questo è ovvio. Ma, forse, più che cosa sia la bugia, dovrebbe contare il motivo per cui viene detta: non tutte le bugie hanno come scopo l’inganno e la manipolazione - ci sono bugie bianche che vengono dette per non ferire; ci sono omissioni di verità scomode e deleterie, che qualche oltranzista della morale ritiene di dover comunque classificare fra le menzogne; e ci sono bugie che, più che per mistificazione, vengono dette per scherzo, per presa in giro più o meno bonaria – e boccalone tu che ci caschi. Il sarcasmo stesso può essere erroneamente scambiato per bugia, da chi non è in grado di capirlo.


In Italia, come emblema del bugiardo per eccellenza, abbiamo Pinocchio – più qualche altro personaggio del mondo della politica o dello spettacolo, in cui, tuttavia, mentire è prassi talmente comune, che difficilmente si può venire ricordati per quello. In Spagna, invece, hanno un piccolo borgo medievale sulla costa cantabrica.


Santillana del Mar, si dice, è la Città delle Tre Bugie. Ora, a quale delle sopraccitate categorie appartengano queste menzogne, non saprei bene dirlo; però, a quanto pare, risiedono tutte nel suo nome: tanto per cominciare, Santillana non è affatto santa – nessuna figura poi canonizzata è passata da queste parti, che si sappia; anzi, la sua storia è più che altro legata ad Inquisizione e processi per stregoneria. Una città delle streghe, dunque, più che una città santa. E già questo è un punto a suo favore. Poi, se vogliamo metterci a discutere su come molte delle donne che sono state accusate di essere streghe abbiano in realtà fatto, in vesti di guaritrici e conoscitrici dei segreti della natura, più bene all’umanità che molti santi chiusi nella loro cella a pregare – io sono qui: è un dibattito che affronto sempre molto volentieri.


Ma prima veniamo alla seconda bugia – che è ovviamente relativa al fatto che il mare qui non ci sia. E questo, in verità, mi incuriosisce: voglio dire, la presenza o meno del mare non è esattamente una caratteristica su cui sia facile mentire e farla franca – o c’è o non c’è, non puoi fingere il contrario, e non puoi nemmeno nasconderlo sotto un tappeto o dietro qualche palazzo. Poi penso a Novi Ligure che in realtà è in Piemonte, o al mio paesello natio Buttigliera Alta, che, di fatto, con i suoi circa 400 metri sopra il livello del mare, dubito potrebbe mettersi a giocare a basket, nonostante ciò che autodichiara nel nome – quindi deduco che, probabilmente, darsi aggettivi o toponimi poco veritieri, è un vezzo più diffuso di quanto si pensi fra le città, e non è giusto additare la povera Santillana come l’unica bugiarda. Poi, che so, anche se oggi non esiste nessun altro comune in Spagna che si chiami Santillana, per cui il nostro abbia sentito la necessità di distinguersi specificando che lui è “del Mar”, magari un tempo c’era – magari era un minuscolo paesetto sperduto nelle lande bruciate dal sole della Meseta, quindi, visto che nella vita tutto è sempre relativo, questo comune di Cantabria era sicuramente più vicino al mare rispetto a lui.


La terza bugia consiste nel fatto che il nostro borgo non sia neppure troppo “in piano” (“llano” in spagnolo): è immerso nel sinuoso saliscendi delle verdi colline cantabriche, che si estendono all’infinito e mi ricordano un po’ le Langhe (non per nulla anche qua si coltiva un vino eccezionale) – quindi no, piano non è piano; anche se magari possiamo parlare di un mare verde e giustificare in parte la seconda bugia. Peraltro, per la cronaca, l’etimologia della regione Cantabria deriva da una locuzione celtica che significa “territorio degli uomini che vivono in montagna”: direi che non ci sono proprio scuse. Però – non so: anche qui non mi sento di condannare completamente la povera Santillana. Anche questa è una menzogna che mi suona essere dettata più dalla modestia e dall’autoironia: voler ingannare qualcuno dicendo che sei piatta quando invece sei in mezzo alle colline è un po’ come dirgli che sei alta 1.70 mt indossando un tacco 12 – non è solo un segreto di Pulcinella, è proprio ovvio che sia il contrario.


In ogni caso, a me in realtà importa molto poco se Santillana sia o meno una bugiarda compulsiva: santa o strega, piana o in salita, mare o campagna – dicono che sia bellissima, ed è questo il motivo per cui la voglio visitare. Jean-Paul Sartre l’ha definita nientemeno che “il villaggio più grazioso di Spagna”, e, con una sponsorship così esistenzialista, non può che stuzzicare il palato anche a me – nonostante le foto che avevo cercato on line prima di visitarla non mi avessero colpita particolarmente.

Ma, appena scendo dall’autobus e mi addentro fra i suoi vicoli di pietra, rigorosamente in salita, scopro una cosa: che Santillana non è fotogenica, perché è molto, incredibilmente più bella dal vivo che non in quegli scatti che avevo trovato cercandola su Google. Un po’ come alcune persone, a cui la fissità di un fotogramma non sempre riesce a rendere giustizia, perché non è in grado di cogliere tutte le sfaccettature, il flusso continuo e vivace, contraddittorio e ricchissimo, del loro essere. E, secondo me, queste persone, quando mentono, lo fanno essenzialmente con autoironia spesso incompresa – perché, sostanzialmente, non hanno bisogno di farlo per altri motivi.


Non ho idea se Santillana sia o meno il villaggio più grazioso di Spagna – ma sicuramente è il più grazioso fra quelli che ho visitato io. Chissà se il mio perimetro di riferimento è più o meno ampio di quello del filosofo francese. Ma non importa, non è una gara: Santillana è bella – e pazienza se sia o non sia “la più bella”, è bella e basta.

 

È uno scrigno di tesori medievali che si snodano lungo due strade principali, entrambe lastricate in pietra ed entrambe completamente pedonali: le due direttrici si diramano ad ypsilon, dedicandosi ciascuna ad un’area di potere diverso – quello civile, con il Municipio, e quello religioso, con la Collegiata. La bellezza di Santillana ha diverse declinazioni: quella di case più semplici, di pietra e mattoni, che nascondono cortili fioriti e botteghe artigiane, negozi di antiquariato e distillerie di sidro; e quella di palazzi nobili, più antichi, contraddistinti da una sobrietà che non fa creare contrasti eccessivi con le dimore più umili, ma che comunque li denota – con gli stemmi in pietra calcarea delle famiglie che li abitavano, con l’austera eleganza di chi non ha bisogno di troppi fronzoli per esercitare il potere.


Qua e là lo sguardo si perde, va oltre: Santillana cresce in salita, e in ogni suo punto è possibile ammirare il paesaggio circostante – il mare verde e sereno delle colline cantabriche.


Le facciate di pietra sono abbellite da fiori e viti rampicanti: i colori non sono particolarmente vivaci, o forse è solo l’autunno che li ha smorzati, tirando fuori il lato malinconico della loro bellezza – che si sfuma con il color ocra della pietra con cui il paese è costruito, e si fonde con i raggi stanchi ed intensi del sole di novembre. Ad ogni balcone sono appese delle sfere fatte di ciuffi verdi di qualche pianta che le mie scarsissime conoscenze botaniche non sono in grado di identificare – o forse è anche questa una bugia: magari non è un pianta, magari è plastica, o sono capelli di strega; però è di sicuro una peculiarità – e, se Dublino è famosa per le sue porte colorate, Santillana meriterebbe di essere famosa per le palle verdi appese ai balconi. Ricordano vagamente una decorazione natalizia, ma declinata nella quotidianità di tutti i giorni che non sono Natale: e sembra un buon consiglio motivazionale – fingere che sia sempre Natale. Non per essere più buoni ma per sperare che ci possa essere qualcosa di speciale.

 

Mangiamo nel cortile di Casa Miguel¸una delle taverne più gettonate di Santillana, che però quel giorno era fortunatamente poco caotica. Ci accomodano ad un tavolo sotto un patio di uva rampicante, in un angolo c’è un complicato congegno dall’aria un po’ steam punk che spilla sidro: fa in modo che il fiotto di bevanda cada dall’alto, come fanno i maestri delle cerimonie del tè. Una cerimonia del sidro.


Ordiniamo un tagliere gigante, con formaggi stagionati, salumi speziati, composta di mele, acciughe cantabriche, peperoni sott’olio. Chiedo un bicchiere di tinto della casa, perché per me poche cose nella vita sono imprescindibili – ma fra queste c’è sicuramente il fatto che un tagliere vada sempre tassativamente accompagnato da un calice di vino rosso.

Arriva il mio bicchiere, che mi dicono essere pregiato rioja – ma, incredibilmente, non solo è pieno fino all’orlo, come lo servirebbe mio padre durante i nostri pranzi domenicali, e non come farebbero in qualsiasi locale del centro, in cui i calici sono sempre riempiti soltanto a metà con la scusa che il vino deve respirare; ma, quando paghiamo il conto, scopriamo anche che costava meno dell’acqua.

 

La Collegiata di Santa Juliana è all’apice della salita – come se fosse il suo culmine, come se fosse la sua meta.

È un complesso religioso costruito fra l’VIII ed il IX secolo per ospitare le reliquie di Santa Giuliana di Bitinia, una martire turca – che, non si sa bene tramite quale strano mercanteggio, si è deciso di portare qui in villeggiatura post mortem. Successivamente l’edificio riceve un upgrade e diventa un monastero per monaci agostiniani, ampliandolo con una chiesa, una sala capitolare ed un chiostro dotato di sarcofagi e capitelli istoriati. La facciata è rustica, anch’essa della stessa pietra color ocra di cui tutta Santillana è fatta: lo stile è romanico antico, con un muro di archivolti coronato da figure in rilievo che rappresentano oscenità – probabilmente come monito a non peccare, anche se, forse, invitare a non commettere un peccato mostrandolo nel dettaglio, è un po’ come quando si dice ad un bambino di non fare qualcosa e inevitabilmente la fa subito.

Di nuovo il sarcasmo incompreso di Santillana, suppongo – che, come dicevamo, del resto tanto santa non lo è mai stata.

O invece sì.


Santa Juliana. Come lo pronuncereste, se doveste dirlo molte volte, parlando velocemente come fanno gli spagnoli, e magari con la lingua un po’ impastata dopo una cerimonia del sidro e/o un calice abbondante di vino rosso che avete preso per risparmiare, dato che costa meno dell’acqua?

Magari… Santillana?

 

Del resto c’è una cosa sulle bugie che nessuno vuole mai ammettere: che contengono sempre un fondo di verità.

Ora non mi resta che trovare il mare.


2 commenti:

  1. Sciogliere misteri grazie a calici di vino riempiti "alla maniera di papà" mi pare un ottimo metodo! �� "In vino veritas", sia quando scioglie la lingua che quando la impasta ha ha ha...

    Il mare l'hai poi trovato? Forse quella è proprio fantasia, o furberia: se sai di non essere fotogenica (e poi in passato le foto per pubblicizzarsi neanche esistevano), farti chiamare in modo affascinante è un buon escamotage per attirare l'attenzione! "Del mar" mi pare sufficientemente affascinante.

    Ciao Serena! :-)

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    Risposte
    1. Ciao Anna!!
      Il vino è sempre un ottimo metodo, soprattutto quando è rosso ed intenso.
      Il mare non c'è - ma, del resto, il mare è anche uno stato d'animo e tutti noi ce ne portiamo sempre un pezzo dentro ;)

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