Il mio ufficio, dovete sapere, รจ disseminato di un numero abbastanza ingiusto di poster e totem di meravigliose spiagge tropicali, con le ac...

Nosy Iranja e il lavoro dietro le quinte dei pesci pappagallo Nosy Iranja e il lavoro dietro le quinte dei pesci pappagallo

Nosy Iranja e il lavoro dietro le quinte dei pesci pappagallo

Nosy Iranja e il lavoro dietro le quinte dei pesci pappagallo

Il mio ufficio, dovete sapere, รจ disseminato di un numero abbastanza ingiusto di poster e totem di meravigliose spiagge tropicali, con le acque turchine e la sabbia di borotalco: per mia fortuna sono piรน attirata dalle brughiere selvagge e dalle scogliere tempestose; tuttavia ammetto che a volte dover lavorare di fronte a questi panorami idilliaci sia per certi versi un po’ crudele – ma, del resto, questo facciamo. Nel senso che vendiamo viaggi, intendo, non nel fatto di essere crudeli: se vendessimo prosciutti e avessimo le pareti tappezzate di foto di rosei maialini, allora quello sรฌ che sarebbe crudele.

Ma come al solito sto divagando.

Quello che volevo dire era che, fra queste foto esotiche, ce n’รจ sempre stata una che mi รจ rimasta impressa piรน delle altre: si trova sulla porta di uno degli stanzini in cui ci si puรฒ rinchiudere per telefonare, o per pensare in santa pace quando attorno c’รจ troppo rumore – e raffigura un isolotto circondato da un mare azzurrissimo e collegato alla terraferma da una striscia di sabbia talmente candida da sembrare finta. 

Ecco, quell’isolotto si chiama Nosy Iranja e si trova in Madagascar – ma io non lo sapevo.

Quando ci sono andata, in un pomeriggio di agosto di un paio di anni fa, facendo prima un paio di soste per pacioccare lemuri e bere aperitivi in Mozambico, e siamo saliti fino in punta alla collina dell’isola principale per vedere Iranja dall’alto, con la sua striscia bianca come un cordone ombelicale che la tiene unita al blocco in cui ci trovavamo, ho avuto questa epifania: eccola, la foto che c’รจ nel mio ufficio.

Che di per sรฉ รจ un fatto un po’ peculiare, perchรฉ normalmente dovrebbe succedere che, mentre sei in ufficio, ti vengono in mente flash sulle vacanze, un po’ come capitava nella pubblicitร  di una nota compagnia di crociere di qualche anno fa – e non il contrario: ma, di nuovo, quando il tuo lavoro di fatto sono le vacanze degli altri, puรฒ capitare.

E, in ogni caso, direi che รจ meglio andare per ordine.


Nosy Iranja fa parte di un gruppo di isolette nel canale del Mozambico che si chiamano tutte “Nosy” – che in malgascio non significa “ficcanaso” come in inglese, bensรฌ, come si puรฒ intuitivamente capire, “isola”. Iranja perรฒ รจ l’unica della famiglia ad essere corallina, e quindi con la sabbia bianca – come se ci fosse uno speciale cromosoma recessivo che scorre nel sangue della stirpe Nosy che รจ riuscita a vincersi solo lei.

Che poi, in realtร  – vi siete mai chiesti da dove arriva la sabbia corallina?

Ecco, probabilmente questo รจ uno dei motivi per cui in linea di massima nella vita รจ sempre meglio non farsi troppe domande: voler sapere troppe cose, e ve lo dice una che ha un’irrinunciabile vocazione alla vivisezione spietata dei fatti, รจ quasi sempre una via certissima per diventare infelici. O perlomeno perennemente inquieti. O, come in questo caso, per rovinarsi un po’ la poesia – dal momento che, per dire le cose come stanno, la sabbia corallina รจ fondamentalmente un escremento.

รˆ infatti frutto dell’elaborazione del sistema digestivo del pesce pappagallo, che si nutre dei polipi di corallo estirpandoli dalla loro cavitร  con il suo becco, ma, cosรฌ facendo, rompe anche alcuni frammenti dello scheletro, che, sminuzzati, quando vengono espulsi, si accumulano creando, dopo tanto tanto tempo e dopo tanti tanti pesci che banchettano, queste distese candide e mozzafiato che tappezzano le pareti del mio ufficio.

Da quando ho saputo questa cosa, che รจ una di quelle tipiche cose che un po’ ti cambiano la percezione del mondo e della vita, il mio cervello rutila di riflessioni e domande: al di lร  di tutte le metafore forse un po’ scontate ma incredibilmente vere a cui il fatto si presta, che sono un po’ una versione tropicale del letame da cui nascono i fiori giร  cantato da De Andrรฉ – la prima cosa che mi viene in mente รจ che, per creare tutta questa meravigliosa sabbia bianca che si estende all’infinito affogandosi in una miriade di sfumature di blu, c’รจ voluto un lavoro incredibile di tantissimi intestini di pesci pappagallo, nonchรฉ il sacrificio di un numero ancora piรน elevato di polipi di corallo. E anche qui mi partirebbero delle metafore, ma mi trattengo – anche perchรฉ ancora piรน impellente mi sorge una domanda: ma per quale motivo il pesce pappagallo si chiama cosรฌ? Sรฌ, va bene, lo so: perchรฉ ha il becco. Perรฒ, ecco, chi รจ che ha stabilito che รจ il pesce a somigliare al volatile, e non viceversa? Solo perchรฉ uno vive sott’acqua e non lo si puรฒ vedere se non decidendo di immergersi, mentre l’altro svolazza chiassoso ovunque ti trovi e non puoi fare a meno di notarlo? Perรฒ mi pare un po’ ingiusto: voglio dire – guardate che cosa meravigliosa ha creato il pesce. Il pappagallo cos’ha fatto nella vita? Nulla, a parte ripetere in maniera anche un po’ improvvida le cose che sente in giro.

Se posso dire la mia, questo non mi sembra granchรฉ giusto – anche se, adesso che ci penso, mi vengono in mente un sacco di altri esempi simili sulla consueta solfa di come sapersi vendere meglio ed essere piรน visibili e chiassosi non necessariamente significa essere piรน virtuosi, ma spesso comunque assai piรน premiati di chi invece lavora tanto e bene nell’ombra. O sott’acqua.

Ecco, forse perรฒ era meglio che non ci pensassi – anche perchรฉ sarei in vacanze e quindi mi ero ripromessa di non perdermi in metafore esistenziali. E oltretutto, se vogliamo, in fin dei conti sarei qui per raccontarvi di un’isola, e non di uccelli fancazzisti e letame marino.

Nosy Iranja, dicevo, รจ davvero bella come la dipingono – o meglio, come la rappresenta la foto della cabina telefonica del mio ufficio. Come spesso succede alle cose belle, รจ anche incredibilmente apprezzata e, conseguentemente, affollata: se il pesce pappagallo non riceverร  mai gli onori della ribalta per il suo incredibile lavoro, perlomeno al frutto delle sue fatiche intestinali viene accreditata la giusta dose di gloria. รˆ un po’ come Van Gogh, ‘sto pesce pappagallo: pressochรฉ ignorato in vita ed ignaro di aver creato capolavori. Ma mi consolo, perchรฉ Van Gogh per questo motivo visse in povertร  e tristezza; il pesce pappagallo invece vive dentro un bellissimo mare turchese con scorte infinite di corallo per farsi scorpacciate epiche – e chi รจ piรน felice di lui?

Io, mi sa – non appena metto piede sulla cacca del pesce… ok, suona male: sulla sabbia bianca di quest’isola meravigliosa. C’รจ cosรฌ tanta bellezza attorno, di quel tipo di bellezza quasi accecante: non รจ solo l’intensitร  dei colori, calcata a volume altissimo (sรฌ, lo so che i colori non hanno un volume, ma concedetemi una metafora poetica per permettermi di ricompensare tutta la prosaicitร  escatologica di cui ho abusato finora); รจ la sensazione di essere in un luogo fuori dal mondo – o perlomeno in un punto del mondo completamente diverso da quello a cui siamo normalmente abituati. L’incanto รจ talmente ipnotico che riesco persino a smettere di pensare alla cabina telefonica del mio ufficio ed agli schiamazzi dei pappagalli. Infatti, per quanto mi riguarda, in questi casi, piรน che il termine “mozzafiato”, dovrebbero coniarne uno che dica “mozzapensieri”: il potere della bellezza non sta, secondo me, in quanto fiato ti fa trattenere dalla meraviglia (anche perchรฉ, fisiologicamente, si spera che la cosa non duri a lungo o rischierebbero di esserci conseguenze deleterie), bensรฌ in quanto a lungo riesce a farti smettere di pensare ad altro.

Nosy Iranja ha questo potere.

O forse dovrei usare il plurale, perchรฉ Nosy Iranja non รจ una ma doppia – un po’ come quelle coppie che si sentono talmente in simbiosi da crearsi un unico profilo su Facebook, ma decisamente piรน gradevole. Nosy Iranja Be รจ quella piรน grande ed abitata: Bruno, che si occupa della spiaggia del nostro resort (e che non si chiama veramente Bruno, ma cosรฌ si presenta ai clienti italiani, perchรฉ sostiene che il suo vero nome sarebbe per noi impronunciabile), si รจ prodigato ad insegnarci qualche parola di malgascio, e io purtroppo sono stata una pessima studente – perรฒ che “Be” significa “grande” รจ una delle poche cose che ricordo. Nosy Iranja Kely invece รจ il suo minuscolo satellite tidale, una piccola appendice coperta di palme e collegata all’isola madre da una lunga striscia di sabbia candida, che la marea di tanto in tanto inghiotte.

Ci bivacchiamo un po’, su questo cordone ombelicale corallino che รจ una striscia sottile di bianco accecante abbracciato dal blu. Stendiamo gli asciugamani, ci liberiamo dei vestiti per rimanere in costume, ungiamo di crema la nostra pelle pallida e ci lasciamo assorbire da questa bellezza abbacinante, da questa pace fagocitante. Camminiamo dentro l’acqua trasparente e sulla lingua di sabbia, finchรฉ non arriva la marea che se ne appropria e la nasconde, rendendo Kely inaccessibile e indipendente, un puntino verde a sรฉ stante, vicinissimo eppure lontano.

รˆ arrivato il momento di esplorare Be.

Entrare in contatto con l’Africa รจ sempre un’esperienza forte, per un occidentale privilegiato. รˆ un’esperienza che scatena una frotta di domande, la maggior parte delle quali non hanno una risposta. Eppure ti lasciano comunque una specie di retrogusto amaro, un fastidioso tarlo che assomiglia alla sensazione di essere inconsapevolmente seduti dalla parte del torto, e al tempo stesso di poter fare davvero poco per riuscire a rimediare, o anche solo a compensare in qualche misura.

Ci avevano detto di portare quaderni e matite per la scuola. Ci avevano anche detto di portare caramelle per i bambini, ma poi l’assistente ci aveva consigliato di non dargliele – perchรฉ lo zucchero puรฒ essere deleterio per chi non ha la possibilitร  di curare la propria igiene orale con regolaritร , nรฉ di accedere a cure dentistiche. Il mio pacchetto di caramelle alla frutta rimasto nello zaino ha l’ingombro di tutte le cose piรน o meno fortunate che finiamo per dare per scontate.

C’รจ una bambina con due codini minuscoli e un vestitino di pizzo piรน grande di lei che mi guarda con aria un po’ sospettosa. “Comment vous appelez-vous?” le chiedo, ma non mi risponde. Allora le sorrido soltanto. E questa volta mi regala il suo sorriso.

Tutto intorno ci sono bancarelle, donne che vendono vestiti colorati, teli ricamati, collane, semi di carruba, bacche di vaniglia. La famosa vaniglia del Madagascar – che perรฒ non รจ autoctona: era stata importata dal Messico, e inizialmente il tentativo si rivelรฒ un insuccesso, perchรฉ non c’era nessun insetto locale in grado di impollinare le orchidee caraibiche. L’impollinazione viene pertanto fatta a mano, motivo per cui la vaniglia malgascia รจ piรน cara – ma anche assai piรน pregiata. Ne compro una stecca: รจ molle, umida e profumata. Ci sono anche dei banchetti in cui le donne vendono biscotti e snack confezionati. Inizialmente non capisco, ma poi ce lo spiegano: sono per i bambini. Vendono ai turisti i biscotti affinchรฉ li diano ai bambini.

E lo so che non dovrei, ma mi domando tutto sommato che senso abbia che io mi riporti indietro le caramelle in Italia per rinchiuderle nella dispensa fino al prossimo Halloween, quando magari i figli dei miei vicini di casa le snobberanno a favore del cioccolato e delle brioches. Di bambini intorno ne vedo tanti, ci saranno a malapena un paio di caramelle a testa, non รจ un grave danno, giusto? Tiro fuori il pacchetto di soppiatto e comincio col darne una alla bambina vestita di pizzo che mi ha sorriso. Subito si avvicina un’altra bimba, piรน grande, che allunga la mano. Ne do una anche a lei. Prontamente la nasconde dietro la schiena e sorridendo allunga di nuovo la mano. Gliene do un’altra, e ne do un’altra anche alla bimba di pizzo anche se non la chiede. Arrivano altri bambini, ormai ne ho un nugolo intorno e distribuisco caramelle a tutti, finchรฉ uno di loro non mi strappa di mano il sacchetto e corre via. Gli altri lo inseguono subito e tentano di sottrarglielo. Si azzuffano. Ho scatenato una rissa con le mie caramelle. Interviene la maestra a separarli, confisca il sacchetto e mi guarda. Sospira, ma non dice nulla. Io mi sento un po’ scema.

Lo sono, fondamentalmente.

Camminando in salita fra le bancarelle, le tovaglie ricamate, le baracche e i bambini che si rincorrono, arriviamo fino alla sommitร  del cocuzzolo di Iranja Be. Da qui, fra gli alberi radi e l’erba bruciata dal sole, vediamo Iranja Kely in lontananza e l’acqua turchese che cela come un velo la lunga passerella di sabbia che le connette. Sarebbe questa la foto che c’รจ sulla cabina del mio ufficio, solo che adesso mi sembra tutto incredibilmente lontano.

Scendiamo lungo l’altro versante, dove c’รจ una piccola baia sabbiosa, circondata di terreno rossiccio e rocce grigie frastagliate. Mangiamo pesce alla griglia e beviamo rhum alla cannella. Un paio di barche beccheggiano ormeggiate a pochi passi dalla riva, in mezzo all’acqua verde. A parte il nostro gruppo non c’รจ quasi nessun altro. รˆ quasi come se fosse una parte piรน intima di Iranja Be, quella che esiste a prescindere, che si rivela quando ci si ferma, quella che scende piรน a fondo e che si lascia alle spalle le cabine telefoniche, i pappagalli che fanno rumore, le caramelle che non sai se dare e le domande che non hanno risposta. 

Non รจ che se le dimentichi – sa bene che esistono. Ma sa anche che, per poterle affrontare nel modo che magari non รจ giusto, ma che รจ il migliore che conosce, deve ogni tanto poter venire qui. A ricordarsi solamente del mare, della sabbia, delle pozze fra gli scogli, dell’acqua che sembra trasparente ma che poi si fonde assieme al cielo.



0 comments: