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Pére-Lachaise, la rock star dei cimiteri Pére-Lachaise, la rock star dei cimiteri

Pére-Lachaise, la rock star dei cimiteri

Pére-Lachaise, la rock star dei cimiteri


In realtà, quando dico che la tafofilia è una predilezione un po’ di nicchia, che si è sempre un po’ titubanti a tirare fuori con persone che si conoscono poco bene per timore di apparire macabri o necrofili – mi dimentico sempre di lui, che, se a mio modesto parere può anche non essere il Re assoluto dei cimiteri monumentali, perlomeno ne è sicuramente il Presidente Esecutivo: il Pére-Lachaise, ovviamente. Il celebre luogo di sepoltura parigino conta infatti una media di tre milioni di visitatori l’anno – e questi numeri fan sì che si sieda abitualmente sul podio delle attrazioni più gettonate della capitale francese, assieme alla Tour Eiffel e alla cattedrale di Notre-Dame, solitamente sorpassando addirittura Montmartre (secondo me è colpa di tutti quei gradini). Insomma, una vera e propria rockstar all’interno dell’universo introspettivo e notturno dell’arte funeraria, che di solito è appannaggio esclusivo di palati a proprio agio con le ombre e con l’accettazione della parte dolorosa della vita – ma che, in questo eccezionale caso, ha saputo evidentemente in qualche modo estendersi anche ad un pubblico più ampio.

La mia anima statistica sarebbe ora curiosa di sapere quale sia la motivazione che porta un così alto numero di turisti a varcare i cancelli del Pére-Lachaise, per capire quale sia il fattore che riesca a renderlo così popolare rispetto ai suoi colleghi cimiteri monumentali altrettanto ricchi di arte e fascino ma decisamente più snobbati. Vengono tutti solamente per visitare la tomba di Jim Morrison (ve l’avevo detto che era una rockstar), magari non degnando nemmeno di uno sguardo tutte le altre incantevoli opere che si possono incontrare inoltrandosi di appena qualche vialetto più in là? Oppure è una pura e semplice questione di marketing – e anche Highgate, se fosse più pubblicizzato, diventerebbe più gettonato del Big Ben?

Non lo so – però quello che posso dire è che, sicuramente, il tratto distintivo del Pére-Lachaise è quello di portare, fra i suoi silenziosi viali alberati e la sua aura malinconica, una sfumatura romantica, a volte declinata anche su tonalità molto sensuali, che può decisamente appartenere soltanto a Parigi.

 

Tomba di Victor Noir (immagine dal web)

Partiamo ad esempio dallo sfortunato Victor Noir, semisconosciuto da vivo ma divenuto celebre suo malgrado da morto: Victor era un giovane giornalista parigino, che in realtà si chiamava Yvan Salmon (e, va bene, probabilmente lo pseudonimo gli donava un carisma più misterioso di quanto avrebbe mai potuto farlo il suo nome di battesimo) – e che un giorno andò in visita da Pierre Bonaparte, cugino dell’allora imperatore Napoleone III, per sfidarlo a duello per conto del suo capo, che si era ritenuto offeso dal nobiluomo. Ambasciator non porta pena, si dice, ma il compito di Victor ebbe per lui delle conseguenze tutt’altro che neutre: Bonaparte era infatti un personaggio abbastanza turbolento, già con un paio di condanne a morte sul groppo da cui era rocambolescamente fuggito, e, quando Victor andò a portargli il guanto della sfida, gli scappò, in maniera più o meno maldestra, un colpo di pistola che ferì mortalmente il giovane – il quale, peraltro, il giorno successivo avrebbe dovuto sposarsi. Al funerale di Victor parteciparono spontaneamente 100 mila persone e la sua funzione funebre si trasformò sostanzialmente in una rivolta contro l’Impero.

E fin qui – questa è la parte sfortunata della sua vicenda. Poi c’è quella che ha finito per farlo diventare una sorta di idolo post mortem del pubblico femminile (perlomeno di quello con una spiccata vena macabra, ecco).


In pratica, se osservate la statua di Victor, che lo ritrae accasciato per terra colpito a morte, noterete due particolarità: la prima è che le sue labbra ed il cavallo dei pantaloni sono schiarite dall’usura da sfregamento, come capita alle statue dei santi che i fedeli, nel corso degli anni, continuano a toccare, anche in altre parti del corpo meno erogene, per quella sorta di devozione mista a scaramanzia volta a richiedere qualche grazia particolare; e la seconda è che fra le sue gambe spicca un’inequivocabile protuberanza. Lo scultore che ha realizzato il monumento ha voluto essere realista fino allo zelo – oppure ha ritenuto in qualche modo di rendergli omaggio. Sta di fatto che questo dettaglio anatomico è diventato, non si sa come, una sorta di talismano che garantirebbe fertilità e/o fortuna in amore (a seconda di cosa si preferisce) qualora venga debitamente strofinato.

Ammetto che avrei una certa curiosità antropologica di capire in che modo si sia originato e diffuso questo rituale fra il macabro ed il disperato, ma ovviamente anche qui ci mancano testimonianze e dati statistici che ci possano venire in aiuto. E chissà se Victor dall’aldilà ora avrà il potere di compensare la sua sfortuna terrena donando fortuna a palate alle sue fan. A me personalmente il povero Victor fa un po’ pena a prescindere: voglio dire – non solo il tuo capo ti dà un incarico sgradevole alla vigilia del tuo matrimonio quando magari avresti da correre dietro a fiorai e pasticceri e non a cugini pazzi dell’Imperatore; non solo durante il suddetto incarico rimani pure ucciso da un proiettile sparato per sbaglio da un tizio che sarà pure di nobili natali ma che doveva stare a marcire in carcere da un pezzo; non solo al tuo funerale viene un sacco di gente sconosciuta ma non per piangere la tua prematura dipartita, bensì per fare il mazzo al cugino del pazzoide; ma, oltre a tutto ciò, ti fanno anche diventare una specie di versione macabra di una bambola gonfiabile per signora?

Tomba di Oscar Wilde (immagine dal web)

Chissà cosa ne direbbe (o scriverebbe) Oscar Wilde della vicenda di Victor – sicuramente qualcosa di molto arguto. Lo scrittore irlandese è un’altra delle celebrità del cimitero, e la sua tomba è un’altra di quelle che sono associate a qualche manifestazione di eccessivo affetto da parte dei suoi ammiratori – che avevano l’abitudine di imbrattarla di scritte e, soprattutto, impronte delle loro labbra ricoperte di rossetto. Per evitare che tutto questo calore finisse per essere deleterio per la conservazione del monumento, dal 2011 si è deciso di ripulirlo e circondarlo con una barriera di vetro – con il risultato che, adesso, le irrefrenabili groupie di Oscar lasciano i loro baci lì sopra.

In realtà l’atto più dannoso di cui la tomba di Wilde è stata vittima non è stato un gesto di affetto, bensì un tentativo di censura: la scultura che sovrasta la sepoltura, ad opera di Jacob Epstein, raffigura una sfinge e, in origine, aveva i genitali ben in vista – finché, nel 1961, due signore, che forse non hanno mai amato le opere di Oscar, o che semplicemente erano affette da una forma radicale di bigotteria, pensarono bene di evirarla. Sì, era una sfinge maschio – anche se si dice che lo scultore si fosse ispirato al racconto “La Sfinge senza enigma” dello scrittore irlandese, con protagonista una signora che fomenta un alveare di pettegolezzi con la sua abitudine di trascorrere pomeriggi interi in un misterioso appartamento a far che cosa non si sa; ma che, semplicemente, è in realtà un appartamento vuoto in cui lei si va ad isolare per il gusto di crearsi un certo alone di mistero e malizia.

Ok, non centra nulla con il filo logico del discorso – a meno che le tizie che hanno castrato la povera sfinge fossero discendenti di colei che ha ispirato il racconto, e volessero vendicarla perché il sagace Oscar ha osato rivelare il suo non-segreto. In ogni caso la leggenda narra che i testicoli di pietra della Sfinge siano tuttora usati dal direttore del Cimitero come fermacarte.

 

Un’altra tomba che al povero Direttore ha provocato non pochi grattacapi, e che ha spesso scatenato istinti non proprio consoni all’atmosfera contemplativa del luogo (nonché, probabilmente, nell’Aldilà, qualche gelosia da parte di Oscar Wilde, che si vede così usurpato del ruolo di prima donna del Cimitero) – è quella di Jim Morrison.

È una tomba esteticamente molto semplice, e anche piuttosto vicina all’ingresso, ma, poco importa, è il contenuto ciò che vale – e, le spoglie della rockstar morta a soli 27 anni, sono sempre state idolatrate dai suoi fan in maniera direttamente proporzionale a come lo erano state quando erano piene di vita a cantare “Light my fire” sul palcoscenico. C’era chi violava i cancelli di notte pur di stare in compagnia della lapide del cantante, e, sul luogo della sua tumulazione, si davano da fare ad applicare fedelmente il motto “Sesso, droga & Rock and Roll”: il rock & roll ovviamente lo portava Jim, anche se morto – e loro pensavano al resto. E questi rendez-vous, secondo alcuni, non erano soltanto immaginari, dal momento che c’è chi dichiara di aver incontrato il suo fantasma e di averci anche parlato insieme: ma, per verificare la veridicità di queste affermazioni, vi rimando al secondo punto del motto sopra citato.


Comunque, il fenomeno stava raggiungendo ormai proporzioni tali da diventare quasi una specie di moda o di rito di iniziazione fra i suoi fan più devoti e stava cominciando a dare qualche serio problema di gestione dell’ordine pubblico – dal momento che si tratta pur sempre di un cimitero, per quanto parigino ed un po’ bohémièn, e non un posto dove fare festini alternativi con cantanti morti. Ma, far trasferire altrove la salma sarebbe stato piuttosto controproducente dal punto di vista del marketing: del resto, anche se forse gli darebbe immensamente fastidio essere citato in favore del suo competitor principale in fama tafofila, Oscar Wilde diceva “O bene o male – l’importante è che si parli di me”. E l’affaire Jim venne risolto con un presidio costante della gendarmerie presso il suo tumulo – che fino ad ora non ha irretito il costante pellegrinaggio verso la sua tomba, anche se è riuscito nell’intento di disciplinarlo un po’.

 

Ma il fantasma di Jim Morrison, anche se non ha più i suoi fan che lo vengono a trovare nelle loro visite notturne, è lo stesso in buona compagnia: l’ectoplasma più celebre del cimitero, dopo di lui, è infatti la cosiddetta Dama Bianca – al secolo Elisabeth Alexandrovna Stroganoff, aristocratica russa vissuta a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo, che a quanto pare fu fonte d’ispirazione nientemeno che per le sensuali e pericolose vampiresse che popolano le pagine del “Dracula” di Bram Stoker.


La donna è sepolta in un sontuoso mausoleo consono al suo rango ed al suo stile – ma, soprattutto, ha lasciato un testamento abbastanza inconsueto: roba che, se io fossi Bram Stoker, non avrei esitato a trarci ispirazione per uno spin off vampiresco. La Dama Bianca ha infatti promesso la sua eredità (e parliamo di diversi milioni di rubli in oro) a chiunque riuscirà a trascorrere in sua compagnia un intero anno – si intende ovviamente nella cripta in cui è sepolta, in una bara di cristallo di rocca: 365 giorni e 366 notti chiusi in una tomba, con cibo e acqua a volontà ma senza poter mai uscire fuori – e poi si diventa ricchi. Forse non è nemmeno un metodo tanto più idiota di altri – e in effetti in tanti ci hanno provato, ma hanno desistito dopo poco o se ne sono usciti fuori rimettendoci qualche rotella. A quanto pare ancora oggi continuano ad arrivare richieste, ma il Direttore del cimitero ormai le archivia tutte senza nemmeno prenderle in considerazione – immagino fermandole sotto i testicoli della sfinge di Oscar Wilde.

Tutto sommato dev’essere un lavoro abbastanza interessante, però, fare il Direttore del Pére-Lachaise: mi auguro che sia davvero così e che, per noia, non gli venga mai in mente di cambiare idea e di indire un reality show fra candidati alla conquista dell’eredità di Elisabeth.

Lei suppongo apprezzerebbe la macabra operazione di marketing.

 

Finora le uniche operazioni di marketing che il cimitero ha il suo attivo, in realtà, riguardano alcune tombe vuote di sepolti illustri – di cui portano solo il nome ma non le spoglie, e che furono molto utili, agli albori della creazione del camposanto, per donargli il lustro e prestigio a cui ambiva ma che ancora non aveva. Un po’ come se fossero stati dei testimonial dell’Aldilà, utili non solo per attirare visitatori ma anche per convincere altre celebrità a farsi inumare lì: un po’ come quando tutti volevano comprarsi la villa sul Lago di Como perché ce l’aveva George Clooney – a quanto pare funziona uguale anche quando si è morti.

I primissimi personaggi con cui si compì questa operazione strategica furono Molière e Jean De La Fontaine, le cui tombe sono vicinissime, e dentro ci sono anche dei corpi – ma in realtà non si sa chi siano: questo perché, durante la Rivoluzione Francese, i corpi dei due scrittori erano stati portati all’interno del cosiddetto Museo dei Monumenti Francesi, una sorta di collezione di tutti i simboli religiosi e politici che i rivoluzionari stavano smantellando da chiese e palazzi, e in cui furono anche temporaneamente accolte le spoglie di grandi personalità della cultura nazionale – peccato che poi le informazioni di dove fosse stato sepolto chi, fra una rivoluzione ed una restaurazione, finirono per confondersi un po’. In ogni caso lì sotto ci sono le ossa di qualche intellettuale francese diventato celebre, su questo non ci dovrebbero essere dubbi.


Diverso è il caso di Rossini e Bellini, che morirono entrambi qui a Parigi e pertanto vennero inizialmente inumati in questo (all’epoca) nuovissimo cimitero che cercava con una certa veemenza nuovi inquilini – ma successivamente le loro spoglia vennero poi traslate nelle loro città di origine, rispettivamente nella Basilica di Santa Croce a Firenze e in quella di Sant’Agata a Catania.

Nella tomba di Chopin invece il corpo c’è – l’unico pezzo virtualmente mancante è il cuore, che era stato asportato per essere seppellito, almeno lui, nella natia Polonia: per la precisione nella Chiesa di Santa Croce a Varsavia. Quando si dice che il cuore di chi deve emigrare resta sempre nella propria patria io in realtà l’ho sempre intesa più come una metafora – ma fa niente.

Con Abelardo & Eloisa, invece, non ci hanno nemmeno provato – a fingere che ci fossero dei corpi, intendo. I due sfortunati amanti hanno vissuto le loro vicissitudini nell’XI secolo e, anche volendo, sarebbe stato difficile recuperare persino un po’ di polvere. Però, ve l’ho detto – questo cimitero è molto parigino, vuole mantenere un’aura non solo un po’ piccante, ma anche e soprattutto romantica, quindi non poteva lasciarsi sfuggire l’idea di rendere omaggio ad una delle storie d’amore più contrastate e passionali della storia della letteratura. Romeo & Giulietta sono stati resi immortali da Shakespeare; Abelardo & Eloisa si sono raccontati da soli tramite i loro scambi epistolari – e, in confronto, la storia dei due giovani amanti suicidi di Verona, sembra poco più che un amore adolescenziale finito male. Del resto si dice che solo gli amori contrastati durino in eterno – e, beh, personalmente non ho molte riprove del contrario, però da un punto di vista strettamente psicologico è vero che il regno del “Chissà cosa sarebbe successo se” riesce ad alimentare fiamme molto più durature rispetto alla routine, per il semplice fatto che è molto più facile far vivere le fiamme solo all’interno della propria testa, anziché in una quotidianità fatta di bollette da pagare e camicie da stirare. Dopo il “vissero per sempre felici e contenti” non c’è quasi mai nessuna peripezia da poter raccontare.


Ma via, non voglio demolire il romanticismo di questa storia, e, con ogni probabilità, Abelardo ed Eloisa, che il lieto fine ce l’ebbero solo dopo molti anni e per pochissimo tempo, forse avrebbero fatto cambio molto volentieri con le camicie da stirare – o le tuniche, o qualunque altra cosa si indossasse ai loro tempi. Comunque, lui era un teologo e filosofo molto celebre, e lei una sua discepola – quindi il bello della loro storia era proprio questo: un’intesa anche e soprattutto intellettuale, che fu lungamente espressa nelle lettere fiume che i due si scambiarono nel corso degli anni. Lui aveva già 40 anni e lei 17 – e questo forse oggi sarebbe un po’ al limite della legalità, ma ricordiamoci che si trattava di un’altra epoca, e soprattutto che il grande amore non conosce ostacoli di tipo numerico, che si tratti di anni, di soldi o di kilometri. I due ebbero anche un figlio e si sposarono in gran segreto, ma la loro unione provocò un grande scandalo e furono costretti a separarsi: si mantenerono in contatto epistolare ma riuscirono a ritrovarsi praticamente solo in punto di morte.

Per questo vi dicevo che Romeo e Giulietta in confronto sembrano quasi dei dilettanti – e, per questo, il Pére-Lachaise non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di rendere loro omaggio, con un monumento funebre che non contiene nulla di loro se non lo spirito, e che è immediatamente diventato un simbolo e quasi una sorta di meta di pellegrinaggio.

Perlomeno finché non ha poi cominciato a diffondersi la voce che invece Victor Noir sortisse effetti più efficaci contro le sfortune amorose.

 

Di storie da raccontare il Pére-Lachaise volendo ne avrebbe ancora tante, e peraltro a me piace pensare che, in realtà, le più interessanti siano quelle che nessuno conosce, e che sono rimaste intrappolate negli scrigni di pietra di tante altre tombe sconosciute – come quelle dall’aria un po’ abbandonata, ricoperte di muschio e di croci arrugginite, con le scritte in rilievo quasi appiattite dal tempo che passa inesorabile, in cui ci si imbatte vagando a caso fra i viali alberati di querce e noccioli.

Il bello del Pére-Lachaise, secondo me, è proprio questo: abbandonare la mappa che vi regalano all’ingresso e, dopo essere andati a salutare Victor, Jim, Oscar o chi volete, mettervi a girare senza meta in questo enorme giardino all’inglese dalle apparenze neoclassiche e dall’animo gotico, per scovare i suoi oscuri gioielli nascosti, fatti di ombra e malinconia, ma anche della bellezza delle cose che sono state speciali per qualcuno, un tempo.


Ho visitato il Pére-Lachaise due volte, e ogni volta ha saputo sorprendermi con angoli incantevoli, nicchie in cui il tempo si è fermato, monumenti al dolore che sono soprattutto inni alla vita, scorci di pace e suggestione. Girare per questo cimitero è un po’ come girare per Venezia: pullula sempre di turisti, ma si concentrano quasi tutti solo nei punti più famosi – basta girare un po’ per trovare spazi interamente vuoti, fatti di quiete e silenzio, di quel tipo di bellezza triste e meravigliosa che sa donare risposte a segreti importanti a chi non ha paura di avvicinarla.

Pére-Lachaise è una collina ed è in salita – metafora non si sa bene se di ciò che la vita è a volte, oppure di ciò che ci aspetta dopo. In cima c’è una piazzetta verde, con una piccola chiesa e delle panchine, da cui si può ammirare una fetta di Parigi dall’alto: è sempre il mio punto preferito in cui sostare un attimo per salutarlo – per guardare place de la Bastille e Montparnasse attraverso le sfumature delle fronde degli alberi in autunno, i tetti di Parigi e le croci di pietra; per abbracciare con gli occhi la malinconia e i ricordi, le storie che nessuno racconta ma che per qualcuno hanno fatto la differenza e tutto quello che d’importante c’è stato.

Non importa di che cosa sia metafora questa salita – quello che conta è che, arrivati in cima, ne vale sempre la pena.


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