Questa volta, invece, è proprio da un tramonto che partiamo. Perché Nizza, questa volta, è stata il nostro Piano B: dovevamo essere alt...

Nizza - à la nuit Nizza - à la nuit

Nizza - à la nuit

Nizza - à la nuit


Questa volta, invece, è proprio da un tramonto che partiamo. Perché Nizza, questa volta, è stata il nostro Piano B: dovevamo essere altrove, io & Tabby Cat, in un posto molto caldo e molto lontano – ma la cosa non ha funzionato. E, quindi, abbiamo scelto come alternativa di andare in un posto decisamente più vicino, ma, comunque, con una temperatura che, per essere inizio gennaio, è decisamente gradevole. Il clima è sempre mite e tiepido in Costa Azzurra, e, mentre su da noi, dietro le Alpi, il termometro non dava segno di volersi alzare al di sopra dello zero, qua i gradi si assestano generosamente attorno ai venti.
Permangono pur sempre le altre rigide regole di gennaio, e, quindi, essendo arrivate nel tardo pomeriggio, il sole all’orizzonte sta già cominciando a sbadigliare.



Galoppiamo verso Promenade des Anglais con la stessa fretta di quando si sta andando al cinema e non si vuole perdere lo spettacolo.
La Promenade si chiama così perché la sua costruzione era stata finanziata dalla comunità inglese risiedente nella città nizzarda sul finire del XIX secolo; e, io, che mi sento sempre un po’ brit inside, non posso che apprezzarla. Certo, è molto ariosa ed elegante, e personalmente, di solito, preferisco le cose un po’ più buie e contorte, ma, con i suoi alberghi in stile liberty, i suoi café d’antan e il suo orizzonte perso nel blu, ha comunque un certo fascino d’altri tempi.
Si affaccia sulla Baia degli Angeli, morbida insenatura color cobalto intenso, che in realtà deve il suo poetico nome al fatto che un tempo i pescatori che transitavano di qua trattenessero spesso nelle maglie delle loro reti una razza di squali innocui le cui pinne hanno una forma simile alle ali – però c’è anche chi, per ragioni di marketing, ha preferito intesserci su una finta leggenda, dicendo che questo fosse il luogo in cui gli angeli avevano depositato Adamo ed Eva quando furono cacciati dal Paradiso Terrestre. Che non mi pare esattamente una punizione, ma tant’è. Lungo la Promenade, oltre ad un gran numero di persone che fanno jogging, ci sono dei telescopi che suppongo servano per osservare l’orizzonte, ma che noi usiamo per guardare gli aerei, dato che la strada prosegue dritta per 7 km fino ad arrivare all’aeroporto – e non c’è nulla di più bello che un aereo che atterra al crepuscolo. A parte il fatto di esserci sopra, ovviamente.


Ci sono le chaises bleues, sedie di ferro dipinte di blu, che servono anche loro per contemplare l’orizzonte – o gli aerei che atterrano, come si preferisce.
Noi, in ogni caso, preferiamo scendere fino alla spiaggia. La spiaggia di Nizza non ha sabbia ma solo ciottoli, che si chiamano galets, ma che con i biscotti hanno solo una vaga assonanza. Il nostro obiettivo è di cercarne uno a forma di cuore, un po’ come le persone normali cercano i quadrifogli nei prati: Tabby mi ha insegnato che, quando si trovano dei cuori in giro, nelle cose, tipo nei buchi delle fette biscottate a colazione, o nelle nuvole, o nella vernice delle strisce pedonali – roba del genere, è un buon segno, perché esprime benevolenza da parte dell’universo. È un modo per dirti che stai facendo la cosa giusta, qualunque essa sia, e che, prima o poi, potrai raggiungere la felicità. Ammetto che il “prima o poi” mi suona truffaldino, e che, sinceramente, come segno di benevolenza da parte dell’universo, preferivo continuare a trovare soldi per terra – per cui inizialmente ero un po’ scettica, ma poi, devo dire, che ci ho preso mano e mi sono appassionata anch’io a questa “ricerca del cuore perduto”. Ecco, se proprio vogliamo essere pignoli, in teoria, per funzionare, dovrebbero essere i cuori a trovare te: dovresti trovarteli davanti senza fare il minimo sforzo, e non metterti a ravanare in lungo e in largo per le pietre della Baia degli Angeli come un cane da tartufi – ma tant’è, le cose a volte bisogna anche andarsele a procacciare, non aspettare fiduciosi che cadano dal cielo.


Ciò che però cade dal cielo è, invece, il sole, che non ha nessuna considerazione per la nostra appassionante ricerca di cuori di pietra e decide di dare il la allo spettacolo della sua dipartita quasi senza preavviso. Può un tramonto cominciare senza preavviso? Immagino di no, ma ero io ad essere distratta. Un tramonto invernale è più rapido, più spietato. Ma, se è nella giusta vena, se il cielo è sufficientemente terso, se l’aria è sufficientemente pulita, è quasi un pugno nel cuore: i colori sono calcati con forza – se fosse un disegno si rischierebbe di bucare il foglio, ma qui il foglio è il cielo, non si buca. Sembra solo urlare, da tanto è forte. Sembra quasi di sentire una vibrazione nell’aria - coperta dallo sciabordio del mare, che è diventato un metallo incandescente; dalle voci delle persone, che sono sagome nere stagliate contro l’orizzonte ed i suoi colori spietati.



Io credo, quando è possibile, che ad una città bisognerebbe sempre dare anche l’opportunità di essere vista di notte. Nizza di notte ancora non l’avevo mai vista – e, beh, in realtà non è nemmeno “notte”, sono solo le 6 di sera, ma è gennaio, e le regole sono queste: è già buio, e i venti gradi si sono abbassati di un po’.
Però, dicevo, una città bisognerebbe sempre vederla anche di notte: anche le persone si comportano diversamente, a volte, quando l’oscurità cala – allentano un po’ le cinghie che tengono su le loro armature, a volte posano persino le maschere. Dicono cose diverse da quelle che direbbero di giorno: di solito diventano nostalgiche, oppure hanno voglia di liberarsi di qualche peso.
Anche le città.


La Vieille Ville è un labirinto di stradine medievali, ed è ciò che amo maggiormente di Nizza. È il suo cuore antico, anche se la sua conformazione forse ricorderebbe più un intestino – ma non è una metafora grossolana: l’intestino è un secondo cervello, sa essere più emotivo del cuore e, quando si dice che si ragiona “di pancia”, in realtà, è perché c’è di mezzo l’istinto. Sembra un borgo, la vecchia Nizza, forse più italiano, ligure che non francese: è la radice rimasta italiana della città costiera, anche se tutto intorno è circondata da boulevard ariosi, da piazze eleganti e molto francesi. Ed è proprio questo il bello: non te lo aspetti – svolti l’angolo e sbuchi qua, fra queste stradine strette di pietra, fra questi palazzi color ocra altissimi, fra le sue botteghe artigiane ed i negozietti che vendono spezie e sapone.


Le luci gialle dei lampioni che si spandono sui ciottoli, che allungano le ombre delle case e dei passanti, la rendono più bella di notte, come spesso accade per le persone – di quella bellezza sciolta e morbida che si ha quando ci si lascia andare un po’. Forse, anche qui come accade alle persone, avrebbe voglia di raccontare qualche storia, se solo sapessi come fare ad ascoltarla.

Socca e pissaladier

Forse un modo per farlo è provare ad assaggiarla: ci infiliamo in uno dei suoi bistrot, dall’atmosfera volutamente semplice, trasandata ad arte – poco illuminati perché sembra esserci anche qui la regola implicita che all’ombra si parla meglio. Le specialità più famose di Nizza sono quasi da street food, ma, seduti ad un tavolo, di fronte ad un calice di bordeaux, con un’insalata di accompagnamento condita con la vinaigrette, si gustano meglio, con più calma. Si chiacchiera e ci si racconta storie, visto che quelle della Vecchia Nizza non siamo capaci ad ascoltarle. La socca assomiglia alla farinata ligure, è una mattonella compatta e saporita di farina di ceci – cibo da pescatori. La pissaladier è invece una focaccia spessa e unta, con sopra un abbondante strato di cipolle, olive ed acciughe – anche qua assonanze liguri. Il pan bagnat invece non è nient’altro che un panino ripieno di insalata nizzarda. I sapori sono semplici ma intensi – che è quello che ci aspettavamo dal serafico labirinto della Vieille.


Uscirci è un po’ come uscire da un mondo a parte, o, forse, salire ad un piano più alto – più nobile, più moderno.
Place Massena è alle spalle della Città Vecchia, ma sembra di essere altrove.
Potrei dire che le influenze qua sono piemontesi, per i portici ariosi e simmetrici che ricordano quelli di Torino – ma i portici di Torino erano stati a loro volta disegnati su modello di Parigi, quindi è un circolo vizioso fra Italia e Francia. I palazzi che la abbracciano sono rosso ocra ed imponenti, e la piazza si espande con un colpo d’occhio arioso, armonico. È divisa in due dalle rotaie del tram, sullo sfondo c’è la statua di Apollo e la ruota panoramica illuminata che è stata allestita per il periodo natalizio. In mezzo, ci sono sette colonne e, su ciascuna di esse, c’è un uomo accovacciato: è l’installazione di Jaume Prensa denominata “L’Ascolto” – i sette uomini sono i sette continenti, ciascuno illuminato di un colore diverso, ciascuno in ascolto di ciò che ha da dire l’altro. In realtà, se stanno tutti ascoltando, forse non c’è nessuno che stia parlando – ma va bene, anche il silenzio si può ascoltare, e con risultati sorprendenti.


Di fianco ci sono bancarelle che vendono pezzi di socca calda, e poi c’è l’ingresso alla Promenade du Paillon: di giorno sono dei giardini, in cui i bambini vengono a giocare e gli anziani vengono a leggere il giornale sulle panchine – ma adesso è notte, e di notte questo ampio viale pedonale si trasforma.
Le sue fontane che sbucano direttamente dal marciapiede danzano a suon di musica, e sono illuminate con i colori della bandiera francese.
Nizza di notte non è solo più intima ed accogliente, è anche più festosa – con questi suoi sorridenti giochi di luce. Con le città funziona sempre così: vaghi a caso, con gli occhi aperti e curiosi, perché ti piacerebbe coglierne l’essenza, l’anima – e, forse, dopo un po’, qualcosa ti sembra di aver sfiorato, ma, se provi a trasporla in parole, se provi anche solo a dettagliarla formalmente nel pensiero, non ci riesci, ti sfugge di nuovo. Però basta riprendere a girare a caso, senza pretese, solo con la voglia di osservare, nemmeno di capire, che quel qualcosa ricomincia a far capolino – non ha una forma, a volte può essere più simile ad un odore o ad una sensazione, ma è in ogni caso qualcosa che non è possibile definire. È come se tutti i secoli che queste strade hanno vissuto, tutti i cambiamenti, il dolore, la bellezza, le cose semplici e quelle complicate, tutta la Storia che non è scritta nei libri di storia fossero lì, stessero camminando assieme a te – sono in silenzio, ma, anche se stessero parlando, forse non li capirei, e, anche se avessero scritto dei libri, leggendoli non so se saprei ritrovare quella stessa sensazione.
E, ora che ci penso, in effetti anche con le persone non è poi tanto diverso.

L'alba, questa volta

Quindi andiamo via, lasciando sospeso nell’aria questo mistero, che, come tutti i misteri, esige il giusto rispetto.
Domani andremo di nuovo di corsa verso la Promenade des Anglais per vedere l’alba: fra le tante regole di gennaio ce n’è anche una meno rigida, per cui, se vuoi vedere l’alba, non è necessario puntare la sveglia così tanto presto. L’alba assomiglia al tramonto, ma al tempo stesso è il suo contrario: per il sole nascere somiglia a morire – o forse il suo è semplicemente un coricarsi ed alzarsi. Il cielo ed il mare diventano di nuovo rossi, i gabbiani si stagliano di nuovo neri contro l’orizzonte color sangue, i colori sono intensi e sembrano vibrare – non è solo un semplice spettacolo, è più come qualcosa di sacro.
Però è girato al contrario, quello che succede dopo non è il buio, bensì la luce: i colori tornano ad essere tenui, il mare è azzurro, fra le onde ci sono luccichii dorati. Ci sediamo sulle galets a guardare l’azzurro, e a mangiare un croissant. Niente ricerche di cuori, stavolta, ma, se capitano, allora sarà un buon segno.


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