Quello che mi aveva colpita di Malta è stato che non era uguale a nessun altro posto che avessi mai visto prima di allora. Malta è un’isola ...

Mdina, il cuore antico di Malta Mdina, il cuore antico di Malta

Mdina, il cuore antico di Malta

Mdina, il cuore antico di Malta


Quello che mi aveva colpita di Malta è stato che non era uguale a nessun altro posto che avessi mai visto prima di allora. Malta è un’isola minuscola, a ben vedere, ha un diametro di appena 20 kilometri, eppure in questo suo sottile lembo di terra che galleggia nel Mediterraneo, ci sono condensati tanti mondi diversi – tanto che la loro mescolanza, la loro convivenza, in orizzontale nello spazio e in verticale nel tempo, in questo fazzoletto ha creato un mondo tutto nuovo, un misto fra Medioriente, Italia del Sud ed Inghilterra.

La città fortificata di Mdina è il cuore antico di questo strano bazar di mondo, e racchiude fra le sue spesse mura color avorio l’essenza di questa sfumatura unica che hanno assunto le diverse anime che hanno originato Malta quando si sono fuse insieme. Si trova sopra un’altura, domina come una sentinella tutta l’isola ed è nata così – come una fortezza: già i Fenici l’avevano concepita in questo modo, e i Romani e gli Arabi che si sono poi susseguiti nel suo possesso non hanno fatto altro che incoraggiare questa sua natura, renderla sempre più inespugnabile, sempre più guerriera. Nel Medioevo diventa il centro di potere principale dell’isola, la Città Notabile, residenza di tutta l’aristocrazia e sede del Consiglio. Anche il potentissimo Ordine cavalleresco di San Giovanni ne fa il suo centro nevralgico – finché un terremoto nel XVII secolo non la danneggia e spinge tutti gli stakeholders degli affari maltesi a spostarsi altrove, a La Valletta e in altre città che hanno uno sbocco sul mare. Mdina dunque pian piano viene abbandonata, va in pensione e diventa solamente un luogo di villeggiatura per l’aristocrazia. Oggi conta appena 300 abitanti e, ai suoi antichi soprannomi deferenti da nobile guerriera, ha sostituito quello di Città del Silenzio – che sa forse di fantasmi e cose che non ci sono più, ma che le rimane come un diadema del suo splendore passato, del suo fascino misterioso ricco di segreti e bisbigli.


Anche perché, per i fan del Trono di Spade, Mdina ha anche un’altra, inequivocabile identità: quella di Approdo del Re – dal suo portale d’ingresso fino alle viscere dei suoi vicoli, che, nella serie tratta dai libri di Martin, sono tutt’altro che silenziosi e disabitati, ma pullulano della vita e del potere che, probabilmente, anche nella realtà hanno avuto, ai tempi del loro splendore.

 

Mdina conserva ancora persino il suo fossato, attorno alle mura, che, da pochi anni, è stato trasformato in un curatissimo giardino, fatto da prati all’inglese, vialetti lastricati e piante in vaso. Prima che vi si mettesse mano era una sorta di selva incolta, che probabilmente non conteneva coccodrilli come nei fossati di fantasia dei cartoni animati – ma sicuramente in prima battuta incuteva un po’ di timore all’idea di attraversarlo. In questa selva però prosperavano anche diverse piante di agrumi, e la loro rimozione non è mai stata ben giustificata e ha provocato qualche polemica. Oggi comunque lo spazio è decisamente ben valorizzato e positivamente sfruttato con diversi eventi, concerti e fiere gastronomiche.

 

Ciò che le mura racchiudono, invece, è uno di quei dedali che possono essere visitati solo perdendosi – vagando a caso, lasciando stare quello che dicono le mappe ed evitando l’afflusso principale della folla dei tour guidati toccata e fuga. Il dedalo di vie è intricato come una ragnatela, e pare di essere in uno di quei labirinti un po’ fiabeschi, un po’ mitologici, alla ricerca forse di qualcosa – o forse di una via d’uscita, anche se, proseguendo nel vagare, ad un certo punto si realizza che in realtà non si vuole più uscire, si vuole restare.

Le stradine di Mdina sono tranquille e ombreggiate, sono sinuose perché un tempo nascondevano segreti, e perché dovevano confondere le idee agli arcieri – ma oggi di questo rimane soltanto un manto sottile, impalpabile come una polvere luminosa di nostalgia, e, tutto quello che nascondono questi vicoli, sono angoli di bellezza intima, contrasti poetici fra la semplicità della Malta di oggi e le vestigia degli antichi fasti.


I palazzi sono della stessa sfumatura di avorio dorato delle mura, come se ne fossero una propagazione, stessa sostanza, stessa materia, stesso tessuto. Pochi altri colori si fanno spazio – giusto qualche dettaglio color pastello negli infissi di alcune finestre, nelle galarija, i balconi coperti tipici di Malta, che sono un richiamo all’architettura araba, ma che hanno una declinazione un po’ inglese, nelle volute, nelle tinte. L’occhio che vaga fra i vicoli stretti si perde in contorni avorio, quasi come se non fosse una città, ma un deserto, una conformazione rocciosa. Lo stile è perlopiù sobrio, essenziale – ma qua e là c’è qualche guizzo architettonico, qualche dettaglio barocco, qualche accessorio di fattura squisita da indossare alle feste. Statue, principalmente – ex voto, talismani di devozione, a tratti quasi di superstizione.

Ci sono dettagli che sono solo di Malta, come le targhe di ceramica con i nomi delle vie dipinti in blu, scritti in doppia lingua, maltese ed inglese; e ce ne sono altri che invece richiamano il resto del Mediterraneo – i lampioni in ferro battuto dal gusto andaluso, porte di legno turchese come si trovano in Grecia, inferriate panciute alle finestre che ricordano il Sud Italia.


Si narra che di notte per questi vicoli anche troppo tranquilli vaghi il fantasma di una giovane sposa senza testa, che bisbiglia con la bocca che non ha più nelle orecchie dei giovani innamorati, per metterli in guardia sul dolore che a volte può portare l’amore. Ma a lei in realtà non è stato l’amore a portare dolore – è stato il patriarcato, è stata una giustizia cieca: era stata rapita la notte prima delle sue nozze da un altro uomo che la bramava per sé – lei si difese uccidendolo, ma per questo delitto venne condannata a morte per decapitazione, e, quello che doveva essere il giorno delle sue nozze, diventò il giorno del suo funerale. Una storia triste, come quella di Sant’Agata, molto venerata sull’isola così come nella natia Sicilia, che osò ribellarsi ad un notabile che la voleva in moglie, e questo gesto di rifiuto le costò l’amputazione dei seni e l’accecamento. Erano tempi duri e crudeli per chi si ribellava – ma lo erano anche per molti fra coloro non lo facevano, solo che la tortura era più diluita nel tempo, meno sul corpo, forse, e più sull’anima.

 

Qui a Mdina, però, il patrono non è Sant’Agata, bensì l’apostolo Paolo – al quale è dedicata la Cattedrale e la piazza in cui sorge, che un tempo era il foro in cui il Consiglio si riuniva a discutere.  

La Cattedrale è anch’essa un’emanazione dello stile architettonico di tutta l’antica città fortificata: giallo avorio, sobria, ma con qualche sprazzo di Barocco. L’interno è tutto una celebrazione pittorica della vita del Santo, che si dice trovò rifugio proprio qui dopo essersi arenato a Malta in seguito ad un naufragio, riuscendo a convertire al Cristianesimo l’allora governatore romano Publio, che divenne pertanto il primo vescovo dell’isola, e, soprattutto, facendo un miracolo grazie al quale ancora oggi a Malta non esistono serpenti velenosi. Come ci sia riuscito ovviamente non si sa, d’altronde è un miracolo, però a quanto pare quello di scacciare e/o rendere innocui i rettili era uno skill molto richiesto fra i missionari protocristiani, perché ricorda molto la storia di San Patrizio in Irlanda, o, per rimanere dalle nostre parti, di San Giulio al Lago d’Orta. Ma, via, non voglio banalizzare ciò che fece l’apostolo Paolo – che, si dice, venne morso da una vipera mentre si stava riscaldando davanti al fuoco dopo il suo naufragio: per uno normale sarebbe stato un accesso di sfiga alla Fantozzi, sopravvivere ad un naufragio per venire poi avvelenato da un serpente proprio mentre ti stai rifocillando felice cercando di convertire il governatore romano; ma lui non si scompose – afferrò la vipera con una prontezza di riflessi degna di un guerriero ninja, e la gettò nel fuoco, senza subire nessun danno.

E questo è stato un gesto che una città guerriera come Mdina non poteva che apprezzare.


0 comments: