Lo volevo fare, prima o poi. Scrivere di questo anno stranissimo, intendo, di quello che ha significato, di quello che ha tolto e di quello che ha dato - soprattutto, di quello che ha cambiato. Mi ero ripromessa di farlo quando tutto sarebbe finito, perché i bilanci vengono meglio quando guardi le cose da lontano, quando in un certo senso non ti appartengono più - e perché l'emotività non è mai un buon giudice. Ma questa era un'illusione ingenua dei primi tempi: quando pensavamo di restare chiusi in casa qualche mese, per poi tornare, festosi e sollevati, alla normalità di prima; quando con le mie colleghe ci dicevamo che a maggio avremmo preso un volo per le Maldive, per festeggiare la fine di un progetto impegnativo e di questo incubo. Era un pensiero ingenuo, ora lo sappiamo - però era un bel pensiero. Ora quel che sappiamo è che anche questa fase sarà come tutte le fasi di cui si compone la vita - e che anche lei non terminerà mai con uno strappo netto e liberatorio; ma sarà, piuttosto, uno strascico lungo e vischioso, e, soprattutto, una volta che sarà finalmente sbiadito, non saremo più uguali a come eravamo prima che cominciasse. E' un po' come succede con le tempeste, o i cicloni - ma questo l'hanno già detto Murakami e Pieraccioni, e non mi voglio ripetere.
Quello che voglio dire è che, forse, per me è giunto il momento di scriverne. Sono lunatica di natura, lunatica come un gatto - da sempre oscillo come un pendolo fra diversità quasi opposte, fra spessi strati di ghiaccio esteriore e vulcani interiori, fra emisfero destro ed emisfero sinistro, fra desideri e razionalità; ma è perché ho l'inevitabile vizio di farmi troppe domande. E' un difetto, credo, per certi versi: così mi aveva detto la mia professoressa di Italiano alle medie - che era una suora, per la cronaca, non so se sia un elemento rilevante. In ogni caso è questo il motivo per cui, in questo periodo più che mai, mi sento su un'altalena e non riesco più a capire da che parte stare - o che cosa sia giusto fare. Pertanto non ve lo dirò - non ci sono analisi di settore nelle righe a venire, e nemmeno argomentazioni per convincervi che sia giunto il momento di aprire le frontiere: ci sono solo le parole a ruota libera di qualcuno che i viaggi li ama, e che con i viaggi ci lavora.
E' un amore che quest'anno è stato forzatamente in pausa, che ha fatto giusto qualche piccolo passo al rallentatore, come quando ti vedi poco e il tempo raro che trascorri insieme torna ad essere una scoperta preziosa, che ti spinge ad assaporare le cose più piccole e banali come se fossero preziose. Da un lato. Dall'altro lato sono come un gatto, dicevo - quando ci tengo tanto da rischiare di farmi male, prendo le distanze. Ci sono giorni in cui guardare le foto e sfogliare le guide non riesce più a farmi sognare: mi fa lo stesso effetto della vetrina di una pasticceria quando sei a dieta. Ho buttato via i vecchi cataloghi presi in ufficio, ho smesso di aggiornare queste pagine. Però c'è una cosa che penso di aver imparato quando ti manca qualcosa: se non è la vita a dartelo, devi trovare il modo di creartelo tu. E scrivere, per me, è sempre stato uno degli strumenti più efficaci in mio possesso per riuscire a fare questa sorta di magia - o di atto di amor proprio, se preferite.
Durante il lockdown avevo la lacrima facile - va bene, lo ammetto, ce l'ho sempre avuta, non è una novità del 2020: però a parziale discolpa delle mie lacrime c'è questo fatto - che non scendono mai per ciò che sarebbe più giustificabile che scendano, bensì per eventi apparentemente neutri a cui la maggioranza non attribuisce particolare carico emotivo, ma che a me, invece, scatenano, tramite contorti giri, una tempesta. Ho pianto quando ho visto la circolare di gestione operativa del 9 marzo che cancellava tutti i voli. Ho pianto guardando il Kilimangiaro la prima domenica di quarantena - "il mondo non si è fermato mai un momento" diceva la sigla, ma non era vero, il mondo si era fermato proprio in quei giorni. Ho pianto - e poi ho tirato avanti lo stesso, come tutti. Anche quando non era facile, un giorno per volta, cercando di incasellarmi in una routine, di darmi degli obiettivi, di mantenermi sana in ogni modo possibile, nel corpo e nella mente.
A questo mio amore sospeso, che un po' mi fa rabbia e un po' mi fa nostalgia, penso spesso. E penso che, come tutti gli amori, non sia solo un capriccio: puoi anche vivere senza, che di indispensabile c'è solo l'ossigeno - ma chiunque abbia mai amato qualcosa o qualcuno sa benissimo che la vita dovrebbe essere un po' di più che semplice respirare. E chi ha questa mia stessa passione zingara ed inquieta sa bene che viaggiare è un po' di più che uno svago, una vacanza o una parentesi di meritato riposo: viaggiare è una scoperta - non solo di luoghi, esperienze e culture, ma di parti di te che non conoscevi e che il qui & ora che stai vivendo scatena con una reazione chimica inattesa, parti che ti rendono più coraggioso, più ricco, o semplicemente più consapevole.
Il viaggio è un'uscita prepotente dagli schemi, e ti obbliga a fare cose, a superare limiti che a volte nemmeno sai di avere, perché sono i confini normali della tua quotidianità. Il viaggio è una risposta che porta tante altre domande - è una forma di conoscenza che non è scritta nei libri ma che scrivi tu, pagina per pagina. Conoscere il mondo ti fa sentire molto più piccolo, ma al tempo stesso molto più grande - parte di qualcosa che va ben oltre te, ma in cui al tempo stesso ti riconosci. Scovare qualcosa di tuo in un altro angolo lontanissimo del pianeta, e capire che c'è sempre qualcosa di uguale anche in ciò che è diverso, è una delle forme più genuine e ricche di amore per la vita.
E, del resto, il viaggio ha in comune anche questo con l'amore, che a sua volta ce l'ha in comune con la vita: la sensazione di scoperta, la sete di bellezza, l'infinito di cose sconosciute, la creazione di nuove esperienze ed abitudini - qualcosa di cui avevi bisogno, ma non lo sapevi. Solo che se non parti non potrai mai capirlo. Solo che se non vivi non potrai mai scoprirlo.
Mi manca viaggiare, e mi manca far viaggiare gli altri - al di là di ciò che è ovvio: è perché tutto questo l'ho sempre ritenuto un dono.
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