Questa è la storia di un’altra fuga. Di quelle che ogni tanto faccio, quando ho bisogno di spostare il focus: è quasi una procedura di evacuazione – io me ne vado altrove, la mia testa viene via con me ed abbandona quel posto complicato e un po’ venefico in cui aveva finito per intrappolarsi da sola, come quando nel sonno ci si attorciglia nelle coperte e poi si fa fatica a liberarsi. Funziona come quando si aprono le finestre, e si cambia l’aria: forse delle procedure di evacuazione ha l’emergenza, ma assomiglia di più ad un rituale di purificazione.
Cremona doveva essere in compagnia, quel
giorno, ma è stata in solitaria: non importa, non ho ancora deciso quale delle
due modalità funzioni meglio in questi casi – ma probabilmente il “meglio” è
semplicemente quello che decidiamo di fare con ciò che abbiamo a disposizione,
prendendone gli aspetti migliori, godendo di quel che si può godere, come
quando trovi un frutto ammaccato e decidi di tagliargli via la parte marcia e
mangiare il resto, che è buono lo stesso.
Era un sabato di giugno, e faceva molto
caldo. Cremona è un’altra di quelle città, come Modena, che condividono questo
schema virtuoso fatto di eleganza a misura d’uomo, bellezza medioevale ed
eccellenze artigiane, declinato secondo sfumature diverse in ciascuna di esse,
ma sempre con una loro eccezionalità – simili eppure uniche. La passeggiata per
giungere al suo cuore partendo dalla stazione ferroviaria è breve, è solo l’afa
che la allunga un po’ – ma avvicinarsi alla parte migliore di una città passando
attraverso strade meno emblematiche, più banali nel loro essere contemporanee,
quotidiane, è sempre un processo che alimenta aspettative, che ti fa rimanere
con i sensi aguzzati, per vedere se riesci già a captare qualcosa, se riesci
già ad intuire un po’ della sua personalità, di quello che andrai a conoscere
di lì a poco.
Il cuore di Cremona è la Piazza del
Comune, ed è un cuore largo, elegante, che contiene tutti i suoi tesori più
importanti – dal Duomo, al Battistero, alla Loggia comunale, fino al celebre
Torrazzo, che è una delle tre “T” per cui la città lombarda si ritiene sia
famosa. La seconda è il torrone; mentre sulla terza ci sono un po’ di diatribe
– fra chi sostiene che debba essere un omaggio ad uno dei suoi figli più noti,
ovvero Ugo Tognazzi, e chi invece dice che l’omaggio sia per la prosperosità
delle sue concittadine. La piazza, con i suoi quasi 50 metri sul livello del
mare, è anche il punto più alto della città – cosa che per certi versi fa un
po’ sorridere noi montanari, ma tutto è relativo, e, per la Pianura Padana, è
sicuramente già una discreta altezza da scegliere come fulcro dominante per il
centro abitato. Al sabato qui si tiene il mercato, e la confusione brulicante
di persone e bancarelle che la pullulano, stipando i suoi ampi spazi e
infiltrandosi anche nei vicoli laterali, impedisce un po’ di godere del colpo
d’occhio armonioso del suo skyline medievale, che include, in un contrasto
elegante di rosso mattone e bianco marmoreo, le principali attrattive della
città – ovvero Duomo, Battistero e Palazzo del Comune. Mi nascondo sotto
l’ombra dei porticati della Loggia dei Militi, provando ad immaginare la piazza
vuota, nuda – ed è un esercizio che crea aspettativa, per il pomeriggio quando
le bancarelle verranno smantellate, ma che aiuta anche ad allenare l’occhio, a
scandagliare i dettagli, a cogliere la bellezza nei particolari, a
sbocconcellare questo scrigno d’arte assaporandone i pezzi uno per uno.
Il Medioevo è da sempre il mio piatto
preferito, e un Duomo come quello di Cremona è praticamente una torta nuziale
preparata di persona da un re della pasticceria. Lo contemplo da qui, di
fronte, osservandone la facciata come se stessi leggendo con concentrazione la
prima pagina di un quotidiano: la Cattedrale di Santa Maria Assunta (questo il
suo nome all’anagrafe) è un capolavoro dello stile romanico – sempre l’anagrafe
ci dice che la sua data di nascita, o, per meglio dire, di costruzione, si
assesta attorno all’anno 1100; ma nel corso dei secoli subì diversi ritocchi e
rimaneggiamenti, cosa che fa sì che oggi sia un aggraziato ed unico mix
arricchito anche da elementi gotici e barocchi. La sua facciata principale è
una simmetria ariosa di marmo bianco di Carrara, impreziosita da qualche
elemento in rosso Verona, che, da lontano, le dà una luce quasi rosata, calda.
Ma il Duomo di Cremona non è solo un
elegante contenitore: il suo contenuto, infatti, se fosse più conosciuto,
farebbe subito correre qui Dan Brown, a riscrivere una versione padana del
Codice Da Vinci. Infatti all’interno della Cappella del Santissimo Sacramento
c’è un ciclo pittorico con quattro scene della vita di Gesù in cui è sempre
presente la stessa donna, che, nella rappresentazione dell’Ultima Cena, siede
addirittura al posto di San Giovanni, e che si ipotizza sia quindi Maria
Maddalena. Per chi non lo sapesse, esiste tutta una letteratura apocrifa ed una
scuola ideologica che sostiene che la Maddalena in realtà non fosse affatto una
povera peccatrice convertita sulla retta via come sostengono i Vangeli ufficiali
– bensì la sposa di Cristo, sua compagna di vita e suo braccio destro. Sua
compagna di lotta, anche, se vogliamo considerare il Cristianesimo come il
movimento rivoluzionario che all’epoca in fondo era stato. La figura della
Maddalena, sempre secondo questa teoria, agli albori della professione
religiosa era ben presente in testi sacri e liturgie ufficiali, ma fu poi
completamente cancellata dall’imperatore Costantino, con l’obiettivo di negare
l’importanza del principio femminile e di trasformare la Chiesa e la dottrina
un circolo per soli uomini. Senza birra e rutto libero, però, anche perché
all’epoca il calcio non lo avevano ancora inventato. Il motivo per cui il buon
Costantino fosse tanto misogino non ci è dato saperlo – magari Maddalena era il
nome della ragazza per cui si era preso una gran cotta da adolescente brufoloso
e che, nonostante fosse un futuro imperatore, non lo ha mai cagato di striscio,
preferendogli il suo migliore amico; oppure ce l’aveva con sua sorella che da
piccola era la cocca di mamma, mentre a lui dicevano solo stai dritto con la
schiena e non piangere, che sei un futuro imperatore. Chissà. Sta di fatto che,
in pratica, mentre per Gesù Maddalena era una figura amata ed importante, e
conseguentemente per i suoi credenti avrebbe dovuto diventare venerabile alla
stregua degli altri suoi apostoli, Costantino è di fatto arrivato e le ha detto
“Donna, sparisci e vai a fare la calza” – con le conseguenze non solo
teologiche, ma anche sociali ed antropologiche che ancora oggi chi nasce senza
un pene in dotazione deve trascinarsi appresso.
Non so se questa teoria pro Maddalena
abbia seriamente un fondamento oppure no, e nemmeno se, in effetti, la sua
supposta radiazione da parte di Costantino sia stata davvero in grado di
ribaltare le sorti della parità fra i generi; però diciamo che la diffusione di
massa del Codice Da Vinci ha permesso a questa controversa figura di diventare,
a livello divulgativo, ciò che già era prima per un pubblico più di nicchia: un
simbolo – di ciò che avrebbe potuto essere ma per un’ingiustizia non è mai
stato, di una lotta contro gli stereotipi ascritti ed il dogma del patriarcato.
Quindi – a me piace. Ed il fatto che la semi-sconosciuta Cremona nasconda nel
suo bellissimo e poco pubblicizzato Duomo questo segreto così importante, di
una figura che, anche lei, non ha mai avuto il marketing dalla sua, lo trovo un
segno benevolo ed incoraggiante da parte del destino, una serendipità.
Ma, se le scene pittoriche con la
forse-Maddalena sono il pezzo forte del menù, quello che, se si trattasse di
cucina, prepareresti alla finale di Masterchef, anche il resto della collezione
pittorica a disposizione della cattedrale cremonese è saporita ed interessante:
ad esempio sul terzo altare, dedicato a San Fermo, c’è un affresco i cui
personaggi danno l’impressione di seguire con lo sguardo il visitatore – non è
un quadro uscito da Hogwarts, è sostanzialmente lo stesso trucchetto usato da
Leonardo Da Vinci (di nuovo lui) con la Gioconda. Quando me l’avevano
raccontato a Storia dell’Arte al liceo, lì per lì non ci avevo creduto, e
quindi mi ero appesa in camera una cartolina della Gioconda: non solo è vero,
ma è anche un po’ inquietante. Però anche quest’altra similitudine credo che a
Dan Brown piacerebbe. E, già che ci siamo, caro Dan, beccati anche questa: il mio amico San Michele Arcangelo con in mano una bilancia che pesa le anime dei
defunti. Ora, poiché Michele in realtà nella vita fa il capo delle milizie
celesti, non si capisce bene perché gli abbiano dato anche questa mansione – ma
poniamo che San Pietro fosse andato un attimo in vacanza, non è questo il
punto. Il punto è che questa modalità della bilancia ricorda molto la mitologia
egizia con la storia di Iside & Osiride – che a sua volta venne poi ripreso
da tutta la tradizione di misticismo ed esoterismo che nacque durante il
Rinascimento e che poco ebbe a che fare con il Cristianesimo tradizionale.
Quindi, signor Brown, le consiglio
vivamente di venire a fare un giro a Cremona pure lei – che tra l’altro si
mangia anche bene, dato che nel frattempo sono uscita dal Duomo, e, svicolando
fra la folla del mercato, mi sono accomodata al fresco della Trattoria del
Tempo Perso, con le tovaglie a quadretti rossi e vecchi articoli dell’Unità
appesi alle pareti. Mangio risotto alle fragole e bevo un calice di vino – e mi
domando perché questo posto si chiami “del tempo perso”, dato che a me vengono
in mente almeno un centinaio di perdite di tempo assai più deleterie di
qualunque cosa che ti possa mai capitare mentre mangi così bene, in un posto
così rustico, a due passi dai marmi e dai colori pastello del centro di
Cremona.
Quando esco il sole mi sembra più caldo
(colpa del vino, suppongo), ma in compenso la piazza si è svuotata – ed è un
po’ come se riemergesse dalla bassa marea: si trascina appresso i resti
disordinati delle bancarelle smantellate, ma è un po’ come ritrovare
un’inattesa creatura marina addormentata.
Anzi, le creature sono tre: il Duomo è
indubbiamente il ragazzo più affascinante della festa, quello con lo sguardo
intrigante e l’aria un po’ misteriosa, e, soprattutto adesso che ho conosciuto
queste cose un po’ mistiche che si porta dentro, non riesco proprio a levargli
gli occhi di dosso; ma sono consapevole che non potrete già più di sentirmi
parlare di lui, quindi proverò a concentrarmi sugli altri due. Il Battistero ha
una pianta ottagonale – che non è una cosa fatta a caso, perché rispetta la
simbologia biblica dell’ottavo giorno, dedicato appunto al battesimo. La sua
cupola ricorderebbe molto quella del Brunelleschi a Firenze – non fosse che è
stata costruita due secoli prima. Ma non so se possiamo avere l’ardire di
affermare che sia la cupola del Brunelleschi a ricordare questa. E, ok, detto
questo mi rendo conto che, se il Battistero di Cremona fosse un ragazzo ad una
festa, sarebbe quello che viene etichettato da tutte come “simpatico”. Mi siedo
sui suoi gradini a contemplare il Duomo. L’ho decisamente friendzonato, lo
ammetto.
Il Torrazzo, invece, se fosse un ragazzo,
sarebbe quello più estroverso e ridanciano della compagnia, quello che ci sa
più fare: ha più successo, perché è diventato un simbolo, una delle tre “T” che
identificano Cremona. Ed è anche un successo pressoché meritato, dal momento
che, con i suoi 112 metri di altezza, è tutt’oggi la torre in muratura più alta
al mondo, e, a chi ha voglia di inerpicarsi per i suoi più di 500 gradini,
nelle belle giornate è in grado di regalare una vista panoramica con un raggio
di quasi un centinaio di chilometri. Ha anche un orologio astronomico più
grande di quello del Big Ben, nonché una sfera d’oro in cima che pare contenga
niente meno che un pezzo della Croce di Gesù. Insomma, è proprio uno splendido,
questo Torrazzo, uno di quelli che le spara grosse per conquistarti. Ma io, mi
spiace, ho sempre avuto un debole per quelli più silenziosi e discreti – e,
soprattutto, il caldo mi rende pigra. Per cui rinuncio alla scalata ed alle
lusinghe del Torrazzo – contemplo ancora un altro po’ il mio bello, e mi
inoltro nei vicoli color pastello retrostanti alla piazza alla ricerca di un’altra
delle famose “T”.
Il torrone, intendo. Fra le botteghe
storiche di Cremona la vetrina di Sperlari è una di quelle che maggiormente
appaga gli occhi – e che promette appagamento anche di tutti gli altri sensi.
Ma anche la storica pasticceria Lanfranchi è degna di nota, con la sua
specialità pan di Cremona – una torta margherita alle mandorle ricoperta di
cioccolato, che, un po’ come il Duomo rispetto al Torrazzo, a me è piaciuta persino
di più del torrone, nonostante non nasconda segreti esoterici. Beh, più o meno,
visto che il cioccolato ha sempre un che di mistico, se vogliamo.
Forse è da intendere che lì il tempo che hai perso lo ritrovi, perché sedersi e ristorarsi per bene è in parte una pausa ma è anche una ricarica.
RispondiEliminaSfiziosissime le ipotesi ardite.
Simpatico il paragone coi tre ragazzi, l'ennesima trovata che rende i tuoi ricchi racconti così gradevoli.
Sul tempo perso/ritrovato concordo pienamente con te: nulla di meglio che ritemprarsi ad una buona tavola.
EliminaGrazie Anna, un abbraccio!