E non è solo una questione di colori o di temperature, è l'aria che si respira a piacermi: è un'aria che sa di rinascita, di speranza, che ti fa venir voglia di cominciare qualcosa di nuovo, di scoprire qualcosa che prima non avevi mai preso in considerazione.
E, conseguentemente, di viaggiare.
Ma l'aria di primavera è la mia croce e delizia, dal momento che sono anche allergica a qualche polline ancora non meglio identificato, che mi tramuta, pressoché da sempre, in una versione felina dell'Eolo dei Sette Nani ogni qualvolta mi azzardo a respirarlo a piene narici.
Ora non voglio stare a disquisire su come ogni rosa debba avere le sue spine; preferisco piuttosto dribblare su un collegamento apparentemente sconnesso e raccontarvi del più bel posto in cui mi sia capitato di avere un attacco di allergia, ovvero Whitby, una piccola perla gotica, un po' inquietante ma bellissima, arroccata lungo le coste dello Yorkshire.
Il primissimo impatto con Whitby dà un po' l'impressione che si tratti di una località balneare un po' cheap ed in secondo piano, che si sforza di attrarre turisti ma che finisce di scivolare un po' nel kitsch.
Ovviamente trattasi di kitsch alla britannica, che, non so spiegare perché, riesco comunque a trovare adorabile, come qualunque cosa che sia inglese: ha sempre quell'allure un po' fané e trasandata ad arte, con l'aria malinconica di una nobile decaduta piombata per sbaglio in quest'epoca attraverso una falla spazio-temporale.
E quindi è con piacere che ho lasciato il porticciolo, dove piccole imbarcazioni dall'aria un po' vichinga e dagli scafi con la vernice scrostata aspettano attraccate, con le reti da pesca issate, per avventurarmi fra i vicoletti interni di pietra, dove le sale giochi si alternano ai rigattieri che vendono di tutto e di più da chissà quanti anni, e il profumo di fish & chips, che ti fa venire fame a qualunque ora, si dirada sulle vetrine dei negozi di artigiani che vendono collane ed orecchini di pietre dure con il giaietto che si trova nelle brughiere qui intorno, nerissimo e lucido e molto rinomato durante l'era vittoriana per creare ornamenti da lutto.
Ma il motivo per cui si visita Whitby è un altro, e per vederlo bisogna alzare lo sguardo verso l'alto.
Se c'è la nebbia somiglia al relitto di una nave fantasma, ed è bellissima.
Ma questo lo è sempre, al di là del tempo e delle stagioni, che sono solo accessori diversi che ama indossare e che le stanno sempre bene: si può permettere qualunque cosa sia presente nel suo armadio, e anche vestita di una splendida giornata di tarda primavera come l'abbiamo vista noi, era incantevole.
Sembrava un diadema fatto di pietre, e forse anche di storie e segreti, posto sul capo di Whitby.
E' la sua Abbazia benedettina, costruita sulle falde di un promontorio che protegge l'estuario - o meglio, ciò che rimane di essa, della sua imponente costruzione in stile gotico primitivo risalente al 1078.
Ne rimangono solo le rovine, che però sono sufficienti a capire come fosse, ad intuirne la forma e la bellezza, e a spiare il cielo dai contorni orlati del suo rosone vuoto.
E poi - l'ho già detto innumerevoli volte, su di me le rovine delle chiese medioevali hanno un potere quasi stregonesco: sanno ipnotizzarmi e rapirmi, e la mia mente vola ad immaginare storie, a farsi incantare dal fascino della loro decadenza.
Per arrivare all'abbazia ci sono 199 scalini: e 199 è un numero che mi piace - ho subito pensato. Ha una sua imperfezione, una sua originalità.
Mentre mi ci inerpicavo sotto il sole cocente di fine giugno forse mi piacevano un pochino meno; ma, per quanto possa suonare scontato dirlo, vi assicuro che è così: è una salita che merita la pena.
Vedere i resti dell'abbazia, e vedere quello che l'abbazia stessa vede, un mucchio di case di mattoni rossi raggomitolate nell'insenatura, e il mare, blu ed infinito che si staglia all'orizzonte dietro di esse, merita la pena.
Stare lì a contemplare tutto questo, con la brezza che accarezza l'erba d'intorno ed anche i tuoi capelli, merita la pena.
L'abbazia di Whitby non ha nessuna leggenda particolare ad essa collegata, nonostante si presterebbe molto bene a fare da set a qualche storia un po' cupa e tormentata.
Uno scrittore irlandese che soggiornava in un B&B da queste parti verso la fine dell'800 condivideva con me questo pensiero, e infatti decise di ambientarci un bel libro.
Lo scrittore si chiamava Bram Stoker e il suo romanzo sarà destinato ad influenzare l'immaginario collettivo, trasformando i vampiri da demoni succhiasangue relegati nel folklore locale ad anti-eroi tragici e pericolosamente affascinanti.
Al contrario di quanto succede nel film di F. F. Coppola, il libro di Dracula è ambientato più in Inghilterra che non in Transilvania, e Whitby è il posto in cui il principe Vlad sceglie per poter approdare nel Regno Unito: nel 1885 qui c'era stato veramente un misterioso naufragio che aveva coinvolto una nave russa, e Stoker si ispirò a questo episodio per raccontare come il vampiro riesce ad arrivare sul territorio inglese, sterminando tutto l'equipaggio della nave che lo stava trasportando.
Devo dire che si tratta di un'ottima scelta: Whitby, con il suo fascino gotico, credo possa essere il genere di location che un vampiro sceglierebbe - un vampiro "serio", intendo, di quelli di una volta, non uno di quelli moderni che fanno cose tipo essere vegetariani o brillare come uno Swaroski alla luce del sole.
Oh, ma sul promontorio dell'abbazia ci avrei piantato le tende anch'io, che sono un gatto nero - se non fosse che i giardinieri che curano l'area verde lì intorno (che, come tutto il verde pubblico britannico, è molto curato) hanno deciso di mettersi a tagliare l'erba proprio mentre ero lì...
E la mia contemplazione estatica si è immediatamente trasformata in un attacco allergico di proporzioni epiche: niente più riflessioni profonde e storie gotiche, solo una raffica di starnuti e congiuntivite.
Ho tentato di resistere stoicamente, ma Ginger Cat mi ha provvidamente trascinata via, trascinandomi al sicuro dai pollini nello spazio chiuso di una caffetteria, chiedendo aiuto ad una fetta gigante di chocolate fudge cake per far riprendere il mio sistema immunitario dallo shock.
Con gli occhi gonfi e lacrimosi ed il naso arrossato, sembravo una povera donna dal cuore spezzato che cercava di affogare il proprio dolore nel cioccolato.
Oddio...
Per caso sono stata anch'io sedotta ed abbandonata da un vampiro??
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