Luglio, da qualche anno, per me diventa sempre frenetico: scombina sempre un po' le mie routine, facendole esplodere con un'overdose di cibo, di strappi a qualunque regola, di vita sociale, di cose da fare. Che mi lasciano poco tempo per pensare e metabolizzare.
Cosa che, per me, a tratti è un po' estraniante. Ma dopo mi rendo conto, col senno di poi, che invece mi fa bene.
Luglio rimane sempre il mio mese preferito.
Non solo perché è il mio compleanno. Ha qualcosa di speciale luglio - qualcosa che lo rende leggero, ma non in maniera frivola. Qualcosa che ti regala un punto di vista diverso sulla quotidianità, che te la fa apprezzare meglio. E' l'estate che comincia sul serio e che ancora non vede la sua fine - quindi riesce a risplendere beatamente, sfacciatamente di tutta la sua bellezza e di tutte le sue promesse.
Ognuno di noi cerca delle promesse nell'estate, dei desideri da voler fare avverare.
Qualche stella cadente, qualche messaggio in bottiglia. Qualche segreto bisbigliato al mare. Qualcosa che si insegue da sempre e che, a volte, a luglio, finisce per sembrare vicinissimo.
Forse non è così.
Ma è luglio, e ad una parte di noi piace pensare che lo sia...
#1 - [Il cielo su Torino]
Tornare non mi piace mai molto.
Soprattutto se è dal Regno Unito che torno. Sono ritorni sempre malinconici, passati, come vi raccontavo il mese scorso, in modalità "Mind the gap" - facendo attenzione alla distanza, alla differenza fra quel che vorrei e quello che ho.
Però c'è una cosa che mi piace quando torno.
Il cielo su Torino.
Quando l'aereo si abbassa sotto le nuvole, scavalca la collina e si vede dall'alto il reticolo ordinato di strade perpendicolari, fitto fitto, come una mappa.
Mi incollo al finestrino e inizio a decifrarla, a frugarla: la Mole è facile riconoscerla, poi c'è un cuore candido e circondato dal verde - Piazza Castello. Quell'edificio squadrato ed un po' ottuso è l'università: è bruttino, ma serve da linea guida per andare a cercare, più a destra, il Po ed il Parco del Valentino. Gli archi di vetro di Porta Nuova catturano sempre il sole e sono abbacinanti - più indietro c'è il mio ufficio.
E là, quella lunghissima, rigida linea retta che taglia in maniera obliqua verso le Alpi innevati è corso Francia. C'è casa mia, quasi riesco a vederla.
E intanto l'aereo è già bassissimo sulla pista, fra poco ci sarà l'impatto col suolo.
Quando atterro, a volte, mi sale il groppo in gola.
Ma non so neanch'io se è perché sto tornando o se è perché mi sto di nuovo allontanando...
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#2 - [Sei bella quando piove]
Di nuovo Torino.
Torino è bella (anche) quando piove.
Non tutte le città possono vantare questa caratteristica.
La sua eleganza classica ma dalla personalità forte risplende quando piove. Diventa luminosa, diventa come un accessorio indossato per far risaltare l'insieme: quasi come un riuscire a vedere i problemi non come ostacoli ma come potenzialità - come dice quel vecchio adagio zen a cui ogni tanto ti verrebbe voglia di rispondere in maniera non propriamente oxfordiana.
E qui, in questi giorni, piove anche metaforicamente.
Qui l'argomento del giorno è che Milano ci abbia "rubato" un altro pezzo - quel Salone del Libro che ormai era un'istituzione. Uno dei #10scatti di Maggio era dedicato a lui, e non sapevo che sarebbe stata l'ultima volta che ci sarebbe stato.
Sono arrabbiata per questo? Oh sì, lo sono parecchio - proprio come tanti torinesi.
Sono stata tentata di scrivere un post su tutte le cose che ci ha "rubato" Milano? O su tutte le cose belle che abbiamo e che nessuno ci potrà mai portare via? Un po'. Poi ho pensato che sarebbe stato frignone e poco signorile. E dunque poco torinese.
Semmai ho pensato ad un'autocritica.
Perché se le cose continuano ad accadere ciclicamente la "colpa" non può sempre e solo essere di fattori esterni. Forse qualcosa lo sbagliamo anche noi. Forse dovremmo imparare a vantarci un po' di più. A crederci un po' di più - in ciò che siamo, in ciò che abbiamo.
Forse dovremmo smetterla di dire che "fa lo stesso", "va bene così", "quando puoi". Dovremmo imparare ad incazzarci, a battere i pugni sul tavolo e ad imporci.
Forse dovremmo imparare da come ci portiamo addosso la pioggia.
Dovremmo imparare a far diventare le cadute delle potenzialità.
Perché, in fin dei conti, ricordiamoci che, se ti rubano qualcosa, significa che l'hai fatto bene...
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#3 - [Happpy Birthday to me...]
Compiere 36 anni forse fa un po' impressione, ma ormai ho smesso di farci caso.
Mi faceva già impressione compierne 18, o 25 - quindi ad un certo punto ho deciso che non era il caso di continuare ad avere impressione per tutto il resto della mia vita, e penso che i numeri sono davvero poco importanti. Quello che conta è come li riempi.
Già.
In realtà devo ammettere che il bilancio di come li ho riempiti finora forse non sempre mi pare particolarmente positivo.
Concentrarsi di più su ciò che manca, sulla frustrazione e la malinconia ci viene spontaneo - e da un lato è anche giusto che lo sia, perché è la spinta che ci serve per migliorarci, per cambiare, per riempire questa mancanza.
Però c'è un equilibrio difficile da mantenere, da imparare a costruire, che è quello con ciò che invece abbiamo, con i traguardi che abbiamo raggiunto, con le cose di cui ci importa veramente (e che magari non sempre coincidono con quelle che ci dicono che ci dovrebbero importare).
Bisognerebbe fare l'esercizio di elencarseli tutti i giorni questi traguardi. Non sempre basta, ma è un po' come provare ad essere felici: non si può scegliere di essere felici, perché non dipende solo da noi ma da una miriade di circostanze esterne. Però si può provare. Si può ricordare che la felicità non esiste, esistono solo i momenti felici.
Che ogni tanto capita, magari proprio quando meno li si aspetta.
E i traguardi sono momenti felici.
Ma anche i momenti felici sono traguardi...
Tanti auguri a me.
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#4 - [Tradizioni etniche]
33 anni di amicizia non sono pochi. Sono undici dodicesimi della mia vita. Della sua un po' meno ma quasi.
Comunque, in 33 anni io & Fabiana qualche tradizione abbiamo finito per costruircela - e una di queste è sperimentare un nuovo tipo di cucina etnico per i nostri compleanni.
Immagino che prima o poi non avremo più nuove cucine da provare - ma ci inventeremo qualcos altro. E per ora ce ne sono ancora.
Quest'anno è stata la volta del peruviano.
Mi sono appassionata al ceviche, che vedete nella foto in alto a sinistra: cubetti di pesce crudo marinati in lime e spezie, serviti con cipolle rosse, mais tostato e patate dolci.
Gli altri piatti sono il chicharron de calamares (calamari pastellati serviti con chips di platano), pie de limon e cheesecake al maracuja con quinoa soffiata.
E, chissà come mai, mi è anche venuta voglia di andare in Perù...
[Ristorante Vale un Perù, via San Paolo 52/B, Torino]
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#5 - [Cheese... cake!]
La mia missione gastronomica (oltre a sperimentare tutti i ristoranti giapponesi di Torino) è scovare il miglior cheesecake del mondo - quindi, tendenzialmente, ordino sempre quello come dolce.
Non è facile far bene un cheesecake, a quanto pare: molti sono insapori o troppo dolci - la sinfonia perfetta non è facile da costruire.
Finora, credo di avervelo già detto, il primo in classifica è quello al lampone e cioccolato bianco che (non) ho mangiato al 75 Chestnut di Boston.
Quello della foto è un classico alla newyorchese con coulis di frutti rossi che ha fatto parte dei festeggiamenti di compleanno - però era molto lontano dai primi posti della classifica.
Mi sono rifatta con quello ad hoc che mi prepara ogni anno mia mamma: questo è proprio fuori classifica...
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#6 - [Sputa quel morso di mela]
Questa scultura è comparsa da qualche tempo a Milano, di fronte alla Stazione Centrale.
E mi fa pensare.
Ad esempio a cosa sarebbe successo se Biancaneve non avesse morso la sua mela.
Avrebbe continuato a vivere beatamente, nella sua vita sospirosa ed ingenua nella foresta con i Nani, e nulla sarebbe mai cambiato.
Sarebbe stato meglio?
Difficile a dirsi.
Sarebbe stato più tranquillo, sicuramente. Ma forse anche più noioso.
La mela l'ha cambiata - ma ha poi davvero imparato la lezione?
Ha imparato a fidarsi meno delle tentazioni luccicanti offerte a poco prezzo?
Ha imparato a salvarsi da sola? Ha imparato a dire no, a non aver paura di far sentire la sua voce?
E se non l'avesse morsa Eva? Saremmo ancora a vagare nel giardino dell'Eden, obnubilati da tanta beatitudine. Felici, ma stupidi. Ma felici...
Se non l'avesse morsa Alan Turing? Molti smartphone avrebbero un nome ed un simbolo diverso adesso - ma chissà quali altre innovazioni avrebbe potuto concepire se non ci fosse stato quel morso alla mela avvelenata.
Al di là del caso tristemente concreto del geniale scienziato inglese, la mela è da sempre metafora della conoscenza - a cui tutti aneliamo ma che spesso finisce per dannarci.
E' meglio sapere, essere consapevoli oppure essere felici?
Io ho sempre detto che preferisco la prima, ma più gli anni passano e più la seconda comincia a sembrarmi sempre più allettante...
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Dopo "Mainagioia" parola del mese a Maggio, a Luglio avremmo deciso di assumere un atteggiamento più proattivo, e, sulla scia del boom di Pokemon Go, vorremmo inventare un'app che, anziché i mostriciattoli nipponici, permetta di scovare fonti di gioia e felicità in giro per la città.
L'algoritmo in grado di rilevarle è in fase di studio ed è decisamente molto complicato (ci sarebbe decisamente bisogno che Alan Turing non l'avesse morsa quella mela); ma cominciamo dalle cose semplici - dalle gioie piccole che però, volendo, si riescono a trovare in ogni giornata, e che la rendono piacevole.
Mangiare qualcosa di buono, concedersi mezz'ora di libertà facendo quel che più ci ispira in quel momento, una risata, un momento di complicità con qualcuno.
Oppure, anche, scovare particolari inaspettati, con una loro bellezza.
Come quello della foto, in piazza della Consolata.
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#8 - [...e fortune]
A Torino sono tre i rituali che si dice portino fortuna.
Strofinare il dito mignolo di Cristoforo Colombo nell'altorilievo sotto i portici di Piazza Castello (che però vale principalmente in caso di esami universitari da dover passare); calpestare gli attributi (o il punto in cui dovrebbero essere) del toro in Piazza San Carlo; e toccare il perno che unisce le due catene fra le statue di Castore e Polluce in Piazza Castello.
Ho fatto tutte queste cose un'infinità di volte - ma non sono troppo sicura dei risultati.
O chissà - magari sì, dato che si dice che i due Dioscuri siano in realtà in qualche modo patroni dei viaggi: e su questo fronte non posso dire di non aver avuto occasioni interessanti nel corso degli ultimi anni.
Stavolta ci abbiamo riprovato in tre, contemporaneamente, col perno dei Dioscuri.
Il cosiddetto numero perfetto in teoria dovrebbe amplificarne il risultato, no?
Che siano viaggi o che sia altro... restiamo in attesa dell'eventuale risultato!
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#9 - [Cin cin col bicerìn]
Il bicerìn è una bevanda calda tipica di Torino.
Caffè, cioccolata e schiuma di latte, servite in un bicchiere di vetro a calice e da bere senza aggiungere zucchero né mescolare.
Da non confondere con l'assai simile marocchino - anche se né io né Wikipedia sappiamo dirvi la differenza esatta.
Questa bevanda talmente tipica che, fino a pochi anni fa, quando l'avvento delle Olimpiadi aveva imposto un po' di sano marketing turistico alla città, nessuno sapeva che esistesse al di fuori dei confini regionali.
A me, da ragazzina, quando avevo appena cominciato a frequentare persone non-torinesi, pareva così strano che ci fossero persone ignare dell'esistenza di questa meraviglia del palato che ancora adesso una delle mie principali missioni, quando porto in giro qualcuno alla scoperta della città, consiste nel farlo assaggiare.
Il caffé omonimo che ne detiene il copyright (o, perlomeno, la versione originale) esiste dal 1700 e mantiene gli stessi arredi e la stessa atmosfera di allora. Cavour ne era un'habitué: si sedeva sempre allo stesso tavolino vicino alla finestra - dove oggi c'è un suo ritratto a ricordarlo.
E allora facciamo un cin-cin col bicerìn: alle tradizioni, alla storia, alla dolcezza, alle cose belle - e a Torino.
[Caffé al Bicerìn, piazza della Consolata, Torino]
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#10 - [Looking for a sign]
Io sono patologicamente fissata con i segni del destino, lo ammetto.
Ho un filtro incorporato sugli occhi che me li fa vedere ovunque vado, come se fossero Pokemon.
Sono talmente fissata che finisco per credere più ai segni che ai fatti.
Dicono che anche trovare monete per terra sia un segno.
Io in realtà le trovo molto spesso, ho quasi il fiuto. E quindi non ci faccio nemmeno più tanto caso.
Però l'altro giorno ho trovato un cent. Di dollaro.
E non potevo non farci caso, perché non è proprio comune trovare dollari americani per terra all'uscita di centri commerciali nella periferia di Torino.
Non so se sia un segno, e nemmeno di cosa.
Ovviamente non ci credo.
Altrettanto ovviamente non è vero che non ci credo.
Del resto, l'unico modo per capire se sia o meno un segno è aspettare...
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