Qualcuno se ne stupisce e lo considera strano, probabilmente perché è nato e cresciuto in una tribù di animali da spiaggia e ha sempre frequentato solo animali da spiaggia - finché non ha incontrato me, bestia rara che sotto l'ombrellone si annoia, che ricerca le lande brumose e malinconiche dell'Inghilterra esattamente come un moscerino ricerca la luce, ronzandoci contro, attratto come una calamita, come un desiderio primordiale.
Eppure non è sempre stato così.
Io sono la dimostrazione vivente che certe passioni, certe inclinazioni non si sviluppino perché inculcate durante l'infanzia ma perché le si porta dentro, forse con qualche cromosoma recessivo che non si sa bene da che parte arrivi, quanta strada abbia fatto per riuscire a manifestarsi in maniera chiara e netta nel tuo patrimonio genetico - oppure con qualcosa di più misterioso e potente, qualcosa che regola la direzione in cui il tuo cuore pompa il tuo sangue nelle vene, qualcosa che ti fa accelerare i battiti quando arrivi in un determinato luogo e, anche se non ci sei mai stata prima, ti fa dire "Ecco, questa è casa mia".
Da bambina ero un animale molto più nella norma - almeno per quanto riguarda la scelta della location vacanziera, si intende (che peraltro non dipendeva da me, ovviamente).
Da piccola vestivo anch'io i panni dell'animale da spiaggia, ed applicavo pure io l'equazione matematica standard dell'estate italiana: vacanza = mare.
Quando dicevo in giro che quest'anno avrei trascorso anch'io alcuni giorni al mare, in molti mi hanno guardato sgranando gli occhi. Altri hanno pensato che fossi finalmente rinsavita e volevano quasi festeggiare l'evento.
Nulla di tutto ciò.
La questione è in realtà parecchio più semplice: il fatto che io prediliga un altro genere di vacanza, un genere apparentemente agli antipodi da questo, non significa che i piaceri di mare, sole e spiaggia mi siano completamente alieni.
Il fatto è che, avendo solitamente un numero piuttosto esiguo di giorni da poter trascorrere in modalità vacanza, desidero spenderli in un altro genere di località: personalissimo ordine di priorità di un animale non da spiaggia.
Ma quest'anno la storia è stata lievemente diversa.
Più giorni in modalità vacanza, molti di più.
E quindi... un po' di mare, perché no?
Quanti anni erano che non facevo più una vacanza "di mare"?
Dieci anni?
No, quella volta passavamo sugli scogli a leggere il tempo indispensabile per non abbronzarci - e per il resto l'abbiamo trascorsa esplorando i saliscendi di Imperia, l'anima più intima e meno posh di San Remo, i vicoletti e le botteghe di Bussana Vecchia.
Direi che quindi sono trascorsi quindici anni dall'ultima vacanza "spiaggia & mare" secondo i crismi della definizione italica del concetto.
Confesso che la molla è stata Grado.
Grado non è solo una località balneare sull'Adriatico, ha un cuore, la sua parte vecchia, che è un incanto fiabesco di pietre, vicoli, biciclette e fiori.
A tratti ricorda un paesino di montagna, a tratti alcuni borghi liguri arroccati sui monti per specchiarsi nel mare.
La sera, con le luci che lo tingono d'oro, diventa intimo e fiabesco - e mangiare un saporito piatto di pesce, sotto una tettoia di uva fragola, in mezzo a questi vicoli, è uno di quei momenti di piacere che rendono speciale e memorabile una vacanza.
Ma poi c'è stato lui.
C'è stato il mare.
Quel pezzo di Adriatico non è il migliore. Ci si domanda come sia possibile che in Puglia, o anche solo nelle dirimpettaie Croazia e Slovenia, sia cristallino e trasparente mentre qui e in Riviera Romagnola sia sempre grigioverde e fosco. E' un mare basso e torbido, cammini per decine di metri prima che l'acqua ti arrivi almeno all'altezza delle scapole, eppure già dopo pochi passi, quando le onde ti lambiscono a malapena le caviglie, non vedi più i tuoi piedi, non riesci più a scrutare il fondale che stai calpestando.
Però questa parte "di serie B" dell'Adriatico è l'unica che ho conosciuto, e questo ritorno ha risollevato ricordi e sensazioni che avevo scordato.
La pelle calda di sole, incrostata di sale, imperlata d'acqua.
Il vento fra i capelli, la salsedine nelle narici, il sale sulle labbra.
Le passeggiate lunghe ore sul bagnasciuga, con i piedi che sprofondano nella sabbia, i polpacci doloranti - ma è un dolore che sa di pienezza, di soddisfazione. Le conchiglie che ogni tanto ti trafiggono la pianta del piede.
La sabbia che ti impana fino alla caviglia, e il lettino sempre sporco quando ti sdrai a leggere. La pelle che dopo un po' si secca e si inaridisce, e la voglia di correre di nuovo sulla battigia umida per rinfrescarla.
Mettersi al sole per farsi asciugare il costume addosso dopo il bagno, come se il mare ti appartenesse, e non volessi più toglierlo via dal tuo corpo.
I gabbiani che planano silenti nel cielo come vele bianche. Le file di ombrelloni gialli che ti separano da lui, dalla striscia verde-blu increspata che si staglia all'orizzonte.
La sensazione di libertà assoluta, mista ad un po' di paura, un po' di insicurezza nei confronti delle tue doti natatorie, che provi quando ti immergi fra le onde, quando il tuo corpo si assuefa anche alla botta di freddo più difficile, quella a livello dello stomaco, e allora trattieni il fiato e ti tuffi.
Guardi avanti, e non vedi altro che blu, azzurro, cielo, mare, infinito.
L'avevo scordato questo.
Questa magia del mare.
Questo incantesimo con cui riesce a farti sentire bene anche senza fare nulla, semplicemente contemplandolo. Questa sensazione di pienezza con cui riesce per un attimo a spegnerti i pensieri, forse anche i dolori, e a farti sentire in pace, a far emergere il tuo nucleo più intimo e profondo, a liberarlo da tutti gli obblighi e le catene che lo impacchettano, e a farlo entrare in comunione con lui, con il suo infinito, con la sua libertà.
La cura per ogni cosa è l'acqua salata.
Sudore, lacrime, oppure il mare...
(I. Dinesen)
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