Però, al tempo stesso, è anche vero (seppure in maniera un po' lapalissiana) che, quando le tue aspettative non sono del tutto ben definite, si finisce per essere più propensi ad essere sorpresi in termini positivi.
Della Polonia, lo confesso, non ho mai saputo granché.
Per me questo paese l'ho sempre solo associato ad una delle mie più care amiche - un'anima affine la cui penna si è incrociata con la mia 12 anni or sono, e che, anche se non ci eravamo mai incontrate di persona fino ad ora, per me è sempre stata una figura importante, perché tramite le nostre lettere abbiamo avuto modo di capirci e conoscerci a fondo, tra tutti i traguardi e le disavventure che abbiamo incontrato durante questi anni, tra tutte le nostre luci e le nostre ombre.
Non è affatto poco, certo.
Ma del paese in sè, da un punto di vista strettamente turistico, o anche solo geografico, le mie conoscenze erano penosamente carenti.
Tanto da non sapere, per l'appunto, esattamente che cosa aspettarmi.
Forse noi Occidentali abbiamo un po' la tendenza a relegare tutti i paesi ex comunisti in una sorta di calderone - un po' come se l'utopia sovietica di livellarli tutti e di renderli tutti standardizzati, cancellando identità e peculiarità del singolo, si fosse infine compiuta.
Ma questo non è altro che il classico stereotipo che deriva dal puro e semplice fatto di non conoscere abbastanza.
La storia della Polonia è qualcosa di decisamente molto più ricco e complesso di quanto possa essere il singolo capitolo del comunismo: è una storia molto lunga, spesso fatta di molto dolore, che ha finito per dare a questo paese parecchie cicatrici - ma anche per plasmare la sua bellezza.
Quando ho finalmente cominciato a mettermi in cerca di foto ed informazioni sui posti che avrei visitato durante questo viaggio, mi sono imbattuta in una grandissima quantità di luoghi meravigliosi, sia dal punto di vista architettonico che naturalistico.
Ne sono rimasta così incantata che il mio primo pensiero è stato: "Ma come mai questo paese è così poco gettonato come meta turistica?".
Forse i Polacchi hanno qualcosa in comune con i Torinesi: per anni non abbiamo mai nemmeno preso in considerazione la possibilità di fare un po' di sano marketing territoriale. E questo perché non fa parte della nostra natura vantarci per quello che abbiamo.
Semplice.
Forse stupido, anche.
Però, se vogliamo, questo aiuta a trasformare la sorpresa in qualcosa di ancora più piacevolmente inatteso.
E, guarda caso, il posto in cui ero diretta, Danzica, era per l'appunto uno dei più affascinanti che ho scovato dopo aver digitato la parola "Polonia" nella categoria Viaggi di Pinterest.
Per Danzica la riflessione appena fatta sull'intero paese risulta essere ancora più calzante.
Prima di andarci, l'unica cosa che sapevo di Danzica era quel pezzetto di storia che riguarda Solidarnosc ed i suoi scioperi che, a partire dal 1980, sono riusciti a graffiare la Cortina di Ferro fino a provocarle una prima crepa.
Pertanto, mi ero costruita un'immagine mentale di questa città come di un luogo grigio e pragmatico, duro e lavoratore.
Eppure anche il teatro di una rivolta operaia può essere elegante e variopinto.
Non dovrei forse saperlo, da Torinese??
Danzica riporta le caratteristiche di tante altre città portuali che si affacciano sul Mare del Nord, con case colorate alte e strette che incoronano i corsi d'acqua.
Ognuna di queste città, tuttavia, declina questa caratteristica nel proprio unico, personalissimo stile: e quello di Danzica è delicato e grazioso come una bomboniera - con colori pastello e ricami che somigliano a decorazioni di glassa su una torta.
Ma questo skyline fiabesco non ha mai fatto da set a nessuna storia del genere "E vissero per sempre felici e contenti".
Nel 1945 l'intera torta di marzapane del centro di Danzica è stata trasformata in un doloroso cumulo di briciole da parte dell'esercito russo - incurante della bellezza della sua architettura e dell'importanza di tutte le pagine di storia di cui questi edifici erano testimonianza.
Ma i Polacchi erano talmente abituati alle ferite inferte dai nemici che, attraverso i secoli, hanno imparato a sopravvivere a testa alta, con orgoglio e fierezza, anche con le cicatrici: perciò tutti i palazzi, le chiese, le porte e le strade sono state pian piano fedelmente ricostruite.
Non hanno considerato prioritario il fatto di rimettere in piedi la città il prima possibile, non importa come. Non hanno avuto lo stesso pragmatismo messo in campo dai Tedeschi - con il risultato che oggi molte città della Germania sono costituite da pochissimi edifici storici superstiti, circondati da insignificanti brutture messe su in emergenza negli anni '50.
No, i Polacchi hanno voluto tutto indietro, tutto esattamente com'era, non un mattone in meno e non un arabesco in più.
In realtà non hanno voluto proprio tutto indietro.
Qualcosa hanno lasciato. Alcune rovine sono ancora lì oggi, monito a mai dimenticare quello chhe è successo.
Qualcuno potrà pensare che sia un po' masochista, o quantomeno controproducente, voler continuare a ricordare il dolore.
Le cose brutte è sempre meglio cercare di dimenticarle il più in fretta possibile, perché è l'unico modo per riuscire a lasciarsele alle spalle, per andare avanti.
Ma quei cumuli di macerie sui fianchi della Moldava non credo siano lì tanto per ricordare il dolore, quanto per ricordare invece come siano stati in grado di lottare contro di esso e ricostruire di nuovo ciò che gli era stato portato via.
L'orgoglio è sempre la benzina più potente per riuscire ad andare avanti nonostante tutto, nonché la spinta in grado di trasmettere più forza.
Ma ovviamente l'orgoglio ha anche un altro lato della medaglia, che rischia di declinarsi in un certo grado di testardaggine e di chiusura in sé stessi.
Non sto parlando tanto delle persone, quanto di una sorta di attitudine del paese inteso come collettività.
Mi è stato detto che non è facile viaggiare in questo paese per conto proprio, soprattutto tramite il trasporto pubblico, se non si sa il polacco e/o non si ha dimestichezza su come funzionano le cose qui.
In realtà è un assunto che non sono in grado nè di confermare nè di negare: ho girato per tutto il tempo in compagnia della mia amica polacca e si è presa in carico lei ogni aspetto organizzativo, ricercando/chiedendo tutte le informazioni di cui avevamo bisogno e dicendomi cosa fare e dove andare, quindi per me è stato tutto facilissimo.
Ammetto di aver trovato un po' criptiche alcune delle cose che abbiamo fatto - voglio dire, non sarei stata in grado di arrivarci da sola in maniera rapida ed immediata, però non saprei dire quanto tempo ci avrei impiegato per capirlo o quanto lo avrei trovato difficile e quanti errori avrei finito per fare se fossi stata da sola, magari ritrovandomi su un treno diretto a Cracovia anziché a Danzica.
La maggior parte delle volte le informazioni erano tutte in polacco ed in alcuni casi non c'erano del tutto.
Ma va beh, diciamo che ne è valsa la pena avere a che fare con qualche difetto organizzativo pur di godere della bellezza di Danzica.
[NB. Piccola nota di chiarimento: la situazione sotto questo punto di vista da noi in Italia non è poi così tanto differente. A dire il vero l'unica differenza sostanziale è che la Polonia è di fatto un paese che sta crescendo, economicamente e turisticamente: l'Italia invece è un paese che sta collassando. Per cui, se forse mi posso aspettare che la Polonia migliori sotto questo punto di vista, temo di non poter nutrire grandi speranze in merito all'Italia.
Per cui *per favore* gestori del turismo italiano: non usate la frase di cui sopra come una scusa per giustificare le nostre mancanze. Per favore, no.
Facciamo collane e diademi con le nostre perle, non lasciamole languire nel fango]
Il mio primo incontro con Danzica è avvenuto al tramonto.
Si è presentata con un cielo variegato di rosso e blu, con le sue case color pastello del lungofiume di Dlugie Pobrzeze che si specchiano nella Moldava e i vascelli di legno nel fiume che incorniciano l'immagine, come una specie di cartolina vintage, o addirittura come un dipinto.
Per poter entrare dentro
la Città Vecchia, bisogna attraversare la Brama Wyzynna ( Porta Alta), resto
delle vecchie mura cittadine - al tempo stesso militarescamente imponente, con
i suoi pezzi di artiglieria ed il suo ponte levatoio, ed aggraziato, con i suoi
fregi e le statue dorate.
La scritta che la adorna
declama "Iustitia et pietas duo sunt regnorum omnium fundamenta" (La
giustizia e la pietà sono le fondamenta di ogni regno).
Suona molto seria e
saggia, ma ne è uscita fuori, chissà quanto involontariamente, una storpiatura
goliardica ed autoironica, dato che oggi la parte più visibile è l'ultimo
pezzo, che pare proclamare che il fondamento di tutto sia il rum.
Ma suppongo che da queste parti sia più corretto
parlare di vodka.All'ingresso della porta c'è una piccola bancarella che vende Serki Wedzone (un formaggio grigliato che ricorda un po' la scamorza affumicata).
Ne basta un morso, con o senza salsa al mirtillo, e ci si sente pronti ad entrare dentro la fiaba, un po' come Alice nel Paese delle Meraviglie con i suoi funghi e pasticcini.
E si è persino accompagnati dalla musica incantata di un violino, che rende l'incantesimo ancora più potente.
Le alte case color
pastello ti circondano come alberi di una foresta incantata, e ciascuna di esse
ha una storia da raccontare, che ha lasciato il proprio segno attraverso le
misteriose metafore dei simboli che decorano le loro facciate ed i loro tetti.
Il tramonto che infiamma
il cielo sembra richiamare gli stessi delicati e variegati colori che
tinteggiano le case. Pare di essere in un quadro vivente che non rapisce
soltanto la vista, ma anche gli altri sensi, attraverso gli odori dei cibi, il
suono dei violini e le luci dei lampioni che danno profondità alla
rappresentazione, rendendo viva l'emozione, e mutevole come il gioco d'ombre
che si proietta sulla strada e sugli edifici.
Il cuore di questa fiaba
vivente è il Palazzo del Municipio Principale, il cui pinnacolo domina lo
skyline cittadino come un faro, trasmettendo autorità e senso di direzione a
ciò che lo circonda.
Il Municipio ha come guardiano una divinità: Nettuno, il dio dei mari, sotto forma di una statua di bronzo che emerge da una fontana.
Questa statua è stata rimossa e nascosta durante la guerra - ma questo non significa che il dio sia fuggito di fronte alla tragedia ed al pericolo: semplicemente è andato in un posto in cui potesse continuare a proteggere la città.
Questa strada fiabesca
chiamata Dlugi Targ termina con una magnifica porta a quattro arcate denominata
la Casa Verde, che era stata costruita per i monarchi polacchi come dimora
durante le loro visite ufficiali alla città.
Ma la sua bellezza è solo esteriore e non si
rispecchia nel suo animo: è situata talmente vicino al fiume che, in quei
tempi, non solo i suoi interni erano terribilmente umidi, ma anche parecchio
maleodoranti. Una mossa molto astuta da parte degli abitanti di Danzica per evitare le non poi così gradite visite dei loro governanti.
Ma la fiaba non termina
qui, con questa sorta di Casetta di Marzapane per re: continua a scorrere lungo
il fiume, sulla Dlugie Pobrzeze, con i suoi pub e le case a graticcio dal
sapore tedesco che si specchiano nell'acqua; e poi, ad un certo punto, svolta
improvvisamente a destra dentro un altro vicoletto incantato, che si chiama Ul.
Mariacka.
Qui la fiaba diventa più
intima, più raccolta.
Qui la fiaba si trasforma in poesia.
Ci sono pittori, ci sono
negozi di antiquariato, ci sono gioielli fatti d'ambra, c'è un concentrato di
bellezza talmente delicato eppure persistente che ti lascia stregata, come una
melodia che parla direttamente al tuo cuore, o come il primo momento in cui ti
rendi conto che ti sei innamorata.
I doccioni di pietra non
servono più per espellere l'acqua, ma semplicemente per dare una lieve sferzata
di gotico alla romantica atmosfera ottocentesca del vicolo.
E in realtà questo
dettaglio rispecchia l'aria che si respira in un po' tutta la città:
un'apparenza morbida e delicata, come una bomboniera, ma con un'anima gotica,
ombrosamente intensa.
La mia seconda visita è
avvenuta durante un pomeriggio incredibilmente caldo, con 35 gradi e le
bancarelle della 754esima Fiera di San Domenico che affollavano i vicoletti.
L'insano quantitativo di
esseri umani pigiati nelle strade e l'afa che opprimeva l'aria hanno fatto
parzialmente svanire la magia di un paio di sere prima; ma la Fiera di San
Domenico è una tradizione che dura fin dal 1260, e, se anche la folla odierna
potrà apparire un po' fastidiosa, non è davvero nulla in confronto ai rischi
che si correvano in pieno Medioevo, con i Cavalieri Teutonici che piombavano
all'improvviso a rovinare la festa uccidendo i mercanti e distruggento le
bancarelle.
La fiera è una festa per i sensi, con i suoi invitanti
profumini di salsicce e formaggio affumicato alla griglia; ma è stata un po'
meno festosa per il mio portafoglio, dal momento che, a quanto pare, gli oggetti a tema gatto nero sono particolarmente amati dagli artigiani che vi hanno partecipato.
La Mariacka rimane ancora
un'oasi di pace in mezzo all'imbottigliamento della fiera: c'è ancora pace, e
silenzio, e gatti che vagano fra i suoi vecchi edifici pensierosi ed il suo
pavè.
Beh, ma in realtà qui
pare che di gatti ce ne siano ovunque.
Neri, tigrati o rossi,
che si nascondono fra i cespugli, che si strusciano contro rametti rinsecchiti,
che dormono sugli usci delle porte o semplicemente disegnati con tratti
umanoidi sui muri di vecchie case vicino alla stazione.
Quindi, forse, questa non
è stata davvero una sorpresa, cara Danzica.
Siamo sempre state anime
gemelle, in fin dei conti...
argh, spero di non aver problemi organizzativi: io vado da sola... e non so una parola di polacco!
RispondiEliminaNo, spero di no!
EliminaIo ammetto di aver avuto la percezione che se non ci fosse stata Alexandra mi sarei trovata in difficoltà in alcune situazioni; ma magari sarei riuscita a cavarmela comunque in qualche modo...