marzo 20, 2018
Non tutti i re siedono su un trono.
Lo dico sempre, nelle mie piccole crociate personali contro fama ed apparenza, sventolando questo mio motto, che marketing e meriti non sempre coincidono - ed è una bandiera che mi fa sembrare un po' Cassandra inascoltata, in questo mondo in cui sapersi vendere bene conta più di ciò che dovresti vendere. Ma del resto le bandiere le scegli solo se ci credi, ed è questo quel che serve per sventolarle.
Ci sono re senza trono, quindi.
Re che stanno in disparte, un po' trascurati, evitando investimenti particolari in forme efficaci di public relations, e perdendo pertanto il titolo agli occhi dei più - regalandolo a qualcun altro.
Eppure, non appena hai occasione di conoscerli, per caso o perché li cerchi, lo capisci - lo capisci subito che sono loro che meritano il trono di diritto.
Io ne ho appena incontrato uno, di questi re amanti della solitudine, poco inclini alle lusinghe mondane - e, anche se magari a lui importerà poco, per quanto mi riguarda, invece, ci tenevo in maniera particolare a raccontarvelo.
Questo sovrano restio a scalare i ranking di popolarità regna su di un territorio, quello dei cimiteri monumentali, che è già di per sé una nicchia per pochi intimi - i suoi sudditi tafofili dall'anima gotica e malinconica.
Pere Lachaise? direte allora.
Ebbene no.
Lo so che è il primo nome che viene in mente, nominando l'argomento. Ed aggiungo anche che è una fama più che meritata - però no.
La celebrità parigina ha un fascino ricco e struggente, e io stessa l'ho a lungo considerato il re - ma, quando ho finalmente conosciuto lui, ho capito: il vero re, "il" cimitero per eccellenza era un altro. E' sempre stato un altro.
Dimenticato, vandalizzato e a lungo abbandonato a se stesso - ma, nonostante tutto questo, è sempre stato lui.
Sto parlando di Highgate, perla gotica di Londra, tesoro decadente in cui la vita e la morte si abbracciano, armonia silenziosa e struggente fra ciò che è stato e ciò che, forse, può ancora essere.
Highgate in realtà è di una quarantina d'anni più giovane del Lachaise, e fu progettato su ispirazione di quest'ultimo; però c'è poco da dire - ci sono cose che fatte nell'Inghilterra vittoriana non possono che venire meglio, un po' come mettere un brasiliano a giocare a calcio.
L'epoca vittoriana è stata un meraviglioso concentrato di crinoline nere, di romanticismo a tinte fosche e malinconia agrodolce - tanto da avere un rapporto con la morte molto diverso da quello un po' negazionista che abbiamo oggi.
Forse era una reazione ad una società che tendeva a gestire in maniera controllata e quasi soffocata molti aspetti della vita quotidiana, o forse semplicemente perché in quel periodo la mortalità, soprattutto infantile, era elevatissima - e dunque andava affrontata, non si poteva rifuggire nascondendola sotto al tappeto, ignorandola fino al giorno in cui non è più possibile farlo.
A me piace pensare che questo atteggiamento non fosse solo sprigionato da cinismo necessario per sopravvivere ed altre forme d'ombra, ma anche da una saggia eredità tramandata dalla cultura celtica e dalla sua visione della vita come un circolo che si ripete in tondo - un cerchio di cui anche la morte inevitabilmente fa parte, come punto di rottura che permette di voltare pagina, finire un capitolo, trasformarsi e ricominciare.
I Vittoriani avevano paura della morte, come tutti.
I Vittoriani erano devastati dalla morte, come tutti.
Ma non avevano paura a nominarla. Non ne parlavano con pudore, con la scaramanzia sciocca che pensa che basti non farne discorsi per riuscire a tenerla lontana il più possibile. Non la relegavano dietro ad un cancello di ferro battuto, sotto una lastra di marmo, da visitare solo una volta all'anno, per le feste comandate.
L'epoca vittoriana era intrisa di morte. O meglio, di consapevolezza della morte.
Lo era nelle sue atmosfere malinconiche, nella sua ricerca delle ombre. Lo era nel suo romanticismo decadente, silenzioso, ma estremo nel suo sentire, estremo nel suo manifestare, quando sfuggiva ribelle dalle strette maglie morali del puritanesimo di quella società.
La morte era una tessera che si inseriva in tutto ciò come una sorta di territorio franco in cui poter lasciar libero sfogo a tutti i sentimenti e l'emotività che la vita voleva rimanessero più inibiti: tutto ciò che viene represso cova nell'ombra e finisce per alimentarla, per diventarne parte; ma la morte è ombra essa stessa, e, forse, in determinate circostanze, può non essere soltanto una tragedia, ma anche uno sfogo.
Quasi una liberazione.
A volte anche la morte serve.
Per sentirsi vivi.
Highgate è stato la punta di diamante di un progetto denominato "I Magnifici Sette", che comprese la costruzione di sette luoghi di sepoltura sparsi sul territorio londinese, attorno alla metà del diciannovesimo secolo.
Fu una soluzione resa necessaria dal fatto che la città stava crescendo in maniera esponenziale in termini di popolazione, e, continuare ad inumare i cadaveri all'interno ed all'esterno delle chiese, come si era sempre fatto, cominciava a presentare problemi di ordine logistico ed igienico.
La prima tomba fu scavata qui nel 1839 - e il cimitero fu già concepito in origine come meta turistica, e non solo di cordoglio.
Tombe che sono opere d'arte che sorgono in mezzo ad una riserva naturale popolata di alberi ed animali.
Vita e morte sedute a fianco, a raccontarsi di tutto quello che è stato, di tutto quello che può ancora essere.
Io questo re seduto in disparte era da tanto tempo che volevo passare a trovarlo.
Continuavo a sfogliare le sue foto on line, a bearmi dei racconti degli amici che c'erano stati, però poi, ogni volta che andavo a Londra, per un motivo o per un altro non riuscivo mai ad andare da lui.
Questa volta me lo son dato come obiettivo.
Oggi è più facile andarlo a trovare, rispetto a qualche anno fa.
C'è un sito Internet su cui poter prenotare e pagare la visita con diverse settimane di anticipo: la parte ovest del cimitero è accessibile solo tramite visita guidata, mentre in quella est si può girare liberamente. Il biglietto per la prima comprende anche l'accesso alla seconda e, mentre scrivo, costa 12 £.
Highgate si trova nel quartiere di Islington, nella parte nord di Londra, poco più in su di Camden Town.
Il modo più semplice di arrivarci con i mezzi pubblici è prendere la Northern fino alla fermata di Archway, e poi da lì andare a piedi: è una passeggiata di una decina di minuti circa, attraverso il piacevole parco di Waterlow, oppure costeggiando il signorile centro abitato di Swain Lane.
Il cimitero aveva subito danni ingenti durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e nel 1975 era stato chiuso a causa di atti di vandalismo che avevano ulteriormente mutilato quel che già le bombe avevano rovinato.
Oggi il tutto è stato restaurato e viene mantenuto grazie ad un gruppo di volontari che si occupano anche di guidare ed accogliere i visitatori.
I soldi del biglietto vengono utilizzati interamente per la cura delle tombe e degli spazi verdi.
E per me è sempre fonte di stupore ed ammirazione come in questo Paese si abbia una cultura di tale considerazione ed amore per il proprio passato e per il proprio patrimonio culturale tanto da poter permettere piccoli grandi miracoli di questo tipo.
Highgate è fatto di viali, che si dipanano in salita fra questi filari selvaggi di bosco, e altri sentierini, più sottili, più fangosi, meno delineati e più opinabili, che serpeggiano fra le lapidi diroccate, che si confondono fra l'erba e l'edera.
Piove.
In maniera rarefatta, delicata - come spesso piove in Inghilterra.
L'aria ha un ché di etereo - sembra quasi di essere finiti in una qualche fiaba gotica. Di sicuro in una parentesi senza tempo, dove frenesia e modernità capiscono di non essere poi così importanti.
Le pietre tombali di Highgate sono verdi: le rocce da cui sono state scolpite, in quasi 200 anni si sono impregnate di muschi - come se in realtà esistessero da ancora più anni, come se lentamente si stessero fondendo con la natura circostante.
Come se fosse la vita a dominare sulla morte, e non viceversa.
Le lapidi si confondono in mezzo all'edera, alle sue foglie verde e alle sue dita sottili e contorte che si arrampicano attorno alle pietre funebri abbracciandole, stringendole strette come un ultimo addio, come se non volessero lasciarle andare.
Ci sono croci celtiche e urne coperte da un panno per non lasciare fuggire le anime che lì riposano.
Ci sono sculture di animali amati e parole di commiato struggenti.
C'è un cedro del Libano che abbraccia un circolo di loculi con le porte in ferro battuto che oggi non nascondono più altro che polvere e qualche nome scolpito.
C'è anche una leggenda - di un vampiro, alto, spettrale, con gli occhi crudeli, che più volte era stato visto aggirarsi, solitario, inquieto, fra le tombe al calare del buio.
Qualcuno aveva detto che fosse il Re dei Vampiri.
Sembra più che giusto, per il re dei cimiteri.
Chissà se i suoi occhi erano davvero crudeli o solo alla ricerca di qualcosa che non si trova.
Non lo sappiamo - da quando ha cominciato ad attirare troppo l'attenzione il Re dei Vampiri non si è più fatto vedere.
Highgate, del resto, non è solo un cimitero.
E' una foresta incantata. Un sogno gotico ad occhi aperti.
O forse un incubo, se per caso la ritenete più adatta come definizione.
Ma in ogni caso il suo fascino ipnotico non può lasciare indifferenti.
Se poi susciti più un'inquietudine o più quella sorta di commozione incantata che si sente di fronte alle cose belle, questo dipende fondamentalmente da voi.
Da ciò con cui vi siete abituati a venire a patti.
Da quello di cui avete imparato ad essere consapevoli.
Da quanto avete imparato a vedere la bellezza anche nella sincerità più spietata.
E se avete accettato che la morte è inevitabilmente parte della vita - così come, a volte, anche il dolore può servire per arrivare alla felicità.
Non tutti i re siedono su un trono. Lo dico sempre, nelle mie piccole crociate personali contro fama ed apparenza, sventolando questo m...
Highgate, il re dimenticato dei cimiteri
Non tutti i re siedono su un trono.
Lo dico sempre, nelle mie piccole crociate personali contro fama ed apparenza, sventolando questo mio motto, che marketing e meriti non sempre coincidono - ed è una bandiera che mi fa sembrare un po' Cassandra inascoltata, in questo mondo in cui sapersi vendere bene conta più di ciò che dovresti vendere. Ma del resto le bandiere le scegli solo se ci credi, ed è questo quel che serve per sventolarle.
Ci sono re senza trono, quindi.
Re che stanno in disparte, un po' trascurati, evitando investimenti particolari in forme efficaci di public relations, e perdendo pertanto il titolo agli occhi dei più - regalandolo a qualcun altro.
Eppure, non appena hai occasione di conoscerli, per caso o perché li cerchi, lo capisci - lo capisci subito che sono loro che meritano il trono di diritto.
Io ne ho appena incontrato uno, di questi re amanti della solitudine, poco inclini alle lusinghe mondane - e, anche se magari a lui importerà poco, per quanto mi riguarda, invece, ci tenevo in maniera particolare a raccontarvelo.
Questo sovrano restio a scalare i ranking di popolarità regna su di un territorio, quello dei cimiteri monumentali, che è già di per sé una nicchia per pochi intimi - i suoi sudditi tafofili dall'anima gotica e malinconica.
Pere Lachaise? direte allora.
Ebbene no.
Lo so che è il primo nome che viene in mente, nominando l'argomento. Ed aggiungo anche che è una fama più che meritata - però no.
La celebrità parigina ha un fascino ricco e struggente, e io stessa l'ho a lungo considerato il re - ma, quando ho finalmente conosciuto lui, ho capito: il vero re, "il" cimitero per eccellenza era un altro. E' sempre stato un altro.
Dimenticato, vandalizzato e a lungo abbandonato a se stesso - ma, nonostante tutto questo, è sempre stato lui.
Sto parlando di Highgate, perla gotica di Londra, tesoro decadente in cui la vita e la morte si abbracciano, armonia silenziosa e struggente fra ciò che è stato e ciò che, forse, può ancora essere.
Highgate in realtà è di una quarantina d'anni più giovane del Lachaise, e fu progettato su ispirazione di quest'ultimo; però c'è poco da dire - ci sono cose che fatte nell'Inghilterra vittoriana non possono che venire meglio, un po' come mettere un brasiliano a giocare a calcio.
L'epoca vittoriana è stata un meraviglioso concentrato di crinoline nere, di romanticismo a tinte fosche e malinconia agrodolce - tanto da avere un rapporto con la morte molto diverso da quello un po' negazionista che abbiamo oggi.
Forse era una reazione ad una società che tendeva a gestire in maniera controllata e quasi soffocata molti aspetti della vita quotidiana, o forse semplicemente perché in quel periodo la mortalità, soprattutto infantile, era elevatissima - e dunque andava affrontata, non si poteva rifuggire nascondendola sotto al tappeto, ignorandola fino al giorno in cui non è più possibile farlo.
A me piace pensare che questo atteggiamento non fosse solo sprigionato da cinismo necessario per sopravvivere ed altre forme d'ombra, ma anche da una saggia eredità tramandata dalla cultura celtica e dalla sua visione della vita come un circolo che si ripete in tondo - un cerchio di cui anche la morte inevitabilmente fa parte, come punto di rottura che permette di voltare pagina, finire un capitolo, trasformarsi e ricominciare.
I Vittoriani avevano paura della morte, come tutti.
I Vittoriani erano devastati dalla morte, come tutti.
Ma non avevano paura a nominarla. Non ne parlavano con pudore, con la scaramanzia sciocca che pensa che basti non farne discorsi per riuscire a tenerla lontana il più possibile. Non la relegavano dietro ad un cancello di ferro battuto, sotto una lastra di marmo, da visitare solo una volta all'anno, per le feste comandate.
L'epoca vittoriana era intrisa di morte. O meglio, di consapevolezza della morte.
Lo era nelle sue atmosfere malinconiche, nella sua ricerca delle ombre. Lo era nel suo romanticismo decadente, silenzioso, ma estremo nel suo sentire, estremo nel suo manifestare, quando sfuggiva ribelle dalle strette maglie morali del puritanesimo di quella società.
La morte era una tessera che si inseriva in tutto ciò come una sorta di territorio franco in cui poter lasciar libero sfogo a tutti i sentimenti e l'emotività che la vita voleva rimanessero più inibiti: tutto ciò che viene represso cova nell'ombra e finisce per alimentarla, per diventarne parte; ma la morte è ombra essa stessa, e, forse, in determinate circostanze, può non essere soltanto una tragedia, ma anche uno sfogo.
Quasi una liberazione.
A volte anche la morte serve.
Per sentirsi vivi.
Highgate è stato la punta di diamante di un progetto denominato "I Magnifici Sette", che comprese la costruzione di sette luoghi di sepoltura sparsi sul territorio londinese, attorno alla metà del diciannovesimo secolo.
Fu una soluzione resa necessaria dal fatto che la città stava crescendo in maniera esponenziale in termini di popolazione, e, continuare ad inumare i cadaveri all'interno ed all'esterno delle chiese, come si era sempre fatto, cominciava a presentare problemi di ordine logistico ed igienico.
La prima tomba fu scavata qui nel 1839 - e il cimitero fu già concepito in origine come meta turistica, e non solo di cordoglio.
Tombe che sono opere d'arte che sorgono in mezzo ad una riserva naturale popolata di alberi ed animali.
Vita e morte sedute a fianco, a raccontarsi di tutto quello che è stato, di tutto quello che può ancora essere.
Io questo re seduto in disparte era da tanto tempo che volevo passare a trovarlo.
Continuavo a sfogliare le sue foto on line, a bearmi dei racconti degli amici che c'erano stati, però poi, ogni volta che andavo a Londra, per un motivo o per un altro non riuscivo mai ad andare da lui.
Questa volta me lo son dato come obiettivo.
Oggi è più facile andarlo a trovare, rispetto a qualche anno fa.
C'è un sito Internet su cui poter prenotare e pagare la visita con diverse settimane di anticipo: la parte ovest del cimitero è accessibile solo tramite visita guidata, mentre in quella est si può girare liberamente. Il biglietto per la prima comprende anche l'accesso alla seconda e, mentre scrivo, costa 12 £.
Highgate si trova nel quartiere di Islington, nella parte nord di Londra, poco più in su di Camden Town.
Il modo più semplice di arrivarci con i mezzi pubblici è prendere la Northern fino alla fermata di Archway, e poi da lì andare a piedi: è una passeggiata di una decina di minuti circa, attraverso il piacevole parco di Waterlow, oppure costeggiando il signorile centro abitato di Swain Lane.
Il cimitero aveva subito danni ingenti durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e nel 1975 era stato chiuso a causa di atti di vandalismo che avevano ulteriormente mutilato quel che già le bombe avevano rovinato.
Oggi il tutto è stato restaurato e viene mantenuto grazie ad un gruppo di volontari che si occupano anche di guidare ed accogliere i visitatori.
I soldi del biglietto vengono utilizzati interamente per la cura delle tombe e degli spazi verdi.
E per me è sempre fonte di stupore ed ammirazione come in questo Paese si abbia una cultura di tale considerazione ed amore per il proprio passato e per il proprio patrimonio culturale tanto da poter permettere piccoli grandi miracoli di questo tipo.
Highgate è fatto di viali, che si dipanano in salita fra questi filari selvaggi di bosco, e altri sentierini, più sottili, più fangosi, meno delineati e più opinabili, che serpeggiano fra le lapidi diroccate, che si confondono fra l'erba e l'edera.
Piove.
In maniera rarefatta, delicata - come spesso piove in Inghilterra.
L'aria ha un ché di etereo - sembra quasi di essere finiti in una qualche fiaba gotica. Di sicuro in una parentesi senza tempo, dove frenesia e modernità capiscono di non essere poi così importanti.
Le pietre tombali di Highgate sono verdi: le rocce da cui sono state scolpite, in quasi 200 anni si sono impregnate di muschi - come se in realtà esistessero da ancora più anni, come se lentamente si stessero fondendo con la natura circostante.
Come se fosse la vita a dominare sulla morte, e non viceversa.
Le lapidi si confondono in mezzo all'edera, alle sue foglie verde e alle sue dita sottili e contorte che si arrampicano attorno alle pietre funebri abbracciandole, stringendole strette come un ultimo addio, come se non volessero lasciarle andare.
Ci sono croci celtiche e urne coperte da un panno per non lasciare fuggire le anime che lì riposano.
Ci sono sculture di animali amati e parole di commiato struggenti.
C'è un cedro del Libano che abbraccia un circolo di loculi con le porte in ferro battuto che oggi non nascondono più altro che polvere e qualche nome scolpito.
C'è anche una leggenda - di un vampiro, alto, spettrale, con gli occhi crudeli, che più volte era stato visto aggirarsi, solitario, inquieto, fra le tombe al calare del buio.
Qualcuno aveva detto che fosse il Re dei Vampiri.
Sembra più che giusto, per il re dei cimiteri.
Chissà se i suoi occhi erano davvero crudeli o solo alla ricerca di qualcosa che non si trova.
Non lo sappiamo - da quando ha cominciato ad attirare troppo l'attenzione il Re dei Vampiri non si è più fatto vedere.
Highgate, del resto, non è solo un cimitero.
E' una foresta incantata. Un sogno gotico ad occhi aperti.
O forse un incubo, se per caso la ritenete più adatta come definizione.
Ma in ogni caso il suo fascino ipnotico non può lasciare indifferenti.
Se poi susciti più un'inquietudine o più quella sorta di commozione incantata che si sente di fronte alle cose belle, questo dipende fondamentalmente da voi.
Da ciò con cui vi siete abituati a venire a patti.
Da quello di cui avete imparato ad essere consapevoli.
Da quanto avete imparato a vedere la bellezza anche nella sincerità più spietata.
E se avete accettato che la morte è inevitabilmente parte della vita - così come, a volte, anche il dolore può servire per arrivare alla felicità.
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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Oh certo, se marketing e meriti coincidessero nin ci sarebbe bisogno del marketing, basterebbero i meriti. 😉
RispondiEliminaQuesto è indubbiamente un re dei luoghi da incanto!
Hai pienamente ragione, in effetti!
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