Sono le 4 del mattino. Il cielo è nero ma sembra che non ci siano nubi. Cioè, è difficile a dirsi, ma dopo un po' gli occhi si ass...

Machu Picchu, e i segreti nelle rocce Machu Picchu, e i segreti nelle rocce

Machu Picchu, e i segreti nelle rocce

Machu Picchu, e i segreti nelle rocce



Sono le 4 del mattino.
Il cielo è nero ma sembra che non ci siano nubi.
Cioè, è difficile a dirsi, ma dopo un po' gli occhi si assuefanno all'oscurità - e, nella coltre buia che ci circonda, si cominciano a distinguere le sfumature: c'è la mole cupa ed imponente di qualche montagna, ma il cielo sembra di colore uniforme, terso.
I sentierini di cemento di Aguas Calientes sono poco illuminati - qualche lampada elettrica qua e là, che butta chiazze giallastre nei vicoli, ma che lascia buia la stretta che fiancheggia il fiume e le montagne, lasciando solo indovinare lo scorrere tumultuoso dell'acqua più sotto, in base al suo lamento che si sussegue fra le rocce.
Il fiume di acqua è giù - qua, più in alto, c'è il fiume di gente.
Il fiume di gente scorre silenzioso ed ordinato, quasi in fila indiana - e io ci sono in mezzo.
Ho preso del caffè in fretta per carburare, ma non gli do particolari meriti per il fatto di non sentirmi minimamente assonnata nonostante la levataccia antelucana.
Sto andando a Machu Picchu - ed è questo il motivo per cui mi sento sveglia.



La coda serve per salire sui mini autobus che dal villaggio di Aguas Calientes ti trasportano fino al misterioso sito archeologico: partono alle 6 del mattino e fino a sera non si fermano mai, portando e scaricando persone a flusso ininterrotto.
La coda è molto lunga ma alla fine scorre via abbastanza rapidamente.
Finalmente è il nostro turno di salire sul pulmino, che si inerpica con l'agilità di un fuoristrada per le curve a gomito del sentiero sterrato che conduce fino ai cancelli d'ingresso.
Il cielo intanto comincia a schiarirsi, e, alla vista del sole che fa capolino su in alto, fra le cime degli alberi, mi sento come un vampiro sorpreso dall'alba.
Cioè, di fatto lo sono.
Il vampiro era quella parte di me che sognava scalpitante di poter assistere allo spettacolo del sole che sorge proprio lì, da dietro le montagne che circondano le rovine Inca più famose del mondo.
Ma il maledetto mi ha preceduta.
E la mia speranza si è polverizzata.


Peccato, rimugino un pochino delusa mentre supero i cancelli e mi avvio per il sentiero che porta al sito.
Il sentiero si snoda per qualche minuto nella foresta ed è l'ultimo pezzo del percorso che, le popolazioni indigene prima, e ad Hiram Bingham, l'esploratore americano che rivelarono al mondo questa meraviglia, poi, dovevano fare per arrivarci - lasciato intatto per poter regalare a tutti lo stesso senso di stupore ed incanto che provarono loro a vederselo comparire dinnanzi all'improvviso.
E così è.


Un'ultima curva in salita ed il sentiero si apre - ed eccolo lì.
Uno dei luoghi più iconici ed affascinanti della Terra, una delle stazioni energetiche più potenti del pianeta, a detta degli esoteristi, la mitica (forse) Città Perduta in cui gli Inca si rifugiarono per sfuggire agli Spagnoli, l'unica cittadella indigena ad essere stata lasciata intatta dai conquistadores - il Machu Picchu: "montagna vecchia", in lingua quechua - e sicuramente questo luogo mistico e misterioso, ammantato di un incanto che lo lascia sospeso fuori dal tempo, emana quell'aura di venerabile saggezza che si accompagna al fianco destro della vecchiaia, fra i suoi esigui, scarni vantaggi.


Da dietro le montagne altissime, cupe di vegetazione che lo circondano, il sole sta facendo fatica a risalire.
Di tanto in tanto getta qualche raggio baluginante, lungo ed acuto, fra le cime dei monti - che giunge fino ad accarezzare le rovine.
Il mio vampiro interiore si rianima e sorride: ci saremo persi l'alba ma anche così lo spettacolo è notevole, e ci ricompensa con assoluta generosità.


Siamo a circa 2500 metri d'altezza - un'inezia, dopo aver avuto il nostro battesimo di soroche, come i Peruviani chiamano il mal di montagna, nella Valle del Colca, con la sua altitudine media di 4000 metri.
Continuo a pensare che questi Inca dovessero avere delle gambe davvero splendide, più ancora degli abitanti di San Francisco, se dovevano farsi avanti e indietro questi ripidi gradoni di roccia tutti i santi giorni - per non parlare di quando li hanno costruiti, trasportando tutto il materiale fin quassù.
Più che gambe splendide, in questo caso, avranno avuto dei bicipiti da fare invidia al dio Thor.
O forse Thor aveva un cugino peruviano e ci ha pensato lui - anche se sarebbe il primo caso di una divinità che fatica per costruire qualcosa di mastodontico per gli umani, dato che di solito accade il contrario.


Comunque, come abbiano fatto a costruirlo ancora non si sa.
E non si sa nemmeno perché abbiano voluto costruirlo proprio qui.
Voglio dire - non che tutto il territorio peruviano, pieno di saliscendi com'è, sia in ogni caso ottimale; però sicuramente un posto più comodo forse si poteva trovare.
Alcune teorie parlano di fattori geografici ed astronomici, poiché ha una posizione strategica all'incrocio fra quattro montagne che sorgono esattamente sui quattro punti cardinali; altre ipotesi sono più prosaiche, e semplicemente si basano sulla composizione geologica dell'area, che offriva grandi potenzialità dal punto di vista agricolo.
Di sicuro credo ci sia che chi ha deciso dove andava costruito poi non abbia partecipato attivamente ai lavori.
Ma a sua discolpa c'è senz'altro il fatto che la scelta si è rivelata azzeccatissima: gli Spagnoli non hanno mai trovato Machu Picchu, e quindi è l'unico sito che si è preservato intatto fino ai giorni nostri - o perlomeno è stato danneggiato solo dallo scorrere del tempo e dall'opera degli agenti atmosferici, ma non da razzie e vandalizzazioni umane.


In realtà, a ben vedere, siamo quasi 1000 metri più in basso rispetto a Cusco - ma, magia del Perù, come nel Colca non mi sembrava di essere così in alto, qui non mi sembra di essere così (relativamente) in "basso".
Immagino sia opera dell'illusione ottica creata dalle pendici ripidissime su cui sorge, che lo fanno sembrare quasi sospeso a mezz'aria, sulle anse a gomito del fiume Urubamba che si vede scorrere giù in basso, molto in basso, come un contorto serpente argentato, e circondato dai ritmi geometrici delle coltivazioni a terrazzamento che scolpiscono le montagne circostanti.


Se, di primo acchito, vista dall'alto, l'area del sito sembra relativamente contenuta, una volta che si scende al suo interno ci si accorge quanto in realtà ci sia da esplorare, quanti angoli e dettagli la compongano.
Queste pietre di granito bianco sono vecchie di 250 milioni di anni - e, sicuramente, di storie da raccontare ne avrebbero parecchie: molte ci stupirebbero, raccontandoci quelli che oggi chiamiamo misteri, domande a cui non sappiamo dare una risposta, e poi altre risposte ancora, per cui non abbiamo nemmeno ancora saputo formulare una domanda.
Forse, come spesso accade, la verità è più semplice di ciò che immaginiamo. O, se non la immaginiamo, poi, non appena viene formulata, diventa ovvia.
Oppure no.
Ma in ogni caso continua ad essere custodita in queste rocce, mentre noi non siamo altro che altre storie che vi passano accanto, come migliaia di altre vite che sono venute ed andate, migliaia di altri anni, e secoli, che gli sono scivolati sopra - mentre loro continuano a restare lì, come moncherini superstiti, come scheletri custodi di qualche segreto che non sapremo mai.


Questi scheletri un tempo erano abitazioni - e templi, soprattutto.
Tempio del Sole, della Luna, del Condor, delle Tre Finestre - costruzioni che sono anche simboli, in cui nulla è stato lasciato al caso.
Costruzioni che sono catalizzatori, che convogliavano ed amplificavano energie, vibrazioni che noi, frenetici umani del mondo occidentale moderno, non siamo più in grado di sentire. O forse non ci sono più, chissà.
Forse abbiamo lasciato alla Terra ferite talmente gravi che non riesce più a sprigionare quel che donava un tempo.


C'è una grotta che si chiama Tomba Reale, ma in realtà non è una tomba.
Non sono mai stati trovati resti umani, né pietre funerarie.
Probabilmente era una porta di accesso per entrare in comunione con lo spirito della montagna.
Chissà dov'è, adesso.
Se ha chiesto asilo politico a qualche suo amico spirito che vive in una montagna meno affollata, o se semplicemente fa come i gatti quando non vogliono essere infastiditi dalla troppa gente e dal rumore, e si rintana giù al fondo, al buio, per non essere disturbato.


C'è anche un'area che è stata definita "Prigioni", ma che in realtà non lo erano.
Gli Inca non facevano prigionieri: chi commetteva reati veniva punito corporalmente, i nemici venivano giustiziati.
Non c'è molto spazio vitale in una cittadella sul cocuzzolo di una montagna - ed era meglio scegliere di condividerlo solo con persone fidate.


C'è una scala - sì, questa è davvero una scala.
Una scala che si inerpica sull'Intihuatana - che significa "luogo dove il sole viene legato". Si sale in alto e ci si ritrova al cospetto di una roccia alta come un uomo, finemente lavorata.
Anche questa pietra racchiude in sé il suo mistero.
Forse era una meridiana, forse una rappresentazione cosmologica. Forse una mappa dell'impero Inca.
O magari la lista della spesa, per quel che ne sappiamo.
Qualcuno ha appoggiato dei cristalli, ai suoi piedi.
Questo punto è il preferito di chi viene fino a Machu Picchu per praticare riti esoterici.
Una signora americana è seduta di fronte e sta meditando.
O forse ci sta provando, visto che la folla sta già cominciando ad incrementare esponenzialmente.


Sono le 11.
Il sole è ormai quasi giunto all'apice della sua scalata e comincia a farsi sentire con una certa prepotenza.
Stamattina indossavo giacca a vento e maglione di lana, adesso sono rimasta in maniche corte.
L'afflusso di turisti è in crescita come la temperatura.
Nella parte centrale del sito, verso l'uscita, fra le rocce millenarie spuntano fiori.
Gladioli, orchidee, begonie.
Leniscono le ferite dei moncherini, fanno sorridere i venerandi scheletri di pietra come fanno i bambini con gli anziani.


Qualche lama dall'aria placida passeggia ruminando con studiata non-chalance.
I turisti li fotografano e loro ostentano indifferenza, come certe dive di Instagram che si fanno immortalare in pose finto-naturali.
Li saluto - e saluto le rocce, e lo spirito della montagna, anche se non mi considera.
Però forse qualcosa me l'ha detto lo stesso.
Sono quelle cose che ti dicono gli spiriti, che non si riescono a capire granché bene perché gli spiriti non fanno uso delle parole. E, quindi, se dovessi verbalizzarvela non saprei come fare.
So solo che ha a che fare con la bellezza di questo posto, che non è solo fatta di mistero, ma il mistero è tutt'uno con essa.
E, se chiudo gli occhi, ancora adesso me la ricordo.


2 commenti:

  1. Non aggiungo nulla, è un posto così eccezionale ed è stato bello leggerti ma non so che commentare, perchè è troppo eccezionale! Quindi mi godo le sensazioni che foto e pensieri mi hanno regalato e basta, ti lascio solo un saluto come segno del mio passaggio e apprezzamento. 😊

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    1. Io & lo Spirito della Montagna contraccambiamo il saluto :-)

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