L'Andalusia è accecante.
I suoi colori non sono semplicemente caldi, come accade nel resto dei luoghi che si affacciano sul Mediterraneo - colori del mare, del sole, degli agrumi. No, i colori dell'Andalusia sono colori riarsi, bruciati da fiamme ormai antiche. Sono colori che hanno perennemente sete - e che fanno risiedere proprio in questa sorta di sete eterna la loro bellezza: come se fosse una passione, come se fosse una febbre.
Malaga ha colori neutri, eppure accesi - di pietre terrose, di ocra, di sabbia.
Ma il suo entroterra cambia.
C'è tanto verde, inatteso.
Ci sono distese pianeggianti di scacchiere verdi, placide, silenziose.
Qualche sfumatura di giallo, ancora.
Monti - lontani, un po' indifferenti.
Villaggi, pueblos blancos arroccati in discesa (o in salita, dipende come la sia vuole vedere) sui fianchi di questo verde, di queste alture che provano ad inseguire le montagne lontane.
Sono tutte bianche le case.
Non c'è il contrasto del blu delle isole greche, non ci sono i tetti spioventi di pietre della Puglia. C'è solo il bianco a sfidare i colori riarsi dell'Andalusia - forse ad enfatizzarli, in realtà, a specchiarli e a farsi rispecchiare.
Mi viene da paragonarli a fantasmi, in un primo momento. Ma non è corretto - perché se fossero fantasmi sarebbero trasparenti, invisibili, mentre invece emergono con forza silenziosa dal paesaggio: come se fossero una sua estensione, una sua espressione. Qualcosa di sognato, o di detto, dalle alture verde-gialle dell'Andalusia.
Ronda è come se fosse la sorella maggiore, l'ape regina di questi gruppetti di case bianche.
Non è solo un villaggio - è una città, ricca di storia, ricca di storie.
Non è solo fatta di case bianche, ma di moschee e palazzi.
Ma le case bianche, affacciate sul dirupo di roccia della gola di El Tajo, sono sicuramente il suo biglietto da visita, la sua icona, la sua immagine preferita che usa per descriversi.
E, per descriversi, potrebbe usare molte parole Ronda.
Fondata nel IX secolo a. C., è una delle più antiche località dell'intera Spagna. Sotto la dominazione araba divenne un ricco centro commerciale, che cominciò a far gola al fenomeno del banditismo che a lungo imperversò per la regione. Ma i bandoleros non erano solo dei delinquenti, erano anche delle figure ammantate di un certo alone romantico, dato dalla loro vita spinta al massimo, senza freni, senza porsi nessun limite su ciò che si vuole e su come fare a prenderselo.
Ronda è solo in apparenza una bomboniera dall'aria tranquilla e sognante: ha un'anima un po' ribelle, un po' spregiudicata - uno spirito di avventura che ammicca sotto le crinoline e che si libera all'improvviso, con il guizzo di un'ondata di piena.
Ronda è un po' come un gatto, sorniona. Non si sa mai se dorma o se stia facendo finta di dormire. Se ti stia facendo le fusa o se ti stia per graffiare.
Per questo se ne sono innamorati Dumas, Rilke, Welles ed Hemingway - che l'ha immortalata in "Per chi suona la campana".
Il cuore della bellezza di Ronda è il suo precipizio - forse efficace metafora delle sue fiamme covate sotto le ceneri.
Il dirupo di El Tajo per Ronda non è stato un ostacolo: è stata un'opportunità. Ha deciso di nascere lì sopra, fiera, bella ed un po' spavalda. Ha deciso di guardare dentro l'abisso, di non lasciarsi fermare da esso ma di farne la sua caratteristica, la sua peculiarità.
Di farne ciò per cui la gente viene a vederla. Ciò per cui la guarda, dicendo "Wow".
Non lo vedi subito, soprattutto se arrivi in treno.
C'è una strada che scivola lunghissima fra negozi un po' dozzinali prima di arrivarci.
Dà anche l'impressione di essere in discesa, e quindi per un po' ti domandi se stai andando nella giusta direzione.
Magari quasi ti arrendi: inizi a vagare in qualche negozio, cerchi un posto dove pranzare e ti dici "Va beh".
E invece poi fai ancora due passi in più.
La strada si trasforma in una specie di ponte, con un parapetto e delle ringhiere in ferro battuto.
Guardi giù.
E lo vedi...
L'abisso ci attira.
Ha una forza ipnotica, una calamita quasi come un buco nero.
Forse è l'idea di cadere, di lasciarsi andare.
Forse è la curiosità, la dannata, benedetta curiosità di vedere oltre, di conoscere cosa c'è dopo. Giù nell'abisso, oltre noi stessi.
L'abisso di Ronda è vertiginoso ma non infinito. Il fondo della gola si vede, si intuisce un torrente che scorre.
Ma la sua bellezza è comunque data dalla sua stessa vertigine, dalla sua drammaticità.
E dal verde che lo circonda. Come una speranza. Come un lato positivo.
Per conoscere Ronda non ci si deve fermare all'abisso.
C'è il suo contorno.
Di vicoli, di particolari, di angoli nascosti.
Ronda è uno di quei posti in cui è bello girare un po' a caso, scoprire, lasciarsi guidare dall'istinto.
E' uno di quei posti in cui sai che il tuo istinto non ti deluderà - perché se lo lasci libero ha buone possibilità di riuscire ad entrare in sintonia con l'anima del luogo.
Ma è anche uno di quei posti in cui sei sicuro di non perderti.
La direttrice principale è una sola: è facile da seguire, facile da ritrovare.
Forse è il modo che ha Ronda per mantenere sotto controllo il suo spirito ribelle, per lasciarlo sfogare senza farlo diventare distruttivo, senza perdersi in esso.
Forse è per questo che riesce a mantenersi viva, bella, intatta da tutti questi secoli.
Forse è perché non ha avuto paura del suo abisso...
Hai scritto un post bellissimo, coinvolgente, mi è sembrato di poter sentire addirittura gli odori dei luoghi che hai descritto. E pensa che non ci sono mai stata.
RispondiEliminaWow, grazie!
EliminaSono contenta che ti sia piaciuto <3