Quando arrivano le fabbriche, il verde non c’è più. È l’incubo ecologista del XX secolo, con l’asfalto che si spalma sull’erba bruciandola, il progresso che avanza incontenibile, quasi come un mostro di metallo e cemento che divora spietato prati e boschi – con questo suo prezzo da pagare, che consiste nel calare un filtro grigio su un paesaggio che prima era a colori.
Ma a volte, come in una piccola fantasticheria di rivincita, che forse somiglia più ad una fiaba che non alla realtà, può anche capitare che avvenga il contrario.
Il Parco Dora a Torino è un’area verde di oltre 450.000 mq, che sorge dove un tempo c’era un agglomerato di stabilimenti industriali facenti parte della galassia del settore automobilistico, che costella il capoluogo piemontese. Alcune parti delle strutture industriali sono ancora presenti, come scheletri abbandonati di dinosauri estinti, ma sono circondate dal verde, che le abbraccia e le redime, le ingentilisce – come se fossero dei giganti buoni che non usano più la loro mole per spaventare e lottare ma per far giocare i bambini.
Il nome del Parco deriva dal fiume che lo attraversa, la Dora Riparia – una sorta di separé naturale che, assieme a quelli urbani costituiti da via Livorno e corso Svizzera, suddivide il parco in quattro diversi settori.
Il Lotto Valdocco è la parte più a est del parco, dove sorge il polo tecnologico dell’Environment Park, un complesso di uffici che ospita diverse aziende del settore ICT in mezzo a un intreccio di prati, stagni, ruscelli e glicini rampicanti.
Questo lotto sorge dove un tempo erano attive le ferriere della Fiat: rimangono, come resti della loro presenza, il solettone di calcestruzzo armato, che copre la Dora creando un piazzale (ieri usato per il deposito dei rottami metallici, oggi per fare jogging), e lo scheletro della tettoia che ospitava il magazzino dei piccoli ferri ed il reparto di finimento delle barre e che adesso, avvinghiato ai glicinie con un paio di panchine ombrose e solitarie, è il mio angolo preferito di questa parte di parco.
Il Lotto Mortara/Vitali è il pezzo di parco che prosegue verso ovest, oltre via Livorno: qui la Dora respira, fuoriuscendo dal tunnel di calcestruzzo e fiancheggiando libera la promenade alberata. Anche il parco qui pare respirare di più: è più verde, più rigoglioso, con alberi più alti e frondosi.
Oltre la Dora, oltre gli alberi, ci sono gli imponenti pilastri rossi dell’ex capannone di strippaggio delle Ferriere: un tempo era la più grande acciaieria di quest’area industriale e oggi continua a essere il cuore del Parco Dora, ospitando manifestazioni ed eventi oppure, in loro assenza, campetti per basket, pallavolo e calcetto.
Proseguendo verso ovest e attraversando corso Svizzera, si giunge al Lotto Ingest, il “pezzetto” più piccolo del parco, caratterizzato da un giardino acquatico costruito sulle fondamenta in calcestruzzo dei laminatoi Fiat, da un piccolo hortus conclusus ospitante diverse specie vegetali e, soprattutto, dalla modernissima Chiesa del Santo Volto, progettata nel 2004 dall’architetto svizzero Mario Botta e anch’essa frutto dell’eredità post-industriale dell’area, con il suo campanile che un tempo era una ciminiera – avvolta in una struttura elicoidale di spine, che ricordano la sofferenza di Gesù sulla Croce, eppure la slanciano verso il cielo.
Oltre la Dora, il Lotto Michelin – completato ormai da qualche anno ma non ancora aperto al pubblico.
Questo lotto è una collina alberata verdissima, che scivola dolcemente verso il fiume e prevede di ospitare diversi percorsi ciclo-pedonali. Al fondo del lotto, al confine con corso Umbria, c’è il Museo “A come Ambiente“, dedicato principalmente a un pubblico in età scolare e volto a educare e sensibilizzare grandi e piccoli su tematiche ecologiche ed ambientali. E c’è anche la torre di raffreddamento in cemento armato dell’ex stabilimento Michelin – che è diventata il logo del Parco.
È forse anche un po’ il simbolo di una trasformazione, di un’inversione di tendenza: del verde, che torna a dominare sul cemento, e magari anche di Torino, della sua evoluzione come città non solo industriale ma anche ricca di bellezza, storia, cultura.
E, perché no – di verde…
bellissima descrizione critica di un'area che l'amministrazione comunale dovrebbe pubblicizzare (perchè Fassino non legge le Tue bellissime desamine su Torino?)
RispondiEliminaComplimenti
Alberto 7
Eh, Fassino mi sa che in questo periodo aveva altro da fare ;)
EliminaBellissimo Serena, sarà che ci vivo ma ho sentito un moto d'orgoglio nel leggere questo tuo post.
RispondiEliminaGrazie :)
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