giugno 14, 2014
Io per le rovine ho sempre avuto un debole. Anzi, direi più che un debole. Mi attraggono come calamite, mi stregano, mi incantano. Sono un...
Urquhart - In Scozia anche le rovine hanno il loro perché
Urquhart - In Scozia anche le rovine hanno il loro perché
Urquhart - In Scozia anche le rovine hanno il loro perché
Io per le rovine ho sempre avuto un debole.
Anzi, direi più che un debole. Mi attraggono come calamite, mi stregano, mi incantano.
Sono un gatto nero, del resto, ed ho un animo goticheggiante: la decadenza mi rapisce; ha il fascino malinconioso di ciò che è stato e che non è più, e che pertanto è ormai spogliato dalle meschinità e dai grattacapi del tran-tran quotidiano, rivelando la sua intima essenza, trascendente dalle etichette di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è positivo o negativo. L'intima essenza delle cose è la loro verità, e la verità non è né buona né cattiva, né bella né brutta: la verità è semplicemente vera, è ciò che spesso non vogliamo vedere, ma che alla fine è ciò che ci rimane.
Le rovine sono proprio così.
Sono state ricche e potenti, hanno dominato il mondo degli uomini o la loro spiritualità - ed ora siedono in un angolo, solitarie come nobili decaduti, perse a contemplare con lo sguardo velato ciò che non gli appartiene più.
Ma la tristezza della decadenza ha anche una sua riflessività, le ferite che mutilano le loro mura hanno una storia ricca ed intensa - e la loro essenza si distilla in tutto questo: non c'è più la tracotanza del potere, viene stemperata dalla sconfitta che la rende nobile, che ci restituisce non più un simbolo controverso di dominio, ma una storia trascendente, fatta di luci e di ombre, di ingiustizie e di eroismo, e che per questo si ammanta di bellezza a prescindere, diventa degna di rispetto e ti fa venire voglia di conoscerla, di raccontarla.
Se poi queste rovine le ambientiamo in un paesaggio che, sempre e comunque, da qualunque angolatura lo guardi, mi scalda l'anima e mi fa sentire "a casa", più ancora di quando sono a casa mia, beh, il connubio diventa indimenticabile.
Il Castello di Urquhart è uno dei primi luoghi che ho visto quando ho messo piede per la prima volta nella mia amata Scozia.
Si trova all'ingresso delle Highlands, vicino all'adorabile paesino di Fort Augustus, del quale ricordo casette bianche attorniate da una miriade di fiori colorati ed il suono delle cornamuse ovunque (che a me fa un po' commuovere - sono un po' troppo sentimentale, lo so, non credo che nemmeno i veri Scozzesi si sciolgano così; ma che ci vuoi fare, a volte mi sento quasi in esilio).
Ma, soprattutto, il Castello di Urquhart si trova di fronte al più famoso lago di Scozia, il Loch Ness: è seduto sulla sua sponda a contemplarlo in silenzio, a sondare con i suoi occhi di pietra feriti le brume delle sue acque, e, forse, il loro mistero.
Urquhart è lì da mille anni, quindi conosce queste acque molto bene, sono il suo regno, lui è la loro sentinella e la loro compagnia. Forse esisteva già prima ancora di chiamarsi così, prima ancora di avere delle mura di pietra e diventare un castello: sembra che i Pitti avessero scelto questo stesso promontorio per erigere una loro roccaforte, ed anche San Colombano era passato di qui a far loro visita.
Per tre secoli, dal 1200 al 1600, ha visto ferro e fuoco, ha visto le lotte eterne fra Inglesi e Scozzesi, entrambi orgogliosi e mai domi, è passato di mano fra le due fazioni un po' di volte, conteso come un giocattolo prezioso; finché, nel 1692, pur di non farlo cadere in mano ai Giacobiti, preferirono farlo saltare in aria.
Meglio distrutto che in mano al nemico: una pulsione su cui ci sarebbe molto da discutere, ma che pare incastonata nei sotterranei più atavici dell'animo umano.
Tutto questo è raccontato da un filmato di qualche minuto che viene proiettato in una saletta all'ingresso della biglietteria del castello.
Il filmato non si chiude con la parola "The End", ma con un sipario che si alza e che mostra il vero spettacolo a cui si sta per assistere dal vivo: i moncherini gloriosi del castello che si ergono, meravigliosi e malinconici, sul promontorio di fronte al lago.
Uno degli aspetti che trovo più ammirevoli del Regno Unito è la loro straordinaria abilità nel marketing turistico, qualcosa che a noi Italiani, invece, pur con l'opulento patrimonio che avremmo a disposizione, manca quasi del tutto e che faremmo bene ad imparare quanto prima. Quante rovine abbiamo noi, rovine con una storia millenaria ed importantissima, che però sono lasciate allo stato brado, a sgretolarsi, dimenticate, senza nessuno che sappia raccontare la loro storia, che dica al mondo quante cose sono successe lì, che ci ricordi che non sono un ammasso di pietre qualunque?
Questo invece con Urquhart è stato fatto, e non solo con Urquhart.
E non è soltanto una questione di riuscire a monetizzare una risorsa turistica (anche - santo cielo, mica possiamo sputarci sopra alla questione economica, no?).
E' anche questione di saper valorizzare un pezzo della tua storia, della tua identità come nazione. Qualcosa che è successo e che non dobbiamo dimenticare, perché, volenti o nolenti, ci ha portati fin dove siamo oggi. La storia non è fatta di una noiosa sequenza di date sui libri, è fatta di episodi che hanno cambiato la vita alle persone: viaggiare non deve significare solo spostarsi nello spazio, ma può essere anche un'opportunità per spostarsi nel tempo e conoscere meglio ciò che è stato prima di noi, ma che ha costruito e plasmato il momento in cui ci troviamo adesso, la base da cui siamo partiti per poter dare una forma alla nostra stessa identità.
Questo aspetto lo vedo legato in parallelo al grande rispetto per gli anziani che è connaturato nella cultura britannica: anche loro fan parte della nostra storia, anche a loro dobbiamo ciò che siamo oggi. Se non impariamo ad avere cura e rispetto del nostro passato, non saremo mai in grado di costruirci un futuro migliore, perché ci mancherà la consapevolezza di dove arriviamo - e, senza quella, come facciamo a sapere dove vogliamo andare?
Beh, io per adesso dove vorrei andare lo so: vorrei tornare lì, a girare fra lo scheletro ferito del castello, ad accarezzare con lo sguardo le sue pietre, e, ad un certo punto, alzare lo sguardo verso la misteriosa distesa d'acqua che si apre, grigia e velata di nebbia, di fronte a me.
In ogni leggenda si nasconde un piccolo seme di verità, dicono.
E chissà in che cosa consiste quello che giace nel cuore della leggenda di questo lago...
Forse solo gli occhi di pietra del Castello di Urquarth, che sono refrattari agli inganni della mente e dell'animo degli uomini, potrebbero dircelo.
Ma questa è una missione per i Viaggiatori Ignoranti...
Mi sposto quindi sulle loro pagine per provare a riflettere su che cosa ci sia sotto la superficie delle acque del lago, e sotto la superficie della leggenda stessa...
Anzi, direi più che un debole. Mi attraggono come calamite, mi stregano, mi incantano.
Sono un gatto nero, del resto, ed ho un animo goticheggiante: la decadenza mi rapisce; ha il fascino malinconioso di ciò che è stato e che non è più, e che pertanto è ormai spogliato dalle meschinità e dai grattacapi del tran-tran quotidiano, rivelando la sua intima essenza, trascendente dalle etichette di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è positivo o negativo. L'intima essenza delle cose è la loro verità, e la verità non è né buona né cattiva, né bella né brutta: la verità è semplicemente vera, è ciò che spesso non vogliamo vedere, ma che alla fine è ciò che ci rimane.
Le rovine sono proprio così.
Sono state ricche e potenti, hanno dominato il mondo degli uomini o la loro spiritualità - ed ora siedono in un angolo, solitarie come nobili decaduti, perse a contemplare con lo sguardo velato ciò che non gli appartiene più.
Ma la tristezza della decadenza ha anche una sua riflessività, le ferite che mutilano le loro mura hanno una storia ricca ed intensa - e la loro essenza si distilla in tutto questo: non c'è più la tracotanza del potere, viene stemperata dalla sconfitta che la rende nobile, che ci restituisce non più un simbolo controverso di dominio, ma una storia trascendente, fatta di luci e di ombre, di ingiustizie e di eroismo, e che per questo si ammanta di bellezza a prescindere, diventa degna di rispetto e ti fa venire voglia di conoscerla, di raccontarla.
Se poi queste rovine le ambientiamo in un paesaggio che, sempre e comunque, da qualunque angolatura lo guardi, mi scalda l'anima e mi fa sentire "a casa", più ancora di quando sono a casa mia, beh, il connubio diventa indimenticabile.
Il Castello di Urquhart è uno dei primi luoghi che ho visto quando ho messo piede per la prima volta nella mia amata Scozia.
Si trova all'ingresso delle Highlands, vicino all'adorabile paesino di Fort Augustus, del quale ricordo casette bianche attorniate da una miriade di fiori colorati ed il suono delle cornamuse ovunque (che a me fa un po' commuovere - sono un po' troppo sentimentale, lo so, non credo che nemmeno i veri Scozzesi si sciolgano così; ma che ci vuoi fare, a volte mi sento quasi in esilio).
Ma, soprattutto, il Castello di Urquhart si trova di fronte al più famoso lago di Scozia, il Loch Ness: è seduto sulla sua sponda a contemplarlo in silenzio, a sondare con i suoi occhi di pietra feriti le brume delle sue acque, e, forse, il loro mistero.
Urquhart è lì da mille anni, quindi conosce queste acque molto bene, sono il suo regno, lui è la loro sentinella e la loro compagnia. Forse esisteva già prima ancora di chiamarsi così, prima ancora di avere delle mura di pietra e diventare un castello: sembra che i Pitti avessero scelto questo stesso promontorio per erigere una loro roccaforte, ed anche San Colombano era passato di qui a far loro visita.
Per tre secoli, dal 1200 al 1600, ha visto ferro e fuoco, ha visto le lotte eterne fra Inglesi e Scozzesi, entrambi orgogliosi e mai domi, è passato di mano fra le due fazioni un po' di volte, conteso come un giocattolo prezioso; finché, nel 1692, pur di non farlo cadere in mano ai Giacobiti, preferirono farlo saltare in aria.
Meglio distrutto che in mano al nemico: una pulsione su cui ci sarebbe molto da discutere, ma che pare incastonata nei sotterranei più atavici dell'animo umano.
Tutto questo è raccontato da un filmato di qualche minuto che viene proiettato in una saletta all'ingresso della biglietteria del castello.
Il filmato non si chiude con la parola "The End", ma con un sipario che si alza e che mostra il vero spettacolo a cui si sta per assistere dal vivo: i moncherini gloriosi del castello che si ergono, meravigliosi e malinconici, sul promontorio di fronte al lago.
Uno degli aspetti che trovo più ammirevoli del Regno Unito è la loro straordinaria abilità nel marketing turistico, qualcosa che a noi Italiani, invece, pur con l'opulento patrimonio che avremmo a disposizione, manca quasi del tutto e che faremmo bene ad imparare quanto prima. Quante rovine abbiamo noi, rovine con una storia millenaria ed importantissima, che però sono lasciate allo stato brado, a sgretolarsi, dimenticate, senza nessuno che sappia raccontare la loro storia, che dica al mondo quante cose sono successe lì, che ci ricordi che non sono un ammasso di pietre qualunque?
Questo invece con Urquhart è stato fatto, e non solo con Urquhart.
E non è soltanto una questione di riuscire a monetizzare una risorsa turistica (anche - santo cielo, mica possiamo sputarci sopra alla questione economica, no?).
E' anche questione di saper valorizzare un pezzo della tua storia, della tua identità come nazione. Qualcosa che è successo e che non dobbiamo dimenticare, perché, volenti o nolenti, ci ha portati fin dove siamo oggi. La storia non è fatta di una noiosa sequenza di date sui libri, è fatta di episodi che hanno cambiato la vita alle persone: viaggiare non deve significare solo spostarsi nello spazio, ma può essere anche un'opportunità per spostarsi nel tempo e conoscere meglio ciò che è stato prima di noi, ma che ha costruito e plasmato il momento in cui ci troviamo adesso, la base da cui siamo partiti per poter dare una forma alla nostra stessa identità.
Questo aspetto lo vedo legato in parallelo al grande rispetto per gli anziani che è connaturato nella cultura britannica: anche loro fan parte della nostra storia, anche a loro dobbiamo ciò che siamo oggi. Se non impariamo ad avere cura e rispetto del nostro passato, non saremo mai in grado di costruirci un futuro migliore, perché ci mancherà la consapevolezza di dove arriviamo - e, senza quella, come facciamo a sapere dove vogliamo andare?
Beh, io per adesso dove vorrei andare lo so: vorrei tornare lì, a girare fra lo scheletro ferito del castello, ad accarezzare con lo sguardo le sue pietre, e, ad un certo punto, alzare lo sguardo verso la misteriosa distesa d'acqua che si apre, grigia e velata di nebbia, di fronte a me.
In ogni leggenda si nasconde un piccolo seme di verità, dicono.
E chissà in che cosa consiste quello che giace nel cuore della leggenda di questo lago...
Forse solo gli occhi di pietra del Castello di Urquarth, che sono refrattari agli inganni della mente e dell'animo degli uomini, potrebbero dircelo.
Ma questa è una missione per i Viaggiatori Ignoranti...
Mi sposto quindi sulle loro pagine per provare a riflettere su che cosa ci sia sotto la superficie delle acque del lago, e sotto la superficie della leggenda stessa...
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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