Pareva una nave pirata che emergeva dalle brume, e gli stormi di sule rannicchiate nelle fenditure della roccia sembravano il suo equipaggio.
L'isola di Bonaventure fa parte del Parco Nazionale che porta il suo stesso nome, associato al Rocher Percé, lo sperone di roccia che a qualcuno ricorda una leggiadra fanciulla, ma che a me sembra un bisonte all'abbeveratoio, di cui vi ho raccontato qui e che si trova a pochi metri dalla costa della penisola della Gaspesie, in Québec (Canada).
L'isola dal 1971, anno in cui è stata ufficialmente trasformata in Parco, è disabitata.
Disabitata da esseri umani, ovviamente; ma dimora prediletta di quasi 300.000 esemplari su sule.
Che cosa abbia spinto questi animali a prediligere così voracemente e spiccatamente questo luogo anziché qualsiasi altro, non potremo mai saperlo (sono un gatto, mi è difficile provare empatia nei confronti dei volatili) - ma di sicuro c'è che queste sule non hanno poi fatto una cattiva scelta...
Arriviamo in barca da Percé di primo mattino, con l'acqua grigia e i veli di bruma che ovattano l'aria e sfumano i contorni della riva ormai lontana e della massa rocciosa dell'isola che si sta profilando all'orizzonte sempre più vicina.
Il suo profilo di pietra è ruvido e frastagliato, marrone, spennellato a ciuffi di vegetazione di un verde cupo ed intenso.
Ma ciò che colpisce sono i tanti puntini bianchi che costellano fitti fitti le gote rugose del promontorio, come funghi nel sottobosco, o come capocchie di spilli nell'armamentario di una sarta.
Sono loro, gli abitanti dell'isola.
Ci stanno aspettando, e, per un attimo, ci auguriamo di essere i benvenuti.
Tra spruzzi freddi di acqua argentata il battello attracca sul pontile.
La nebbia continua ad essere un velo che la copre tutto intorno, ma, ora che siamo al suo cospetto, l'isola ci mostra timidamente il suo volto.
E, per quanto imbronciato, già rimango colpita dalla sua bellezza, selvatica ma accogliente.
Ci sono casette di legno, bianche, grigie, rosse, fino a 40 anni fa abitate ed oggi usate dai guardiaparco. Ci sono conifere appuntite che punzecchiano la nebbia, distese di fiori rosa, cascatelle che accarezzano levigati scogli marroni ed alcune sule a far comunella in mezzo all'acqua.
E' agosto, ma le temperature sono frizzanti.
Ci avviamo ad imboccare il sentiero da 3 ore che costeggia il perimetro dell'isola, il Chemin du Roi, con addosso tre strati di felpe, golf, giacche da pioggia.
Intanto la nebbia sta scivolando verso il basso come una vestaglia di seta grigia: è raggomitolata sull'acqua, così fitta da non lasciar più veder la riva, ma ha svelato la pelle nuda di un cielo azzurrissimo e luminoso.
La nostra escursione comincia con un buon auspicio.
E il mix di nebbia, cielo, verde e mare è un rimescolamento di tinte intense, di una bellezza fresca e pura.
Il sentiero si inoltra nel bosco di conifere.
Camminiamo fra gli alberi ed il sottobosco schivando il fango per circa un'ora.
Nel frattempo la nebbia si è ormai diradata, la pioggia è diventata un ricordo e il sole comincia a fare capolino nel cielo, facendo salire la colonnina di mercurio e facendoci annodare in vita tutti gli strati di felpe e giubbotti.
Ad un certo punto si comincia a sentire un gracchiare lontano e rimbombante.
Il bosco tutto ad un tratto finisce, ed eccole lì: le sule.
Centinaia e centinaia di sule.
Tutte addossate nello stesso punto, riunite come una folla al mercato sulla punta glabra del promontorio.
Lo stridio è assordante, eppure al tempo stesso è affascinante, in maniera quasi surreale.
Chissà che cosa le aggrega tutte lì, insieme.
Riprendiamo il nostro cammino.
Il Chemin du Roi a questo punto ritorna indietro, facendo però un percorso più lungo ed affascinante, lungo la costa dell'isola.
Costeggiamo dunque la roccia a picco sul mare, che di tanto in tanto nasconde, sotto di noi, qualche spiaggia segreta, qualche cascata sotto la quale avremmo voglia di tuffarci, visto che il sole ha ormai innalzato le temperature di parecchio.
Anche nei tratti in cui si rientra un po' di più nel fitto del bosco ci si può sempre attendere il mare che sbuca improvviso in mezzo al fitto dei rami.
E poi il bosco finisce, e il sentiero prosegue in mezzo ai campi, dove qua e là si trovano casette di legno un tempo abitate, contornate dal rosa violaceo dei fiori.
Il cielo è ormai di un azzurro smagliante e della nebbia di poco fa è rimasto solo più un sottilissimo velo bianco traforato che avvolge ancora i piedi del Rocher Percé in lontananza.
Siamo rientrati al punto di partenza, ma il contrasto con il paesaggio che abbiamo conosciuto stamattina è nettissimo: l'isola si è tolta il velo di nebbia ed ora ci sorride, nuvole bianche e cremose sfumano l'azzurro del cielo ed il mare scintilla.
E' un po' come se Bonaventure ci avesse inizialmente mostrato una certa ritrosia un po' imbronciata al nostro arrivo, quando ancora non ci conosceva.
Adesso ha deciso che le piacciamo e allora, prima di salutarci, ci regala i suoi sorrisi migliori.
E, come sempre accade per i sorrisi più sinceri, sono così belli che le illuminano il volto...
Bellissimo, è un posto che mi trasmette libertà.
RispondiEliminaSembra anche deserto, c'eri solo tu?
Sì, è davvero uno di quei posti che ti rigenerano.
EliminaNo, proprio deserto no... si arriva in battello e sopra saremmo stati una trentina di persone... ma poi ci si disperde e la sensazione è di quasi solitudine!