Scrivere è una pratica che non ammette bugie.
È quasi una religione, più che un mestiere. Se non sei in pace con te stesso si blocca - e sarei in cerca di metafore più fini, ma mi viene in mente solo l'intestino. Ma poi c'è qualcuno che dice che del resto le crisi sono anche opportunità, che vengono per portare un po' di svolte - si tratta solo di buttarsi, trattenere il fiato, pigiare il pulsante "reset" e trovare la voglia di ricostruire ciò che andava inevitabilmente estirpato.
E la mia non è veramente un'assenza di cose da dire - è più un non saper come dirle. È più una ricerca di una voce nuova per dirle, perché sono cose nuove e la voce vecchia ormai stona un po', è scordata. È uno studio meticoloso, un'analisi SWOT di ciò che ci si aspetta che dovrei essere adesso: e la valutazione non è tanto il volerlo diventare oppure no, quanto il come diventarlo - in che modo ciò che già sono possa aiutarmi a diventarlo, quali mie caratteristiche possono essere rielaborate come punti di forza in questo nuovo panorama.
E poi, in mezzo a tutto questo, c'è la vita - c'è l'entropia.
C'è la maledizione del caos, delle coperte sempre troppo corte, di quell'unica tessera di domino su cui inciampi e che va a far crollare tutto il castello.
E, a quel punto, sono lecite anche le fughe.
Perché le fughe non sempre sono da codardi: a volte diventano anche da saggi, perché si trasformano in rifugi. Sono bozzoli in cui ci si rinchiude, si stacca la spina e si attacca un bocchettone che fornisca nuova linfa, nuove energie diverse e variegate.
Ad inizio agosto sono salita su un aereo per il Madagascar, prenotato quasi all'ultimo secondo - ed è stato quella la mia fuga-bozzolo.
Se qualche anno fa mi avessero detto che un giorno non solo avrei cominciato a fare vacanze esotiche in resort all-inclusive ma che per giunta le avrei anche gradite - sarei scoppiata a ridere, credo.
Ma la vita ti porta dove ti porta, che in questo caso non si può neppure dire che sia poi così male - e alla fine per sperimentare cose diverse devi avere l'opportunità di farlo: l'importante è non tirarsi indietro, quando si può - perché credo che lo scopo delle novità sia fondamentalmente questo, non solo farti vedere qualcosa di nuovo, ma anche farti scoprire aspetti di te che prima non conoscevi.
E, per me, che sono sempre irrequieta, che ho sempre sete di conoscere ed esplorare, che ho sempre un milione di domande, che, quando arrivano le risposte, anziché quietarsi si moltiplicano - questo significa entrare in una dimensione diversa, fatta di mare, fatta di silenzio.
E il mare è fatto di molte cose: è fatto di profondità inquietanti ed interrogativi inesplorati, è fatto di tempeste e viaggi eterni, senza requie - ma è fatto anche di trasparenze, di bellezza, di sorprese. È fatto di onde che ti accarezzano, quasi ipnotiche, rassicuranti come una ninna nanna - e questa magia non è fatta di oblio, non ti fa dimenticare ciò da cui fuggi: ma, per qualche attimo, te lo fa ridimensionare, riportandoti in contatto con quella parte di te che esiste più sotto - sotto a quello strato calpestato e scorticato dal grossolano andirivieni della vita; che esiste sempre, nonostante tutto.
Che ti dice che in tutte le cose, anche quelle che ti sembrano lontanissime da te, rimane un fondo, qualcosa, che è uguale.
Il nostro aereo atterra su una pista poco più grande di un campo da calcio, e la occupa tutta.
Per arrivare al resort ci sono 20 minuti di strada sterrata, fra piante di banano, ylang-ylang, zebù e baracche col tetto di lamiera.
I bambini ci corrono incontro salutando.
Sono contrasti forti quelli che offre l'Africa - fra il nostro resort di lusso con montagne di cibo a tutte le ore e le persone che, appena fuori, vanno in giro scalze e vivono nelle capanne. Inevitabilmente fanno riflettere, e, altrettanto inevitabilmente, lasciano un retrogusto amarognolo.
Anche il nostro resort ha uno zebù personale: si chiama Ruggero ed è uno zebù della fortuna.
Sono denominati così quelli di colore nero, perché la credenza popolare dice che portino bene - e infatti vengono uccisi ai banchetti dei matrimoni come buon auspicio.
Quindi, direi, che essere uno zebù della fortuna non è poi questa gran fortuna.
Ma a Ruggero tutto sommato è andata bene: nel dubbio resta sempre un po' in disparte, non si spinge mai troppo vicino alla spiaggia e ai punti più sovraffollati.
C'è qualche camaleonte, anche - e ogni tanto te lo ritrovi nei cespugli di fronte al bungalow, o direttamente sulla schiena.
C'è una spiaggia, soprattutto - che è specializzata in tramonti.
Ad agosto in Madagascar è inverno: c'è una brezza piacevole che ti accompagna tutto il giorno, il sole scalda di più al mattino che all'ora di pranzo, e verso le 17 comincia a scivolare dietro il mare.
I colori diventano forti, la luce è più intensa: è quasi uno schiaffo dorato che lascia il cielo sanguinante.
Il tramonto è preceduto dalla bassa marea - e la bassa marea è sempre il momento in cui il mare si apre e rivela i suoi segreti. Se lo sai ascoltare - o, più semplicemente, se ti metti a camminare sulla battigia per cercarli.
La sabbia qui è soffice, quasi spugnosa. Non è bianca come in altre zone dell'isola, è dorata come quella del deserto, ha la consistenza granulosa dello zucchero di canna, e quando ci cammini ci sprofondi di un paio di centimetri.
Il mare che si ritira le lascia delle crepe profonde, che sembrano quasi un delta di fiume in miniatura: sono frastagliate, e rese rugose da detriti di sassolini e conchiglie.
Ci sono buche che sono ingressi a tane di paguri, o forse di mondi misteriosi, e che attorno hanno disposti grumi di sabbia che in realtà sono rifiuti - ma che sembrano più decorazioni artistiche, con un ordine ed un'armonia probabilmente regolati dalle proporzioni di Fibonacci. Sembrano stelle, o fiori, o mappe astrali di universi sconosciuti.
Ci sono conchiglie spezzate che rivelano spirali perfette, detriti di corallo che somigliano a dei cuori - o a delle zampe di gallina, a seconda della prospettiva con cui li si guarda. Conchigliette minuscole dalla forma ovale, con una macchia nel mezzo di diverse sfumature di viola. Granchi che si nascondono fra le dune in miniatura create dai trattori che al mattino rastrellano le alghe, che cercano di rimanere saldi al suolo, finché non arriva un'onda inattesa che li trascina altrove.
C'è una collina, sul fianco, che è considerata sacra: qui solo l'anziano del villaggio ci può andare, per entrare in contatto con le anime degli antenati. Secondo me è solo una scusa per potersene stare un po' in pace lontano da tutti - e penso che, quando sarò anch'io l'anziana del villaggio, gliela ruberò sicuramente.
Il mare può essere torbido e profondo di segreti. Può essere limpido e azzurro, di una serenità ipnotica. Può essere fatto di chiaroscuri dorati, ombre allungate e misteri rivelati.
Può essere tante cose.
Ma è sempre lo stesso mare.
E penso che se, forse, riuscissi a tornare a scrivere più spesso, magari prima o poi la riuscirei a trovare, la mia nuova voce.
"Prendete la vita con leggerezza,
che leggerezza non è superficialità,
ma planare sulle cose dall'alto,
non avere macigni sul cuore"
(Italo Calvino)
davvero un commento poetico e commovente
RispondiEliminabrava
Grazie!
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