La dea Izchel se ne sta lì, in ginocchio, davanti al mare turchese dei Caraibi - i palmi delle mani girati verso l'alto, i seni sodi, protesi al vento.
È lì per aspettare il bacio del suo amante, all'alba: la punta sud di Isla Mujeres si protende come un braccio teso nel mare, ed è il primo tratto di terra messicana che riceve i raggi del sole al mattino.
L'amante di Izchel è proprio il sole, e passa da lei per un bacio furtivo appena comincia la giornata, quando è ancora assonnato e delicato, un fascio di luce dorata che colora il buio ed il mare di tinte calde - prima di iniziare il suo lavoro di splendere alto nel cielo e distrarsi, diventare caldo e roboante, aggressivo, dominante.
C'è una leggenda che racconta di come il sole non sia sempre stato il sole, ma che prima fosse un uomo, venuto da una terra oltre il mare, distante mesi di viaggio, per conquistare l'impero dei Maya. Izchel non si sa se fosse già una dea o solo una donna, ma si innamorò di lui e lui di lei - e la parte interessante della storia potrebbe finire qui, perché di quando "vissero per sempre felici e contenti" mai a nessuno interessa raccontarlo; ma invece qualcun altro decise di dare alla storia un altro finale, e non fu un finale felice. Però perlomeno fu un finale poetico: credo che loro lo avrebbero preferito felice, ma questo è il tributo che richiedono le leggende.
Il generale spagnolo diventò il sole, Izchel la luna e possono sfiorarsi solo pochi istanti all'alba. A lui rimane questa statua di pietra con le sembianze della sua amata, come se fosse una foto sbiadita che si tiene nel portafoglio; a lei non si sa - così come non si sa se sia nata prima questa leggenda o "Ladyhawke", o se non esistessero il sole e la luna prima del sacrificio dei due amanti.
Dell'amante di Izchel penso che oggi stia davvero un po' esagerando.
Sarebbe inverno anche qua, in teoria. La gente sta festeggiando il carnevale: i bambini se ne vanno in giro con maschere da lottatore di wrestling di nylon glitterato, sulle spiagge coppie di ballerini in costume si dimenano incuranti dei 50 gradi.
No - non so se in realtà ci siano davvero 50 gradi.
Sono io che li sto percependo così.
Mi sembra di essere un pop corn sul punto di esplodere.
Avevo detto - questo posto è fantastico, è fatto di case screpolate e colorate, ci sono murales di Frida Kahlo e di antiche divinità giaguaro, venditori di manghi e iguane che fanno capolino sui muretti: passerò tutto il pomeriggio a vagare per i suoi vicoli, a fare foto, a cercare dettagli strani ed irriverenti.
E invece sono qui, a mollo nell'acqua verde del Mar dei Caraibi - perché arrendersi a volte ha anche un sapore dolce.
Cioè - l'acqua è salata, ma è così trasparente ed invitante, placida come una laguna segreta, nascosta in mezzo ad un accrocchio di rocce frastagliate, che potrebbe quasi sembrare qualcosa di dolce.
Sai quando dici "Se potessi mi butterei"?
E' che a volte siamo talmente abituati a pensare che non possiamo, che, se non ci soffermiamo un attimo a ragionare, non ci viene nemmeno più in mente quand'è che invece possiamo.
"Anvedi che mare, pare de stà ai Caraibi!"
C'è questo tizio completamente vestito di bianco, con i capelli bianchi, che parla come un fiume in piena da quando abbiamo attraccato sull'isola. Fa considerazioni curiose ed è accompagnato dalla moglie, che ha i capelli rossi e cotonati e che, stritolandosi la borsetta sotto l'ascella, continua a ripetere che è tutto bellissimo.
Qualcuno che ama essere didascalico gli ricorda che lo siamo.
"Ah, ecco. Me pareva"
Quindi non scherzava.
Siamo proprio all'inizio dei Caraibi, buon uomo di bianco vestito. E la prova è che non ci sono montagne di alghe spiaggiate sul bagnasciuga - la barriera corallina le blocca. E il Mar dei Caraibi è più cristallino, più pacato dell'impetuoso Golfo del Messico che bagna l'altro lato dello Yucatan.
"A me comunque nessuno aveva detto delle alghe" dice un tizio vestito come Indiana Jones.
Ha uno zaino gigante abbarbicato sulla schiena, perché pensava che oggi saremmo andati a fare snorkelling. Probabilmente nessuno gli aveva detto che non l'avremmo fatto.
"Ah, c'è da pagare la tassa d'ingresso? Non lo sapevo"
Ecco.
Indiana Jones l'Uomo Che Non Sa ha un pargolo, che, quando viene a sapere che siamo di Torino, si esalta e inizia a saltare e ruggire, gridando "Cristiano Ronaldo! CR7!".
Un'iguana infastidita si ritira repentina in una buca nel terreno.
Sto cominciando a prendere in simpatia le iguane.
Sono animali solitari. Credo che vorrebbero soltanto starsene in pace a godersi il sole (loro che hanno il sangue freddo lo tollerano meglio di me), ma c'è sempre qualche umano che rompe la quiete.
Sto facendo più foto alle iguane ultimamente, in effetti.
Ce n'è anche una ai piedi della statua di Izchel.
Forse le sta facendo compagnia, adesso che lei fissa l'orizzonte vuoto, mentre il suo amato è in giro a fare la ruota. Ma in fin dei conti magari a lei non dispiace: Izchel è una dea, e le dee non se ne stanno sedute a sospirare in riva al mare. La luna mantiene i suoi poteri, anche se non brilla di luce propria. E del resto è un panorama bellissimo, quello che c'è qui.
Il promontorio dedicato alla dea si protende in mezzo al mare.
E' una punta rocciosa dalla vegetazione brulla, che, con i suoi archi di pietra ed i suoi sentierini a spirale, fa da scenografia al verde smeraldo trasparente dell'acqua.
In lontananza, sfumati lungo l'orizzonte, i grattacieli di Cancun hanno uno skyline che somiglia quasi all'America.
Ai bassi cespugli spinosi che ricoprono a chiazze il promontorio sono legati dei nastrini di carta fucsia.
Sono i braccialetti d'ingresso alla riserva naturale, e vengono lasciati come pegno alla dea.
Izchel è la luna - il principio femminile, fertilità, maternità.
Da sempre quest'isola è meta di pellegrinaggio da parte di tutte le donne che cercano un figlio. Da qui deriva il suo nome.
E il culto della dea risale a tempi molto più antichi di quanto lei (o, forse, una sua sacerdotessa) s'innamorò infelicemente di un soldato spagnolo.
Cosa rende tale un luogo sacro, e come riescono le sue benevole vibrazioni a continuare a protrarsi lungo lo scorrere del tempo - fino a mantenersi ancora ai giorni nostri, in quest'epoca di ritmi forsennati e di razionalità assoluta che preferisce scivolare veloce sulla superficie di tutto - è un altro mistero.
Ma di sicuro sono esistiti tempi in cui noi umani eravamo più saggi e sapevamo sentire meglio, ascoltare più a fondo.
Izchel rimane seduta nel suo angolo di bellezza mozzafiato, contornata dai suoi ex voto di carta rosa - il resto dell'isola è fatta di alberghi e villaggi di cemento colorato, ragazzi con il gel nei capelli che sfrecciano su motorini sgangherati, turisti americani con le birkenstock, negozietti pieni di sombreri e camicette ricamate.
C'è una scritta fatta di lettere multicolore un po' arrugginite che si staglia contro l'azzurro del mare.
Il caldo è sempre estremo, vago da una bottega all'altra solo per prendere qualche boccata d'aria (condizionata). Spio anche dentro i ristoranti chiusi, con le pareti intonacate di colori accesi ed alti sgabelli di legno su cui sonnecchia qualche gatto.
Compro un flacone di aloe, qualche souvenir, un gelato al dulce de leche che si scioglie quasi subito.
C'è un piccolo cimitero, fatto di tombe variopinte affastellate una di fianco all'altra, quasi pendenti per il poco spazio a disposizione - come un grappolo di funghi che cresce in pochi centimetri quadrati.
Non esistono passaggi, per girare bisogna passeggiare sopra le tombe.
Ricordo di aver letto da qualche parte che una delle tradizioni messicane per il Dias de los Muertos consiste nel mettersi a mangiare sulle tombe dei propri cari, consumando i cibi da loro preferiti quando erano in vita.
Comincio a rimuginare che, se dovessi schiattare per il troppo caldo, e mi seppellissero qui, poi potrebbero venire tutti a fare un pic-nic a base di vino rosso e tagliere sulla mia lapide - però non so se ne sarei così felice, perché mi dispiacerebbe non poterne più godere anch'io.
Poi mi rendo conto che non sono pensieri troppo edificanti, e che magari è colpa del sole - per cui torno indietro e mi immergo di nuovo in acqua.
Mi domando se Izchel per caso non abbia caldo, messa lì piantata sotto il sole a picco - o se magari è anche lei come le iguane.
Ok che è innamorata di lui, però per quanto mi riguarda mi sembra un classico caso di amore asfissiante - lui è troppo caloroso, almeno per i miei gusti.
In lontananza si sentono ancora i rumori del Carnevale, un tripudio di balli e costumi di nylon.
Mi domando se il signore in bianco per caso si sia comprato un sombrero, ovviamente candido, e non abbia commentato che così gli sembra quasi di essere in Messico. O se ad Indiana Jones non sia stato detto qualcos'altro.
Però un'altra cosa bella del mare è questa - che tu sei in acqua, e, mentre sei lì, tutto ciò che succede sulla terra ferma, ti sembra lontanissimo.
Ti giunge ovattato come un eco lontano, attutito dallo sciabordio delle onde.
Do le spalle alla spiaggia e mi giro verso lo stesso orizzonte che guarda Izchel.
E capisco come mai questo luogo è sacro...
Dell'amante di Izchel penso che oggi stia davvero un po' esagerando.
Sarebbe inverno anche qua, in teoria. La gente sta festeggiando il carnevale: i bambini se ne vanno in giro con maschere da lottatore di wrestling di nylon glitterato, sulle spiagge coppie di ballerini in costume si dimenano incuranti dei 50 gradi.
No - non so se in realtà ci siano davvero 50 gradi.
Sono io che li sto percependo così.
Mi sembra di essere un pop corn sul punto di esplodere.
Avevo detto - questo posto è fantastico, è fatto di case screpolate e colorate, ci sono murales di Frida Kahlo e di antiche divinità giaguaro, venditori di manghi e iguane che fanno capolino sui muretti: passerò tutto il pomeriggio a vagare per i suoi vicoli, a fare foto, a cercare dettagli strani ed irriverenti.
E invece sono qui, a mollo nell'acqua verde del Mar dei Caraibi - perché arrendersi a volte ha anche un sapore dolce.
Cioè - l'acqua è salata, ma è così trasparente ed invitante, placida come una laguna segreta, nascosta in mezzo ad un accrocchio di rocce frastagliate, che potrebbe quasi sembrare qualcosa di dolce.
Sai quando dici "Se potessi mi butterei"?
E' che a volte siamo talmente abituati a pensare che non possiamo, che, se non ci soffermiamo un attimo a ragionare, non ci viene nemmeno più in mente quand'è che invece possiamo.
"Anvedi che mare, pare de stà ai Caraibi!"
C'è questo tizio completamente vestito di bianco, con i capelli bianchi, che parla come un fiume in piena da quando abbiamo attraccato sull'isola. Fa considerazioni curiose ed è accompagnato dalla moglie, che ha i capelli rossi e cotonati e che, stritolandosi la borsetta sotto l'ascella, continua a ripetere che è tutto bellissimo.
Qualcuno che ama essere didascalico gli ricorda che lo siamo.
"Ah, ecco. Me pareva"
Quindi non scherzava.
Siamo proprio all'inizio dei Caraibi, buon uomo di bianco vestito. E la prova è che non ci sono montagne di alghe spiaggiate sul bagnasciuga - la barriera corallina le blocca. E il Mar dei Caraibi è più cristallino, più pacato dell'impetuoso Golfo del Messico che bagna l'altro lato dello Yucatan.
"A me comunque nessuno aveva detto delle alghe" dice un tizio vestito come Indiana Jones.
Ha uno zaino gigante abbarbicato sulla schiena, perché pensava che oggi saremmo andati a fare snorkelling. Probabilmente nessuno gli aveva detto che non l'avremmo fatto.
"Ah, c'è da pagare la tassa d'ingresso? Non lo sapevo"
Ecco.
Indiana Jones l'Uomo Che Non Sa ha un pargolo, che, quando viene a sapere che siamo di Torino, si esalta e inizia a saltare e ruggire, gridando "Cristiano Ronaldo! CR7!".
Un'iguana infastidita si ritira repentina in una buca nel terreno.
Sto cominciando a prendere in simpatia le iguane.
Sono animali solitari. Credo che vorrebbero soltanto starsene in pace a godersi il sole (loro che hanno il sangue freddo lo tollerano meglio di me), ma c'è sempre qualche umano che rompe la quiete.
Sto facendo più foto alle iguane ultimamente, in effetti.
Ce n'è anche una ai piedi della statua di Izchel.
Forse le sta facendo compagnia, adesso che lei fissa l'orizzonte vuoto, mentre il suo amato è in giro a fare la ruota. Ma in fin dei conti magari a lei non dispiace: Izchel è una dea, e le dee non se ne stanno sedute a sospirare in riva al mare. La luna mantiene i suoi poteri, anche se non brilla di luce propria. E del resto è un panorama bellissimo, quello che c'è qui.
Il promontorio dedicato alla dea si protende in mezzo al mare.
E' una punta rocciosa dalla vegetazione brulla, che, con i suoi archi di pietra ed i suoi sentierini a spirale, fa da scenografia al verde smeraldo trasparente dell'acqua.
In lontananza, sfumati lungo l'orizzonte, i grattacieli di Cancun hanno uno skyline che somiglia quasi all'America.
Ai bassi cespugli spinosi che ricoprono a chiazze il promontorio sono legati dei nastrini di carta fucsia.
Sono i braccialetti d'ingresso alla riserva naturale, e vengono lasciati come pegno alla dea.
Izchel è la luna - il principio femminile, fertilità, maternità.
Da sempre quest'isola è meta di pellegrinaggio da parte di tutte le donne che cercano un figlio. Da qui deriva il suo nome.
E il culto della dea risale a tempi molto più antichi di quanto lei (o, forse, una sua sacerdotessa) s'innamorò infelicemente di un soldato spagnolo.
Cosa rende tale un luogo sacro, e come riescono le sue benevole vibrazioni a continuare a protrarsi lungo lo scorrere del tempo - fino a mantenersi ancora ai giorni nostri, in quest'epoca di ritmi forsennati e di razionalità assoluta che preferisce scivolare veloce sulla superficie di tutto - è un altro mistero.
Ma di sicuro sono esistiti tempi in cui noi umani eravamo più saggi e sapevamo sentire meglio, ascoltare più a fondo.
Izchel rimane seduta nel suo angolo di bellezza mozzafiato, contornata dai suoi ex voto di carta rosa - il resto dell'isola è fatta di alberghi e villaggi di cemento colorato, ragazzi con il gel nei capelli che sfrecciano su motorini sgangherati, turisti americani con le birkenstock, negozietti pieni di sombreri e camicette ricamate.
C'è una scritta fatta di lettere multicolore un po' arrugginite che si staglia contro l'azzurro del mare.
Il caldo è sempre estremo, vago da una bottega all'altra solo per prendere qualche boccata d'aria (condizionata). Spio anche dentro i ristoranti chiusi, con le pareti intonacate di colori accesi ed alti sgabelli di legno su cui sonnecchia qualche gatto.
Compro un flacone di aloe, qualche souvenir, un gelato al dulce de leche che si scioglie quasi subito.
C'è un piccolo cimitero, fatto di tombe variopinte affastellate una di fianco all'altra, quasi pendenti per il poco spazio a disposizione - come un grappolo di funghi che cresce in pochi centimetri quadrati.
Non esistono passaggi, per girare bisogna passeggiare sopra le tombe.
Ricordo di aver letto da qualche parte che una delle tradizioni messicane per il Dias de los Muertos consiste nel mettersi a mangiare sulle tombe dei propri cari, consumando i cibi da loro preferiti quando erano in vita.
Comincio a rimuginare che, se dovessi schiattare per il troppo caldo, e mi seppellissero qui, poi potrebbero venire tutti a fare un pic-nic a base di vino rosso e tagliere sulla mia lapide - però non so se ne sarei così felice, perché mi dispiacerebbe non poterne più godere anch'io.
Poi mi rendo conto che non sono pensieri troppo edificanti, e che magari è colpa del sole - per cui torno indietro e mi immergo di nuovo in acqua.
Mi domando se Izchel per caso non abbia caldo, messa lì piantata sotto il sole a picco - o se magari è anche lei come le iguane.
Ok che è innamorata di lui, però per quanto mi riguarda mi sembra un classico caso di amore asfissiante - lui è troppo caloroso, almeno per i miei gusti.
In lontananza si sentono ancora i rumori del Carnevale, un tripudio di balli e costumi di nylon.
Mi domando se il signore in bianco per caso si sia comprato un sombrero, ovviamente candido, e non abbia commentato che così gli sembra quasi di essere in Messico. O se ad Indiana Jones non sia stato detto qualcos'altro.
Però un'altra cosa bella del mare è questa - che tu sei in acqua, e, mentre sei lì, tutto ciò che succede sulla terra ferma, ti sembra lontanissimo.
Ti giunge ovattato come un eco lontano, attutito dallo sciabordio delle onde.
Do le spalle alla spiaggia e mi giro verso lo stesso orizzonte che guarda Izchel.
E capisco come mai questo luogo è sacro...
0 comments: