maggio 22, 2019
Che leggere e viaggiare siano metafore interconnesse l'uno dell'altro non l'ho scritto soltanto io più di una volta, ma è un leit-motiv che ha inventato Sant'Agostino, dicendo che chi non viaggia legge soltanto una pagina del libro della vita - e che va avanti dai suoi tempi.
Quello che posso aggiungere è che l'altra cosa che leggere e viaggiare hanno in comune è lo scopo, il motivo per cui si intraprende il percorso scelto - che sia fra parole di carta o seduti su un aereo che attraversa l'oceano.
C'è chi fa entrambe le cose semplicemente per divertirsi - ed è una cosa buona e giusta. E credo che sia questa la discriminante per l'annosa questione fra quale sia la differenza tra chi è turista e chi è viaggiatore: lo scopo del turista è il divertimento - e immagino che ci siano anche turisti della letteratura.
Il viaggiatore no.
Il viaggiatore cerca altro.
Il viaggiatore, fondamentalmente, cerca risposte, cerca domande. Cerca pezzi di sé.
Nei viaggi e nei libri.
"Il Club del Libro e della Torta di Bucce di Patata di Guernsey" è un romanzo dal titolo molto lungo ed un po' complicato - e forse sarà per questo motivo che non è granché conosciuto.
L'ha scritto Mary Ann Shaffer nel 2008, e dieci anni dopo ne hanno tratto un film che in Italia non è neppure uscito al cinema - e che, a mio avviso, semplifica un po' la trama, riducendola principalmente ad una storia d'amore, quando nella versione cartacea i temi toccati sono molto più variegati ed intensi.
C'è una giovane scrittrice che sta cercando la sua strada perché quella che prefabbricata che hanno tracciato gli altri per lei le sta un po' stretta - e la troverà attraverso un rapporto epistolare, e uno scambio di libri e di storie, quelle degli abitanti dell'isola di Guernsey.
C'è la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto - e io ho sempre a cuore le vicende ambientate durante questo periodo cupo: per non dimenticare, e perché, quando cala la notte, il buio della meschinità e della crudeltà dell'animo umano spesso, per contraltare, ha fatto in modo che uscisse a contrastarlo anche qualche luce, fatta di piccoli o grandi gesti eroici.
Guernsey, con le altre isole dell'arcipelago del Canale, è stato l'unico lembo di terra appartenente al Regno Unito che abbia subito l'invasione tedesca durante l'ultimo conflitto che ha bruciato l'Europa.
E, mentre leggevo le storie del libro, come la protagonista Juliet, il mio primo pensiero era stato "Devo andare a Guernsey".
Uno di quei pensieri spontanei ma un po' imperiosi, che non ti abbandonano tanto facilmente.
Forse perché in quel libro mi è sembrato di trovare un po' di me. E avevo bisogno di vedere se l'avrei trovato anche a Guernsey.
E così ci siamo arrivate, io & Ginger Cat, in una mattina di fine giugno, su un affollato traghetto della Condor da Saint-Malo.
E' stato un po' meno romantico dell'arrivo di Juliet nel libro: c'era tanta più gente e si fanno controlli di sicurezza come in aeroporto - ma il mare che ci accolte era cristallino, con sfumature color smeraldo, e c'era questo porticciolo intimo, affollato di barche a vela e di gabbiani. A quanto pare gli abitanti della benestante Guernsey, anziché investire in una seconda automobile che ingolferebbe troppo il traffico nelle stradine dell'isola, preferiscono acquistare barche.
Il sole è ridente e tiepido - e qualcosa di simile alla storia della Shaffer è rimasto: l'unica via per raggiungere il nostro hotel è a piedi.
In salita.
Sulle scale.
I gradini che dal lungomare si inerpicano fino al vecchio cuore di St Peter's Port, arroccato in alto come un nido di cuculo, si attorcigliano stretti fra muretti di pietra coperti d'edera e sembrano quasi infiniti, se li devi fare trascinando una valigia, sotto il sole di fine giugno.
Ogni tanto affiancano qualche portone di legno colorato, che però è sempre invalicabile e non è mai quello del nostro albergo.
Incrociamo una signora anziana che scende nel senso opposto, a passo svelto, con il carrellino della spesa: ci appiattiamo contro il muro per lasciarla passare, e penso che, forse, è tutta questione di allenamento.
Alzo lo sguardo e noto che è appena ad una rampa di distanza: il portone dello Ziggurat Hotel, meta quasi agognata come un'oasi nel deserto.
All'ingresso ci accoglie un'imponente statua della dea Ishtar, ma le camere hanno uno stile quasi da chalet di montagna, accogliente e confortevole. La vista sulla baia con la solida sagoma tozza del Castle Cornet è un'efficace metafora di come i sacrifici spesso siano ripagati.
Le Isole del Canale, l'arcipelago a cui appartiene Guernsey, in realtà sono fisicamente più vicine alla costa francese ma appartengono spiritualmente al Regno Unito, anche se di fatto sono indipendenti.
Come tutti i luoghi di confine hanno un'identità sospesa fra il dualismo che le compone, una mistura unica fatta di contaminazioni fra due anime diverse. Ma, nel caso di Guernsey, i geni preponderanti sono quelli britannici: la Francia compare di rado, a sprazzi casuali, quasi come dei lapsus che sfuggono. Le tea rooms con le tovaglie di pizzo e gli infissi di legno colorato servono anche macarons e eclairs, ma poi i nomi francesi delle località vengono pronunciati all'inglese. Così come il Guernesiais, il dialetto locale, è un patois che, a vederlo scritto, sembra più simile alla lingua d'Oltralpe, ma, a sentirlo parlare, ha una sonorità tipicamente british.
Victor Hugo, che aveva trascorso qui gli ultimi anni della sua vita, in esilio, a contemplare malinconicamente le sponde della sua patria che nelle giornate di cielo terso dal promontorio si riescono ad intravedere, aveva definito queste isole "Un pezzo di Francia caduto nel mare e raccolto dall'Inghilterra" - ma a me viene da sospettare che questa caduta non sia stata casuale, che questo pezzetto di Francia abbia voluto staccarsi e tentare di raggiungere a nuoto la terra con cui sentiva maggiore affinità elettiva.
Guernsey è un baliato - cioè qui il potere esecutivo è esercitato dal balivo, un funzionario che di fatto ha il ruolo del primo ministro, capo di un governo tutto suo.
Guernsey batte persino una moneta tutta sua: come resto al negozio dell'ufficio informazioni turistiche, dove acquisto un sacchetto di semi di campanule per mia mamma ed una cartolina con la ricetta della torta di bucce di patate per Tabby Cat (ci limiteremo alla ricetta, nessuna di noi avrà il coraggio di sperimentarla), mi danno un paio di banconote da 1 £ dai toni verdognoli, che recano il nome dell'isola e l'effigie della regina Elisabetta.
La Regina è il vero capo di stato di Guernsey, ma lo è tramite il titolo di Duchessa di Normandia, e non in quanto sovrana del Regno Unito.
Insomma, è una faccenda un po' complicata, però mi affascina questo suo spirito indipendente - o solitario, se vogliamo.
Del resto Guernsey è assolutamente in grado di far funzionare bene le cose così, nel suo idilliaco isolamento: ha un regime fiscale privilegiato e solo l'1% di disoccupazione. Uno stuolo di banche off-shore, servizi finanziari e fondi di protezione prospera qui, a pochi passi da idilli campestri di cottage di pietra e scogliere a picco sul mare: un interessante contrasto - che, come tutti i contrasti, serve a definire meglio l'anima pragmatica e poetica di quest'isola sospesa a metà fra due mondi.
"Vorrei tanto vedere una spiaggia di quelle belle, un po' selvagge... con le scogliere a picco, sentieri mozzafiato..."
"Sì, anche io"
Bene, abbiamo l'imbarazzo della scelta. All'ufficio del turismo, oltre alla ricetta della torta di bucce di patate, ci hanno dato un opuscoletto gratuito molto dettagliato con venti sentieri escursionistici fra cui scegliere: per ognuno viene illustrato il tempo di percorrenza, la lunghezza, come arrivarci e quali tappe interessanti si toccheranno.
Solo che la legge di Murphy è sempre in agguato, e, quando hai l'imbarazzo della scelta, se lei ti colpisce in piena fronte, finirai per fare l'unica scelta imbarazzante - ovvero non solo l'unico sentiero decisamente privo di spunti suggestivi presente sull'opuscolo, ma anche quello che attraversa la (probabilmente) unica parte bruttarella dell'isola.
Dopo aver costeggiato per un'oretta una spiaggia squallida fatta di sassi ed oggetti dispersi, forse abbandonati per incuria o forse gettati lì dal mare grigio e spumoso che la lambisce, ed esserci perse fra villette a schiera e parallelipipedi bianchi che ospitano concessionarie ed uffici - ci siamo arrese: ad un mango cooler, ad un rientro in autobus, ad una passeggiata rinfrancante fra le viuzze in salita di St Peter's Port, fatte di pietre grige, fiori multicolori e britannicità sfumata di Francia.
I Candie Gardens sono piccoli ma rigogliosi: c'è una statua di Victor Hugo che sembra voler andare via, o semplicemente continuare a vagare, gazebi in ferro battuto bianco ed una tea room di gusto vittoriano.
Di fianco c'è anche un piccolo cimitero - raccolto fra mura alte di cemento, è fatto di croci celtiche ed angeli piangenti che, con le luci tiepide e lunghe dell'imbrunire, lanciano ombre suggestive.
Giriamo fra i suoi sentieri e arriviamo fino in fondo, da dove contempliamo St. Peter's Port dall'alto, sedute su una panchina.
"Stanno tagliando l'erba, non è che poi ti viene un attacco allergico come a Whitby?" mi chiede preoccupata Ginger Cat.
"Mah... non so, per ora non mi sta venendo da starnutire. E poi mi sembra che adesso abbiano finito di tagliare, non vedo più nessuno in giro"
"Che dici, andiamo? Non vorrei che fra un po' chiudano"
"Mi sembra saggio"
"Oh m...a"
Saggio era saggio, ma ormai era troppo tardi.
Il cancello secondario del cimitero è sbarrato con una catena. Il cancello principale pure.
Incredibile ma vero - siamo chiuse dentro il cimitero.
Questa andrà a finire di diritto nella Top 10 delle cose da raccontare ai propri nipoti. Credo. Anche se per ora, così sul momento, non mi sembra particolarmente esaltante.
Mentre sto meditando se potrebbe o meno essere usata anche come episodio per far colpo ad un primo appuntamento, notiamo un cartello con sopra un numero per le emergenze.
Ginger prontamente lo digita:
"Aiuto per favore, siamo rimaste chiuse nel cimitero"
"Oh cara" risponde un impeccabile e garbato accento Oxbridge dall'altra parte del telefono "questo in effetti è un bel problema. Di notte tende a far freddino, anche se siamo in estate"
"Non scherzi per favore!!"
Non è da Ginger non apprezzare lo humor britannico; ma le circostanze erano in effetti inusuali.
Dopo 6 lunghissimi minuti il nostro salvatore si presenta puntuale come promesso e ci apre le porte.
Dormiamo quindi non nel cimitero ma nella nostra confortevole stanzetta chalet-Ikea, con vista sulla baia al tramonto.
Il mattino ha l'oro in bocca, dicono - e, per me, questo specifico oro ha avuto il gusto sfizioso ed insolito di un toast con feta, frutti di bosco e cannella, gustato sulla terrazza dello Ziggurat.
Che pare di buon auspicio, perché stavolta sembra che ci abbiamo preso anche con la scelta del sentiero escursionistico.
C'è un autobus di linea che ti porta fin davanti ad un hotel, sperduto in mezzo al nulla ma con l'aria da rifugio di lusso - anche se scommetto che a colazione i toast alla feta non ce li hanno. Il "nulla", comunque, non è davvero un nulla: è solo un sentiero che scende verso il basso, sul promontorio a picco sul mare, e serpeggia lungo la costa fra rocce acuminate e ginestre gialle.
Eccolo, è questo.
Voglio dire - il motivo per cui sono venuta qui. Il motivo da offrire a chi mi chiedeva "Ma perché? Ma dov'è 'sto posto? Cosa ci vai a fare?".
Beh, guardate.
Guardate le calette di sabbia dorata, le sfumature trasparenti del mare. La luce tiepida, perfetta, di questa mattinata di fine giugno, con il cielo della stessa tinta dell'acqua, e il riverbero accecante del sole, che abbraccia entrambi. Le rocce scure e frastagliate che si tuffano giù, e ogni tanto riemergono fra le onde.
Guardate - e sentite.
La pace e la bellezza che c'è qui intorno. La scarpinata fino in fondo al sentiero, con il fiatone, a contemplare il mare con il sorriso sulle labbra - come un obiettivo raggiunto, come la meta di un lungo viaggio.
E' questo il motivo.
Oppure - è tutto quello che mi ha portata fin qui.
Che leggere e viaggiare siano metafore interconnesse l'uno dell'altro non l'ho scritto soltanto io più di una volta, ma è un ...
Guernsey: leggere, viaggiare, cercare
Che leggere e viaggiare siano metafore interconnesse l'uno dell'altro non l'ho scritto soltanto io più di una volta, ma è un leit-motiv che ha inventato Sant'Agostino, dicendo che chi non viaggia legge soltanto una pagina del libro della vita - e che va avanti dai suoi tempi.
Quello che posso aggiungere è che l'altra cosa che leggere e viaggiare hanno in comune è lo scopo, il motivo per cui si intraprende il percorso scelto - che sia fra parole di carta o seduti su un aereo che attraversa l'oceano.
C'è chi fa entrambe le cose semplicemente per divertirsi - ed è una cosa buona e giusta. E credo che sia questa la discriminante per l'annosa questione fra quale sia la differenza tra chi è turista e chi è viaggiatore: lo scopo del turista è il divertimento - e immagino che ci siano anche turisti della letteratura.
Il viaggiatore no.
Il viaggiatore cerca altro.
Il viaggiatore, fondamentalmente, cerca risposte, cerca domande. Cerca pezzi di sé.
Nei viaggi e nei libri.
"Il Club del Libro e della Torta di Bucce di Patata di Guernsey" è un romanzo dal titolo molto lungo ed un po' complicato - e forse sarà per questo motivo che non è granché conosciuto.
L'ha scritto Mary Ann Shaffer nel 2008, e dieci anni dopo ne hanno tratto un film che in Italia non è neppure uscito al cinema - e che, a mio avviso, semplifica un po' la trama, riducendola principalmente ad una storia d'amore, quando nella versione cartacea i temi toccati sono molto più variegati ed intensi.
C'è una giovane scrittrice che sta cercando la sua strada perché quella che prefabbricata che hanno tracciato gli altri per lei le sta un po' stretta - e la troverà attraverso un rapporto epistolare, e uno scambio di libri e di storie, quelle degli abitanti dell'isola di Guernsey.
C'è la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto - e io ho sempre a cuore le vicende ambientate durante questo periodo cupo: per non dimenticare, e perché, quando cala la notte, il buio della meschinità e della crudeltà dell'animo umano spesso, per contraltare, ha fatto in modo che uscisse a contrastarlo anche qualche luce, fatta di piccoli o grandi gesti eroici.
Guernsey, con le altre isole dell'arcipelago del Canale, è stato l'unico lembo di terra appartenente al Regno Unito che abbia subito l'invasione tedesca durante l'ultimo conflitto che ha bruciato l'Europa.
E, mentre leggevo le storie del libro, come la protagonista Juliet, il mio primo pensiero era stato "Devo andare a Guernsey".
Uno di quei pensieri spontanei ma un po' imperiosi, che non ti abbandonano tanto facilmente.
Forse perché in quel libro mi è sembrato di trovare un po' di me. E avevo bisogno di vedere se l'avrei trovato anche a Guernsey.
E così ci siamo arrivate, io & Ginger Cat, in una mattina di fine giugno, su un affollato traghetto della Condor da Saint-Malo.
E' stato un po' meno romantico dell'arrivo di Juliet nel libro: c'era tanta più gente e si fanno controlli di sicurezza come in aeroporto - ma il mare che ci accolte era cristallino, con sfumature color smeraldo, e c'era questo porticciolo intimo, affollato di barche a vela e di gabbiani. A quanto pare gli abitanti della benestante Guernsey, anziché investire in una seconda automobile che ingolferebbe troppo il traffico nelle stradine dell'isola, preferiscono acquistare barche.
Il sole è ridente e tiepido - e qualcosa di simile alla storia della Shaffer è rimasto: l'unica via per raggiungere il nostro hotel è a piedi.
In salita.
Sulle scale.
I gradini che dal lungomare si inerpicano fino al vecchio cuore di St Peter's Port, arroccato in alto come un nido di cuculo, si attorcigliano stretti fra muretti di pietra coperti d'edera e sembrano quasi infiniti, se li devi fare trascinando una valigia, sotto il sole di fine giugno.
Ogni tanto affiancano qualche portone di legno colorato, che però è sempre invalicabile e non è mai quello del nostro albergo.
Incrociamo una signora anziana che scende nel senso opposto, a passo svelto, con il carrellino della spesa: ci appiattiamo contro il muro per lasciarla passare, e penso che, forse, è tutta questione di allenamento.
Alzo lo sguardo e noto che è appena ad una rampa di distanza: il portone dello Ziggurat Hotel, meta quasi agognata come un'oasi nel deserto.
All'ingresso ci accoglie un'imponente statua della dea Ishtar, ma le camere hanno uno stile quasi da chalet di montagna, accogliente e confortevole. La vista sulla baia con la solida sagoma tozza del Castle Cornet è un'efficace metafora di come i sacrifici spesso siano ripagati.
Le Isole del Canale, l'arcipelago a cui appartiene Guernsey, in realtà sono fisicamente più vicine alla costa francese ma appartengono spiritualmente al Regno Unito, anche se di fatto sono indipendenti.
Come tutti i luoghi di confine hanno un'identità sospesa fra il dualismo che le compone, una mistura unica fatta di contaminazioni fra due anime diverse. Ma, nel caso di Guernsey, i geni preponderanti sono quelli britannici: la Francia compare di rado, a sprazzi casuali, quasi come dei lapsus che sfuggono. Le tea rooms con le tovaglie di pizzo e gli infissi di legno colorato servono anche macarons e eclairs, ma poi i nomi francesi delle località vengono pronunciati all'inglese. Così come il Guernesiais, il dialetto locale, è un patois che, a vederlo scritto, sembra più simile alla lingua d'Oltralpe, ma, a sentirlo parlare, ha una sonorità tipicamente british.
Victor Hugo, che aveva trascorso qui gli ultimi anni della sua vita, in esilio, a contemplare malinconicamente le sponde della sua patria che nelle giornate di cielo terso dal promontorio si riescono ad intravedere, aveva definito queste isole "Un pezzo di Francia caduto nel mare e raccolto dall'Inghilterra" - ma a me viene da sospettare che questa caduta non sia stata casuale, che questo pezzetto di Francia abbia voluto staccarsi e tentare di raggiungere a nuoto la terra con cui sentiva maggiore affinità elettiva.
Guernsey è un baliato - cioè qui il potere esecutivo è esercitato dal balivo, un funzionario che di fatto ha il ruolo del primo ministro, capo di un governo tutto suo.
Guernsey batte persino una moneta tutta sua: come resto al negozio dell'ufficio informazioni turistiche, dove acquisto un sacchetto di semi di campanule per mia mamma ed una cartolina con la ricetta della torta di bucce di patate per Tabby Cat (ci limiteremo alla ricetta, nessuna di noi avrà il coraggio di sperimentarla), mi danno un paio di banconote da 1 £ dai toni verdognoli, che recano il nome dell'isola e l'effigie della regina Elisabetta.
La Regina è il vero capo di stato di Guernsey, ma lo è tramite il titolo di Duchessa di Normandia, e non in quanto sovrana del Regno Unito.
Insomma, è una faccenda un po' complicata, però mi affascina questo suo spirito indipendente - o solitario, se vogliamo.
Del resto Guernsey è assolutamente in grado di far funzionare bene le cose così, nel suo idilliaco isolamento: ha un regime fiscale privilegiato e solo l'1% di disoccupazione. Uno stuolo di banche off-shore, servizi finanziari e fondi di protezione prospera qui, a pochi passi da idilli campestri di cottage di pietra e scogliere a picco sul mare: un interessante contrasto - che, come tutti i contrasti, serve a definire meglio l'anima pragmatica e poetica di quest'isola sospesa a metà fra due mondi.
"Vorrei tanto vedere una spiaggia di quelle belle, un po' selvagge... con le scogliere a picco, sentieri mozzafiato..."
"Sì, anche io"
Bene, abbiamo l'imbarazzo della scelta. All'ufficio del turismo, oltre alla ricetta della torta di bucce di patate, ci hanno dato un opuscoletto gratuito molto dettagliato con venti sentieri escursionistici fra cui scegliere: per ognuno viene illustrato il tempo di percorrenza, la lunghezza, come arrivarci e quali tappe interessanti si toccheranno.
Solo che la legge di Murphy è sempre in agguato, e, quando hai l'imbarazzo della scelta, se lei ti colpisce in piena fronte, finirai per fare l'unica scelta imbarazzante - ovvero non solo l'unico sentiero decisamente privo di spunti suggestivi presente sull'opuscolo, ma anche quello che attraversa la (probabilmente) unica parte bruttarella dell'isola.
Dopo aver costeggiato per un'oretta una spiaggia squallida fatta di sassi ed oggetti dispersi, forse abbandonati per incuria o forse gettati lì dal mare grigio e spumoso che la lambisce, ed esserci perse fra villette a schiera e parallelipipedi bianchi che ospitano concessionarie ed uffici - ci siamo arrese: ad un mango cooler, ad un rientro in autobus, ad una passeggiata rinfrancante fra le viuzze in salita di St Peter's Port, fatte di pietre grige, fiori multicolori e britannicità sfumata di Francia.
I Candie Gardens sono piccoli ma rigogliosi: c'è una statua di Victor Hugo che sembra voler andare via, o semplicemente continuare a vagare, gazebi in ferro battuto bianco ed una tea room di gusto vittoriano.
Di fianco c'è anche un piccolo cimitero - raccolto fra mura alte di cemento, è fatto di croci celtiche ed angeli piangenti che, con le luci tiepide e lunghe dell'imbrunire, lanciano ombre suggestive.
Giriamo fra i suoi sentieri e arriviamo fino in fondo, da dove contempliamo St. Peter's Port dall'alto, sedute su una panchina.
"Stanno tagliando l'erba, non è che poi ti viene un attacco allergico come a Whitby?" mi chiede preoccupata Ginger Cat.
"Mah... non so, per ora non mi sta venendo da starnutire. E poi mi sembra che adesso abbiano finito di tagliare, non vedo più nessuno in giro"
"Che dici, andiamo? Non vorrei che fra un po' chiudano"
"Mi sembra saggio"
"Oh m...a"
Saggio era saggio, ma ormai era troppo tardi.
Il cancello secondario del cimitero è sbarrato con una catena. Il cancello principale pure.
Incredibile ma vero - siamo chiuse dentro il cimitero.
Questa andrà a finire di diritto nella Top 10 delle cose da raccontare ai propri nipoti. Credo. Anche se per ora, così sul momento, non mi sembra particolarmente esaltante.
Mentre sto meditando se potrebbe o meno essere usata anche come episodio per far colpo ad un primo appuntamento, notiamo un cartello con sopra un numero per le emergenze.
Ginger prontamente lo digita:
"Aiuto per favore, siamo rimaste chiuse nel cimitero"
"Oh cara" risponde un impeccabile e garbato accento Oxbridge dall'altra parte del telefono "questo in effetti è un bel problema. Di notte tende a far freddino, anche se siamo in estate"
"Non scherzi per favore!!"
Non è da Ginger non apprezzare lo humor britannico; ma le circostanze erano in effetti inusuali.
Dopo 6 lunghissimi minuti il nostro salvatore si presenta puntuale come promesso e ci apre le porte.
Dormiamo quindi non nel cimitero ma nella nostra confortevole stanzetta chalet-Ikea, con vista sulla baia al tramonto.
Il mattino ha l'oro in bocca, dicono - e, per me, questo specifico oro ha avuto il gusto sfizioso ed insolito di un toast con feta, frutti di bosco e cannella, gustato sulla terrazza dello Ziggurat.
Che pare di buon auspicio, perché stavolta sembra che ci abbiamo preso anche con la scelta del sentiero escursionistico.
C'è un autobus di linea che ti porta fin davanti ad un hotel, sperduto in mezzo al nulla ma con l'aria da rifugio di lusso - anche se scommetto che a colazione i toast alla feta non ce li hanno. Il "nulla", comunque, non è davvero un nulla: è solo un sentiero che scende verso il basso, sul promontorio a picco sul mare, e serpeggia lungo la costa fra rocce acuminate e ginestre gialle.
Eccolo, è questo.
Voglio dire - il motivo per cui sono venuta qui. Il motivo da offrire a chi mi chiedeva "Ma perché? Ma dov'è 'sto posto? Cosa ci vai a fare?".
Beh, guardate.
Guardate le calette di sabbia dorata, le sfumature trasparenti del mare. La luce tiepida, perfetta, di questa mattinata di fine giugno, con il cielo della stessa tinta dell'acqua, e il riverbero accecante del sole, che abbraccia entrambi. Le rocce scure e frastagliate che si tuffano giù, e ogni tanto riemergono fra le onde.
Guardate - e sentite.
La pace e la bellezza che c'è qui intorno. La scarpinata fino in fondo al sentiero, con il fiatone, a contemplare il mare con il sorriso sulle labbra - come un obiettivo raggiunto, come la meta di un lungo viaggio.
E' questo il motivo.
Oppure - è tutto quello che mi ha portata fin qui.
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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