aprile 24, 2019
Se trascorri molto tempo a fare cose che ti piacciono, prima o poi giungi sempre a qualche conclusione.
A me ad esempio piace visitare abbazie e cattedrali medievali - non so bene se sia perché ho letto troppe volte Il Nome della Rosa ad un'età in cui la gente normale, di solito, si diverte in altri modi, o se perché una delle mie vite precedenti l'ho trascorsa in un posto così. Forse ero un monaco amanuense - o una vivandiera accusata di stregoneria perché voleva imparare a leggere; ma adesso non ha molta importanza.
Quello che volevo dire è che sono giunta ad una conclusione anche per quanto riguarda le abbazie medievali.
E cioè che ogni abbazia che si rispetti dovrebbe avere le seguenti cose:
1) un gatto come custode (o più di uno);
2) dei pipistrelli;
3) una leggenda.
L'Abbazia di Staffarda, che si trova vicino a Saluzzo, in provincia di Cuneo, rispetta tutte queste regole - e adesso ve le racconto.
Prima delle regole, però, ci deve essere una solida base che le supporta - e, qui, nemmeno questa manca.
Staffarda non è solo un'abbazia ma un complesso abbaziale - una sorta di piccolo mondo a sé stante, che sorge in mezzo alle campagne di questa fettina di Piemonte fra Cuneo e Torino: arrivarci è come valicare un confine immaginario che ti fa tornare indietro nel tempo, come se ci fosse un passaggio magico da imboccare che ti facesse capitombolare direttamente nel cuore del medioevo.
I terreni su cui l'abbazia sorge furono donati ai monaci cistercensi attorno al XII secolo dal Marchese di Saluzzo al fine di bonificarli - e loro riuscirono a fare molto di più: riuscirono a creare questo angolo di bellezza e misticismo che resiste al tempo, che è fatto di pietre e parole sacre e nella pietra sembra essere scolpito.
Il complesso abbaziale come lo vediamo oggi è frutto di nove secoli di evoluzioni, di crescite e di ferite di battaglia, in particolare quella sanguinosissima del 1690 fra Vittorio Amedeo II di Savoia ed i francesi del generale Catinat, che avvenne proprio lì, colpendo e danneggiando anche la stessa abbazia.
Oltre alla chiesa, Staffarda è fatta di un chiostro, di una sagrestia, di un refettorio, di un dormitorio, un ospizio per i pellegrini, e, fuori, diverse strutture per la produzione agricola - una delle quali oggi ospita un ristorante tradizionale (e secondo me ai monaci non sarebbe dispiaciuto che ci fosse stato anche ai loro tempi).
La visita comincia subito smarcando la prima regola, perché è un pomeriggio di gennaio, soleggiato ma frizzante, e la biglietteria pullula di gatti che sonnecchiano accanto alla stufa.
Del resto, Staffarda è un complesso imponente: un gatto solo ad espletare le funzioni di custode non può bastare, è necessario un intero staff - mi sembra più che giusto.
Ci aggiriamo per il chiostro deserto, guardando il campanile della chiesa che viene incorniciato dagli archi del suo perimetro: mi è sempre piaciuto questo susseguirsi armonico di onde e capitelli che hanno i chiostri, la loro ombra silente, il loro essere intimi e raccolti e al tempo stesso aperti verso l'esterno, verso l'alto, verso il cielo.
Se fossi stata un monaco cistercense avrei trovato ideale venire a riflettere e a meditare in un chiostro.
Però sono solo una turista di passaggio che lo fotografa, e, mentre lo ammiro, mi rendo conto che non è vero che siamo soli: sull'altro lato sta passeggiando con apparente noncuranza un gatto nero.
Forse vuole farci da guida oppure ci vuole controllare.
O, molto più probabilmente, si stava solo facendo gli affari suoi, e la concomitanza della nostra presenza è venuta a disturbare la sua privacy - però mi piace pensare che, in effetti, se lo staff dei gatti custodi dell'abbazia dovesse avere un capo, questo gatto nero che sembra ben sapere il fatto suo, sarebbe il candidato ideale.
E devo anche dire che, se fossi un gatto nero, mi piacerebbe molto stare qui nel chiostro.
Del resto, in effetti, lo sono.
Ma, oltre ai gatti, ai monaci e a me, ci sono anche altre creature che hanno preso in simpatia questo prezioso angolo gotico di quiete.
Ogni anno, in primavera, una delle stanze pizzicata fra il chiostro ed i laboratori dei monaci, ospita circa un migliaio di femmine di pipistrello, che vengono qui per partorire, e ci restano fino ad autunno inoltrato, finché il piccolo non è svezzato.
Chissà come mai questo posto è così apprezzato dalle pipistrellesse.
Un tempo questo era l'unico locale dell'abbazia che veniva riscaldato, per cui probabilmente si tratta di una tradizione che viene tramandata di madre in figlia pipistrella - e che rimane fedele, nonostante in passato l'assembramento dei poveri chirotteri non venisse accolto con troppo calore da molti abitanti della zona, vuoi per l'odore pungente, vuoi per i pregiudizi legati all'aspetto non esattamente avvenente ed un po' draculesco di questi animali.
Forse avranno fatto una sorta di analisi costi-benefici della situazione e il consiglio di amministrazione dei pipistrelli, essendo Gotham City troppo lontana, avrà deciso che Staffarda continua ad essere il luogo migliore nei dintorni: la presenza massiva di chirotteri è di solito un buon indicatore di ambiente sano - e, comunque, oggi c'è molta più parità di diritti, per cui, anche se hai la sfortuna di somigliare a Nosferatu il Vampiro, è considerato deprecabile e condannabile che ti tirino delle pigne addosso mentre dormi a testa in giù.
O forse esiste una sorta di Trip Advisor dei pipistrelli in cui questo posto mantiene delle recensioni top per il cibo ed il locale, nonostante in passato ci siano stati alcuni episodi di scortesia.
Oggi, infatti, il WWF tutela la privacy e la sicurezza di questi animali durante il delicato periodo in cui vengono a soggiornare qui: quando è presente la colonia, l'accesso ai locali è consentito solo agli addetti ai lavori; mentre il pubblico può osservare i pipistrelli solo dall'esterno grazie ad un sistema di telecamere.
Il gatto nero intanto è sparito, ma sulla parete esterna alla chiesa noto che c'è appeso qualcosa di strano: sembra un osso, una grossa costola bianca e ricurva.
"Non è che sembra solo - lo è" - mi bisbiglia l'audioguida all'orecchio, interpretando i miei pensieri meglio di quanto l'assistente vocale di Google spesso riesca a fare con le parole.
A quanto pare è ciò che resta di un enorme pesce che fu spedito dal Cielo in ascolto alle preghiere dei monaci disperati dopo lunghi giorni di carestia - tanto grosso che riuscì a sfamare tutti quanti, gatti compresi, per un mese intero.
Poi la carestia finì e tornarono al brasato al Barolo, immagino.
Come sia riuscito un pesce così grande ad arrivare fin qui, in queste lande di campagna piemontese dove non ci sono altri corsi d'acqua che i rivoletti che servono per irrigare i campi, non ci è dato saperlo - ma si sa che i miracoli funzionano sempre in maniera più efficace che l'assistente vocale di Google.
Anche se in merito mi piacerebbe sentire il parere del gatto nero capo-custode che nel frattempo si è eclissato: ho come l'impressione che lui possa sapere qualcosa di più in merito, in una qualche versione della storia tramandatagli da qualche antenato - un po' come i pipistrelli si tramandano l'ubicazione della stanza dello svezzamento.
Quindi - terza regola, check.
Ma, non paga di aver già soddisfatto tutti i miei requisiti minimi, Staffarda vuole strafare e mi concede anche il bonus.
Quarta regola: Dan Brown.
La posizione di Staffarda sembra essere stata meticolosamente studiata per allinearsi in maniera armonica con particolari eventi astronomici, come il sorgere del sole agli equinozi o della luna alla sua massima e minima declinazione. Pare quindi che si sia voluto rendere omaggio al susseguirsi del tempo e delle stagioni, o, forse, addirittura si sia tentato di assorbire al meglio le energie cosmiche di questi momenti particolari - un po' come si suppone dovessero fare altri monumenti più antichi, come le Piramidi o Stonehenge.
Se a questo aggiungiamo la presenza di altri elementi architettonici e decorativi che possono liberamente ricordare le simbologie alchemiche e templari (stelle, fiori della vita, cerchi, scelta dei colori e altro), allora non stupisce che esista un'altra leggenda oltre a quella del pesce: da qualche parte forse c'è un passaggio segreto che conduce ad un'antica biblioteca pullulante di testi sulla magia e sull'alchimia che si credevano ormai perduti.
Per un attimo penso che, se fosse stato piemontese, magari Dan Brown lo avrebbe ambientato qui il Codice Da Vinci.
Poi mi giro, e vedo di nuovo il gatto nero passeggiare.
E mi viene in mente che non c'è bisogno di Dan Brown - perché in realtà ci ha già pensato Umberto Eco anni prima. Con un apparato filosofico, semiologico e filologico molto più complesso e solido, e leggibile su più livelli e diverse chiavi di interpretazione.
Il gatto si infila in un buco sotto un ingresso sbarrato e sparisce di nuovo.
O forse, chissà, voleva solo dirci che il passaggio segreto era lì...
Se trascorri molto tempo a fare cose che ti piacciono, prima o poi giungi sempre a qualche conclusione. A me ad esempio piace visitare ...
L'Abbazia di Staffarda e perché i gatti amano le chiese
L'Abbazia di Staffarda e perché i gatti amano le chiese
L'Abbazia di Staffarda e perché i gatti amano le chiese
Se trascorri molto tempo a fare cose che ti piacciono, prima o poi giungi sempre a qualche conclusione.
A me ad esempio piace visitare abbazie e cattedrali medievali - non so bene se sia perché ho letto troppe volte Il Nome della Rosa ad un'età in cui la gente normale, di solito, si diverte in altri modi, o se perché una delle mie vite precedenti l'ho trascorsa in un posto così. Forse ero un monaco amanuense - o una vivandiera accusata di stregoneria perché voleva imparare a leggere; ma adesso non ha molta importanza.
Quello che volevo dire è che sono giunta ad una conclusione anche per quanto riguarda le abbazie medievali.
E cioè che ogni abbazia che si rispetti dovrebbe avere le seguenti cose:
1) un gatto come custode (o più di uno);
2) dei pipistrelli;
3) una leggenda.
L'Abbazia di Staffarda, che si trova vicino a Saluzzo, in provincia di Cuneo, rispetta tutte queste regole - e adesso ve le racconto.
Prima delle regole, però, ci deve essere una solida base che le supporta - e, qui, nemmeno questa manca.
Staffarda non è solo un'abbazia ma un complesso abbaziale - una sorta di piccolo mondo a sé stante, che sorge in mezzo alle campagne di questa fettina di Piemonte fra Cuneo e Torino: arrivarci è come valicare un confine immaginario che ti fa tornare indietro nel tempo, come se ci fosse un passaggio magico da imboccare che ti facesse capitombolare direttamente nel cuore del medioevo.
I terreni su cui l'abbazia sorge furono donati ai monaci cistercensi attorno al XII secolo dal Marchese di Saluzzo al fine di bonificarli - e loro riuscirono a fare molto di più: riuscirono a creare questo angolo di bellezza e misticismo che resiste al tempo, che è fatto di pietre e parole sacre e nella pietra sembra essere scolpito.
Il complesso abbaziale come lo vediamo oggi è frutto di nove secoli di evoluzioni, di crescite e di ferite di battaglia, in particolare quella sanguinosissima del 1690 fra Vittorio Amedeo II di Savoia ed i francesi del generale Catinat, che avvenne proprio lì, colpendo e danneggiando anche la stessa abbazia.
Oltre alla chiesa, Staffarda è fatta di un chiostro, di una sagrestia, di un refettorio, di un dormitorio, un ospizio per i pellegrini, e, fuori, diverse strutture per la produzione agricola - una delle quali oggi ospita un ristorante tradizionale (e secondo me ai monaci non sarebbe dispiaciuto che ci fosse stato anche ai loro tempi).
La visita comincia subito smarcando la prima regola, perché è un pomeriggio di gennaio, soleggiato ma frizzante, e la biglietteria pullula di gatti che sonnecchiano accanto alla stufa.
Del resto, Staffarda è un complesso imponente: un gatto solo ad espletare le funzioni di custode non può bastare, è necessario un intero staff - mi sembra più che giusto.
Ci aggiriamo per il chiostro deserto, guardando il campanile della chiesa che viene incorniciato dagli archi del suo perimetro: mi è sempre piaciuto questo susseguirsi armonico di onde e capitelli che hanno i chiostri, la loro ombra silente, il loro essere intimi e raccolti e al tempo stesso aperti verso l'esterno, verso l'alto, verso il cielo.
Se fossi stata un monaco cistercense avrei trovato ideale venire a riflettere e a meditare in un chiostro.
Però sono solo una turista di passaggio che lo fotografa, e, mentre lo ammiro, mi rendo conto che non è vero che siamo soli: sull'altro lato sta passeggiando con apparente noncuranza un gatto nero.
Forse vuole farci da guida oppure ci vuole controllare.
O, molto più probabilmente, si stava solo facendo gli affari suoi, e la concomitanza della nostra presenza è venuta a disturbare la sua privacy - però mi piace pensare che, in effetti, se lo staff dei gatti custodi dell'abbazia dovesse avere un capo, questo gatto nero che sembra ben sapere il fatto suo, sarebbe il candidato ideale.
E devo anche dire che, se fossi un gatto nero, mi piacerebbe molto stare qui nel chiostro.
Del resto, in effetti, lo sono.
Ma, oltre ai gatti, ai monaci e a me, ci sono anche altre creature che hanno preso in simpatia questo prezioso angolo gotico di quiete.
Ogni anno, in primavera, una delle stanze pizzicata fra il chiostro ed i laboratori dei monaci, ospita circa un migliaio di femmine di pipistrello, che vengono qui per partorire, e ci restano fino ad autunno inoltrato, finché il piccolo non è svezzato.
Chissà come mai questo posto è così apprezzato dalle pipistrellesse.
Un tempo questo era l'unico locale dell'abbazia che veniva riscaldato, per cui probabilmente si tratta di una tradizione che viene tramandata di madre in figlia pipistrella - e che rimane fedele, nonostante in passato l'assembramento dei poveri chirotteri non venisse accolto con troppo calore da molti abitanti della zona, vuoi per l'odore pungente, vuoi per i pregiudizi legati all'aspetto non esattamente avvenente ed un po' draculesco di questi animali.
Forse avranno fatto una sorta di analisi costi-benefici della situazione e il consiglio di amministrazione dei pipistrelli, essendo Gotham City troppo lontana, avrà deciso che Staffarda continua ad essere il luogo migliore nei dintorni: la presenza massiva di chirotteri è di solito un buon indicatore di ambiente sano - e, comunque, oggi c'è molta più parità di diritti, per cui, anche se hai la sfortuna di somigliare a Nosferatu il Vampiro, è considerato deprecabile e condannabile che ti tirino delle pigne addosso mentre dormi a testa in giù.
O forse esiste una sorta di Trip Advisor dei pipistrelli in cui questo posto mantiene delle recensioni top per il cibo ed il locale, nonostante in passato ci siano stati alcuni episodi di scortesia.
Oggi, infatti, il WWF tutela la privacy e la sicurezza di questi animali durante il delicato periodo in cui vengono a soggiornare qui: quando è presente la colonia, l'accesso ai locali è consentito solo agli addetti ai lavori; mentre il pubblico può osservare i pipistrelli solo dall'esterno grazie ad un sistema di telecamere.
Il gatto nero intanto è sparito, ma sulla parete esterna alla chiesa noto che c'è appeso qualcosa di strano: sembra un osso, una grossa costola bianca e ricurva.
"Non è che sembra solo - lo è" - mi bisbiglia l'audioguida all'orecchio, interpretando i miei pensieri meglio di quanto l'assistente vocale di Google spesso riesca a fare con le parole.
A quanto pare è ciò che resta di un enorme pesce che fu spedito dal Cielo in ascolto alle preghiere dei monaci disperati dopo lunghi giorni di carestia - tanto grosso che riuscì a sfamare tutti quanti, gatti compresi, per un mese intero.
Poi la carestia finì e tornarono al brasato al Barolo, immagino.
Come sia riuscito un pesce così grande ad arrivare fin qui, in queste lande di campagna piemontese dove non ci sono altri corsi d'acqua che i rivoletti che servono per irrigare i campi, non ci è dato saperlo - ma si sa che i miracoli funzionano sempre in maniera più efficace che l'assistente vocale di Google.
Anche se in merito mi piacerebbe sentire il parere del gatto nero capo-custode che nel frattempo si è eclissato: ho come l'impressione che lui possa sapere qualcosa di più in merito, in una qualche versione della storia tramandatagli da qualche antenato - un po' come i pipistrelli si tramandano l'ubicazione della stanza dello svezzamento.
Quindi - terza regola, check.
Ma, non paga di aver già soddisfatto tutti i miei requisiti minimi, Staffarda vuole strafare e mi concede anche il bonus.
Quarta regola: Dan Brown.
La posizione di Staffarda sembra essere stata meticolosamente studiata per allinearsi in maniera armonica con particolari eventi astronomici, come il sorgere del sole agli equinozi o della luna alla sua massima e minima declinazione. Pare quindi che si sia voluto rendere omaggio al susseguirsi del tempo e delle stagioni, o, forse, addirittura si sia tentato di assorbire al meglio le energie cosmiche di questi momenti particolari - un po' come si suppone dovessero fare altri monumenti più antichi, come le Piramidi o Stonehenge.
Se a questo aggiungiamo la presenza di altri elementi architettonici e decorativi che possono liberamente ricordare le simbologie alchemiche e templari (stelle, fiori della vita, cerchi, scelta dei colori e altro), allora non stupisce che esista un'altra leggenda oltre a quella del pesce: da qualche parte forse c'è un passaggio segreto che conduce ad un'antica biblioteca pullulante di testi sulla magia e sull'alchimia che si credevano ormai perduti.
Per un attimo penso che, se fosse stato piemontese, magari Dan Brown lo avrebbe ambientato qui il Codice Da Vinci.
Poi mi giro, e vedo di nuovo il gatto nero passeggiare.
E mi viene in mente che non c'è bisogno di Dan Brown - perché in realtà ci ha già pensato Umberto Eco anni prima. Con un apparato filosofico, semiologico e filologico molto più complesso e solido, e leggibile su più livelli e diverse chiavi di interpretazione.
Il gatto si infila in un buco sotto un ingresso sbarrato e sparisce di nuovo.
O forse, chissà, voleva solo dirci che il passaggio segreto era lì...
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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