Il ghiaccio a me fa venire in mente alcune fiabe che leggevo da bambina. Intendo distese di ghiaccio, paesaggi fatti solo di bianco e di...

Jokursalon, il regno dei ghiacci Jokursalon, il regno dei ghiacci

Jokursalon, il regno dei ghiacci

Jokursalon, il regno dei ghiacci


Il ghiaccio a me fa venire in mente alcune fiabe che leggevo da bambina.
Intendo distese di ghiaccio, paesaggi fatti solo di bianco e di cristalli freddi, ovviamente - non ghiaccio a cubetti per le bibite o quello che ci si mette su un ginocchio sbucciato.
Mi viene in mente la Regina delle Nevi, che adesso si chiama Elsa di Frozen - e sono ben contenta che qualcuno abbia deciso di raccontare la sua versione della storia, perché i cattivi spesso sono solo quelli che non hanno potuto spiegare il loro punto di vista, o che sono meno bravi nel marketing.
E anche perché, crescendo, anche io ho poi scoperto di avere questo super potere di congelare - solo che non ho mai capito a cosa servisse davvero, dato che serve per allontanare cose superflue, ma a volte finisce per allontanare anche tutto il resto, anche quello che non vorresti allontanare.



L'Islanda è chiamata terra di ghiaccio e di fuoco, e non so se ci sia arrivata prima lei o Il Trono di Spade - però quelle che sono in linea teorica la contraddizione l'una dell'altra sono qui, a convivere fianco a fianco.
Gli opposti non solo si attraggono, ma a volte creano anche cose meravigliose - come questa strana isola malinconica e bellissima.
E, prima di venire in Islanda, il ghiaccio lo avevo visto solo in quelle fiabe, mentre chiudevo gli occhi e me lo immaginavo.
Il ghiaccio dell'Islanda è ghiaccio vero, è un regno in attesa di una sua Elsa solitaria o di un Jon Snow in vena di fare l'eroe che sappiano apprezzarne l'incanto: non è solo una coltre di neve che ricopre la terra come un mantello morbido - è proprio tutto l'abbigliamento che riveste il paesaggio.


Jokursalon è una laguna fatta di iceberg - ma non è solo questo.
E' che tutto quanto la circonda è una declinazione sul soggetto ghiaccio: come se la natura avesse voluto raccogliere insieme il meglio che è stata in grado di creare sull'argomento - o come se Elsa si fosse rivolta ad un bravo ed estroso architetto per arredare il suo palazzo gelato.
O, forse, semplicemente, è un processo, un ciclo evolutivo: in lontananza, dominante ed imponente, c'è il ghiacciaio, che ti abbraccia sempre la coda dell'occhio - ed è lui l'origine di tutto.
Il resto deriva tutto da lui, dai pezzi di sé che decide di lasciar andare - stufi di rimanere ancorati alla terra, smaniosi di fuggire verso il mare.


Jokursalon è una sorta di limbo per i pezzi di ghiacciaio in viaggio.
Non sono più pezzi di ghiacciaio, sono diventati iceberg. Cominciano ad assaporare la navigazione - come bambini che imparano a nuotare in piscina.
Scivolano con lentezza, si sfiorano e si muovono in maniera quasi impercettibile. Si potrebbe dire che tastano il terreno - ma loro in realtà tastano l'acqua: fanno le prove generali della loro fuga verso l'oceano.


Ti aspetteresti che sia bianco il ghiaccio, ma loro sono sfumati in maniera potente di grigio ed azzurro - un azzurro vivido e surreale, come forse mi ero immaginata con gli occhi della mente quando leggevo le mie fiabe.
Sono piccole montagne di ghiaccio che navigano stando quasi ferme, figlie di una montagna di ghiaccio più grande che le guarda da lontano: forse sente già la loro mancanza, forse è felice per loro, che andranno a vedere il mare. Forse entrambe le cose. E' un po' come quando diciamo a qualcuno di salutarci un posto in cui sta andando, in cui vorremmo andare ma in quel momento non possiamo.


Passeggio attorno alla laguna, fino quasi a lasciarmi lambire dall'acqua la punta degli scarponi.
C'è silenzio - lo stesso silenzio rarefatto che c'è nell'aria quando nevica, e, nel silenzio, lo sento: il rumore dei passi degli iceberg.
Il ghiaccio cigola.
Geme, quasi.
Sembrano vecchie ossa che fanno fatica a camminare. O forse è solo la sua voce, una specie di lamento di saluto a ciò che sta lasciando.


C'è una modella in abiti estivi e leggeri che si sta facendo fotografare in mezzo ai blocchi giganti di ghiaccio azzurro e spigoloso.
In effetti è agosto, solo che qui ci sono 4° C e me ne ero dimenticata.
Poco più avanti un altro servizio fotografico, per una coppia di sposi giapponesi.
Un furgoncino prepara panini e zuppe, e mi siedo su una panca davanti per mangiare un lobster roll con poca aragosta e molta salsa piccante.
Forse Elsa sarebbe un po' irritata nel veder trasformare il suo regno in un'attrazione turistica - ma è quel che succede con le cose belle: non è corretto tenerle soltanto per sé, anche se poi non tutti riusciranno a vederne la bellezza nello stesso modo. Molti si fermeranno alla superficie e la useranno, per poter rendere più attraenti ed interessanti anche loro stessi, e non gli interesserà vedere che questa superficie in realtà è bella perché è plasmata da qualcos'altro sotto.
Un mondo, una storia.
Che non apparterrà più alla superficie, una volta che verrà usurata. Si separeranno - la superficie perderà naturalezza e la storia, forse, verrà dimenticata.
Per questo voglio cercare di vederla e di raccontarla.
Fintanto che ci sarà chi la racconta non succederà.


Per navigare nella laguna si sale su un mezzo anfibio e si indossa un giubbotto salvagente giallo.
Ci si aggira in mezzo ai giganti di ghiaccio - si vedono da vicino, da angolazioni diverse, e ti fanno anche toccare un blocco di ghiaccio.
Una briciola staccatasi da un gigante - te la lasciano tenere in mano, come se fosse un neonato.
Lo tieni finché resisti, perché il ghiaccio, beh, è freddo, e poi lo passi a chi è seduto di fianco a te. La signora seduta di fianco a me non lo voleva - quindi l'ho ributtato nella laguna.
Tutto questo è interessante.
Davvero.
Però quando siamo scesi dalla barca ho pensato che, anche se mi sono avvicinata ai giganti, non ho più sentito la loro voce, come era successo prima, quando camminavo da sola lungo la riva.


Cammino ancora, e vado verso dove vanno i giganti.
La Diamond Beach si chiama così perché molti di loro decidono di fermarsi lì e non proseguire verso il mare - quindi la distesa di sabbia nera non ha scogli ma pezzi di ghiaccio, che, nella loro fuga, sono diventati trasparenti e luminosi come diamanti.
Non sono più giganti - sono rocce cristalline che catturano i raggi del sole e rimangono qui, eternamente fermi sulla battigia scura a contemplare il mare.
Il mare non sempre si sceglie - a volte è solo la corrente che ti ci porta, altre volte invece ti lascia qui.


E, il mare che c'è oltre, è quasi bianco: si fonde con il cielo, e l'orizzonte, del resto, non è né cielo né mare - sono entrambe le cose, abbracciate insieme, mescolate e fusa in qualcosa che per qualcuno si chiama sogno, per altri si chiama meta.
Ci sono altri giganti che sono riusciti ad arrivarci, e si perdono lontani, in questa tavola piatta infinita - così eterea ed irraggiungibile da fare quasi paura.
C'è qualche foca che fa capolino fra gli ammassi di ghiaccio, e tocca a loro, adesso, fargli compagnia.
Nessuno che si fa foto.
Magari i giganti hanno ripreso a parlare, a dire qualcosa - prima di andare oltre, di sciogliersi.


E' un ciclo, dicevamo - e qui si vede: il ghiaccio è acqua che torna nell'acqua.
Anche quelli che sono rimasti sulla spiaggia si scioglieranno, anche se han deciso di non appartenere all'acqua, ma ai minuscoli granelli di sabbia nera che sono un ricordo del fuoco, l'altra anima dell'Islanda.
Sulla loro superficie ruvida ed intarsiata si riflette il mondo circostante, che sembra più lucido ed al tempo stesso più surreale. Come forse ti appare sempre quello che stai per lasciare nel momento in cui lo devi salutare.
E, per un pezzo di ghiaccio, è davvero soltanto la corrente a decidere se dovrà rimanere incagliato sulla sabbia o se dovrà proseguire verso le braccia del mare - ma a me piace fare metafore, e allora dirò che non deve essere sempre e solo la corrente a decidere.
Che in quella voce cigolante c'è una decisione.
E, quando si decide di restare, non deve essere necessariamente solo perché non si ha il coraggio di andarsene.


Magari continuerai sempre a contemplare il mare con nostalgia, ma rimanere sulla spiaggia può anche essere una tua scelta.


2 commenti:

  1. Viaggiare nel mondo delle fiabe lette quando si era piccoli dev'essere impagabile!
    Comunque sono immagini molto, mooolto affascinanti anche per me che non ho ricordi di fiabe di ghiaccio. Probabilmente lo sono per tutti. Ma per qualcuno un po' di più! 😉

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È di sicuro un paesaggio surreale ed incantevole 😊

      Elimina