gennaio 20, 2019
Ci sono posti in cui sai già che prima o poi dovrai tornare.
Non subito; perché lo vorresti anche, ma alla fine la vita scivola sempre via, le cose si rimandano, le mete si affastellano in coda - sgomitano: io, io, io - per farsi visitare e gli devi dare retta.
Ma lo sai, lo sai già che ci tornerai.
Ci penserai, di tanto in tanto: quei ricordi sfumati, fatti di flash - i pali sulla spiaggia, le mura fortificate, i gabbiani chiassosi e sfacciati, e la bandiera bretone di fianco a quella malaouine che sventola fiera sferzata dal vento sulla cima del torrione.
Non sono ricordi impellenti, non sono variegati ed intensi tanto da poterci tessere su una storia - però sai che una storia forse ci potrebbe essere, da vivere e da raccontare, se per caso ci ritornassi.
Se ci ritornassi per restare un po' di più.
A Saint-Malo ci sono tornata dieci anni dopo.
Cosa è passato in questi dieci anni - forse ci si potrebbe scrivere qualche libro divertente, qualcuno un po' più noioso, un paio tragi-comici.
O forse nulla, non è così importante per potervi raccontare questa storia.
C'ero stata dieci anni fa, una tappa veloce di un viaggio denso in Bretagna, una settimana soltanto ed un'infinità di tappe incastrate alla perfezione.
Ci torno adesso, che so fare foto più belle e che ho viaggiato tanto, tanto di più, ma continuo sempre ad innamorarmi dei posti di cui già mi innamoravo dieci anni fa - terre celtiche, selvagge e poetiche, silenziose ed antiche.
Ci torno più cinica ma forse anche meno dura, e la pelle che ricresce diventa callo, cicatrice o ruga, ma poco importa se gli occhi sanno sempre essere curiosi, se riescono a provare entusiasmo ancora come la prima volta.
Saint-Malo questa volta per me è una porta, l'accesso via mare alla mia meta finale - ma più che una tappa secondaria è stata un segno del destino: è stata l'isola di Guernsey che mi ha chiamata (tra le pagine di un libro - ma questa è un'altra storia), e, dall'Italia, la via di accesso più veloce a questo piccolo paradiso sconosciuto franco-britannico, passa da qui.
Il mio da tempo dovuto, promesso ritorno a Saint-Malo finisce per essere avventuroso: uno sciopero selvaggio delle ferrovie francesi fa saltare ad uno ad uno i tasselli della pianificazione del viaggio di andata - ma alla fine, fra qualche ansia e telefonata, siamo qua, a trascinare il trolley sul lungo viale alberato che collega la stazione alle mura fortificate della città vecchia.
Intra Muros Saint-Malo è fatta di dedali di pietra, salite di cubetti di porfido che affiancano chiese medievali con le gargolle ricoperte di muschio verde, case di legno con le facciate a graticcio, negozietti che vendono crêpes, bottigliette di salidou e cartoline con gabbiani dall'aria un po' corsara, un po' strafottente.
La Bretagna prima di essere francese è bretone, e Saint-Malo prima di essere bretone è malaouine - batte una bandiera a sè stante, come i pirati da cui le sue mura possenti volevano difendersi; ma, come quasi sempre accade, ciò da cui ti difendi finisce per appartenerti, e combatterlo finisce per innescarlo anche se prima dormiva in qualche piega recondita delle tue ombre.
All'ombra delle mura antiche di Saint-Malo ci sono crêperie che vendono galette al grano saraceno per pranzo, e scale che ti invitano a salire, a percorrere dall'alto il perimetro del suo cuore antico.
E dall'alto si respira l'aria corsara, la si sente nel cuore: è un'aria che arriva dal mare, che ti spinge a guardarlo con occhi che sognano l'infinito, che corrono lontani oltre l'orizzonte, con i capelli sferzati dal vento - che si domandano cosa ci sia dall'altra parte, che sapore abbia veramente la libertà, se è fatta più di domande, o di risposte, o magari di parentesi e punti di sospensione.
E soprattutto quale prezzo realmente abbia - perché la libertà è un po' puttana: non redige contratti prima e non ti presenta conti, ma il mattino dopo potresti ritrovarti col portafoglio vuoto e nessuno al tuo fianco.
Le mura racchiudono le case, le solide facciate di pietra grigia, i vicoli stretti fatti di storie e di turisti che passeggiano.
Le proteggono dal mare corsaro che sta fuori, con cui oggi Saint-Malo vive e lavora - nel suo porto commerciale, con i traghetti che vanno fino alle Isole del Canale, e più oltre, fino ai lembi della Gran Bretagna.
Intra Muros un tempo era un'isola - non esisteva l'istmo che oggi la collega col resto della città, col resto del mondo.
Le mura servivano da riparo, da salvaguardia, anche per le maree, che, in questo angolo di mondo, hanno un'escursione rapidissima, ineluttabile.
Adesso la marea è bassa: la spiaggia ha un respiro più ampio, gli scogli fanno asciugare al sole le loro alghe umide e l'isolotto del Gran Bé, uno spunzone roccioso poco distante dalla riva su cui riposa François de Chateaubriand, è raggiungibile a piedi.
E' come se l'animo corsaro di Saint-Malo si stesse prendendo una pausa - uno stacco senza pensieri pesanti: gli stivali appoggiati sul tavolo, un boccale di rhum e qualche risata un po' sguaiata.
E' come se i suoi occhi si facessero limpidi e ti permettessero di scrutarci dentro, di capirne i segreti - che forse, in realtà, di segreto non c'è davvero nulla: ci sono solo cose che non si riescono a vedere, che non si riescono ad interpretare.
La battigia diventa infinita e ti sembra di poter andare a piedi fin dall'altra parte del mare: la sabbia umida ti invita a muoverti se non vuoi sprofondare, e ogni tanto ribolle per qualche piccolo crostaceo che vuole uscire allo scoperto.
Ritorniamo sulle mura, e i segreti che prima ho visto da vicino adesso li guardo da lontano - ed entrambe le cose servono.
Sul bordo della cinta, proteso verso le sfumature blu di mare e di cielo, mi fa compagnia un gabbiano. Gli dico "Bonjour mouette" e lui reclina la testa incuriosito.
Comanda lui.
I gabbiani sono i padroni del mare e dei pezzi di terra che lo baciano, ed esercitano il loro potere in maniera un po' spaccona, fiondandosi in picchiata su coni gelato e patatine fritte, rubando la merenda agli umani come fanno i bulli con i più deboli - o come faceva Robin Hood con i ricchi, per poi librarsi ad ali spalancate verso il blu.
Oggi è sabato e Saint-Malo brulica di turisti e gitanti, ma in pochi salgono fin sopra le mura.
Girano fra i negozietti e le vie medievali - signore con i tacchi ed overdose di animalier, uomini stempiati con le birkenstock e la pancia che tende i bottoni della camicia hawaiana, ragazzine con i capelli verde acqua e le calze a rete.
Rimango un po' ad osservare la gente, quasi come se fossi anch'io un gabbiano - ma non ho intenzione di rubare il gelato a nessuno.
Ceniamo in un ristorante afghano con le tende di plastica e le sedie in legno intagliato come se fosse uno chalet di montagna.
Dalle mura probabilmente l'avevamo visto, ma l'insegna l'abbiamo notata solo vagando fra i vicoli ed infilandoci quasi per sfida, quasi per capriccio in quello più anonimo, in quello più disabitato.
C'è una musica dolce e ritmata nell'aria, su una parete è appesa la foto della bambina dagli occhi verdi del National Geographic.
Il cibo e squisito e speziato.
Sono passate le nove ed è ancora chiaro, ma la metamorfosi sta già cominciando a compiersi.
Il mare ribolle, è come una diga che straripa ed allaga.
La pausa è finita: i segreti tornano ad essere torbidi, si seppelliscono sotto l'acqua che pian piano diventa scura.
Le risate si spengono ma cominciano i discorsi interessanti: se si scherza lo si fa solo per dire verità scomode - le domande superano di gran lunga le risposte, si fanno confessioni a metà, e il resto rimane sospeso fra il volo dei gabbiani e il mare che da azzurro comincia a diventare dorato. E, quando non si dice qualcosa, e perché non c'è mai modo migliore di dirlo.
E' questo il dono che Saint-Malo ci sta facendo per essere rimasti qui, per aver aspettato che la marea salisse di nuovo e si portasse via la frenesia del giorno, le sue sicurezze, la sua semplicità: sta per cominciare il tramonto.
Il Fort National troneggia sugli scogli che contengono pozze con microcosmi di alghe e conchiglie, e, sotto la luce calda e morente della fine di questo giorno, sembra un castello fatato, uscito da una leggenda celtica ed abitato da elfi immortali che fanno gli eremiti disincantati, re un po' codardi che cercano il coraggio di essere giusti e cavalieri in cerca di gloria che si illudono di poter rimanere senza macchia.
In realtà era una prigione, e la marea serviva per farla diventare un'isola.
Forse gli eroi della fiaba celtica ci hanno abitato davvero - solo che erano umani, e quindi per loro non ha funzionato.
Mi giro, ed inseguo il sole che sta morendo.
I contorni della spiaggia, dei suoi scogli e degli alti pali frangiflutti, sono diventati neri.
C'è un cane che corre verso il mare, inseguendo che cosa non lo so. Ma la luce abbacinante nel suo canto morente rende nero ed invisibile anche lui: è solo una sagoma, e quindi potrebbe essere benissimo una metafora.
Una risposta - ad una qualsiasi delle tante domande che la marea scura ha portato.
O forse a tutte quante, chissà.
Alzo lo sguardo verso uno stridio roco, e vedo un gabbiano, che si lancia anche lui verso l'orizzonte.
Chissà se è lo stesso che oggi pomeriggio ci ha fatto compagnia sui bastioni.
Ha perso l'aria strafottente: quando vola diventa quasi nobile - sembra un soldato al galoppo verso una missione, e di fatto lo è. La sua missione è un punto lontano, qualche messaggio scritto dal sole morente, dai nuovi colori di cui si tinge il cielo, che vede solo lui..
Quel che rimane della battigia è uno specchio dorato, e, se la marea sta nascondendo dei segreti, poco importa se siano zavorre o peccati: ciò che importa è che adesso stiano esplodendo di luce, accecante come l'oro, cremisi come il sangue - e come qualunque altra cosa che ci faccia vivere.
L'ho aspettato dieci anni questo tramonto, ma adesso so perché.
Prima dovevo affogare in qualche marea, trovare il coraggio di correre verso l'orizzonte e capire che, spesso, questo è l'unico modo che abbiamo per poter irradiare la nostra luce.
Ci sono posti in cui sai già che prima o poi dovrai tornare. Non subito; perché lo vorresti anche, ma alla fine la vita scivola sempre v...
Saint-Malo e i tramonti in regalo
Ci sono posti in cui sai già che prima o poi dovrai tornare.
Non subito; perché lo vorresti anche, ma alla fine la vita scivola sempre via, le cose si rimandano, le mete si affastellano in coda - sgomitano: io, io, io - per farsi visitare e gli devi dare retta.
Ma lo sai, lo sai già che ci tornerai.
Ci penserai, di tanto in tanto: quei ricordi sfumati, fatti di flash - i pali sulla spiaggia, le mura fortificate, i gabbiani chiassosi e sfacciati, e la bandiera bretone di fianco a quella malaouine che sventola fiera sferzata dal vento sulla cima del torrione.
Non sono ricordi impellenti, non sono variegati ed intensi tanto da poterci tessere su una storia - però sai che una storia forse ci potrebbe essere, da vivere e da raccontare, se per caso ci ritornassi.
Se ci ritornassi per restare un po' di più.
A Saint-Malo ci sono tornata dieci anni dopo.
Cosa è passato in questi dieci anni - forse ci si potrebbe scrivere qualche libro divertente, qualcuno un po' più noioso, un paio tragi-comici.
O forse nulla, non è così importante per potervi raccontare questa storia.
C'ero stata dieci anni fa, una tappa veloce di un viaggio denso in Bretagna, una settimana soltanto ed un'infinità di tappe incastrate alla perfezione.
Ci torno adesso, che so fare foto più belle e che ho viaggiato tanto, tanto di più, ma continuo sempre ad innamorarmi dei posti di cui già mi innamoravo dieci anni fa - terre celtiche, selvagge e poetiche, silenziose ed antiche.
Ci torno più cinica ma forse anche meno dura, e la pelle che ricresce diventa callo, cicatrice o ruga, ma poco importa se gli occhi sanno sempre essere curiosi, se riescono a provare entusiasmo ancora come la prima volta.
Saint-Malo questa volta per me è una porta, l'accesso via mare alla mia meta finale - ma più che una tappa secondaria è stata un segno del destino: è stata l'isola di Guernsey che mi ha chiamata (tra le pagine di un libro - ma questa è un'altra storia), e, dall'Italia, la via di accesso più veloce a questo piccolo paradiso sconosciuto franco-britannico, passa da qui.
Il mio da tempo dovuto, promesso ritorno a Saint-Malo finisce per essere avventuroso: uno sciopero selvaggio delle ferrovie francesi fa saltare ad uno ad uno i tasselli della pianificazione del viaggio di andata - ma alla fine, fra qualche ansia e telefonata, siamo qua, a trascinare il trolley sul lungo viale alberato che collega la stazione alle mura fortificate della città vecchia.
Intra Muros Saint-Malo è fatta di dedali di pietra, salite di cubetti di porfido che affiancano chiese medievali con le gargolle ricoperte di muschio verde, case di legno con le facciate a graticcio, negozietti che vendono crêpes, bottigliette di salidou e cartoline con gabbiani dall'aria un po' corsara, un po' strafottente.
La Bretagna prima di essere francese è bretone, e Saint-Malo prima di essere bretone è malaouine - batte una bandiera a sè stante, come i pirati da cui le sue mura possenti volevano difendersi; ma, come quasi sempre accade, ciò da cui ti difendi finisce per appartenerti, e combatterlo finisce per innescarlo anche se prima dormiva in qualche piega recondita delle tue ombre.
All'ombra delle mura antiche di Saint-Malo ci sono crêperie che vendono galette al grano saraceno per pranzo, e scale che ti invitano a salire, a percorrere dall'alto il perimetro del suo cuore antico.
E dall'alto si respira l'aria corsara, la si sente nel cuore: è un'aria che arriva dal mare, che ti spinge a guardarlo con occhi che sognano l'infinito, che corrono lontani oltre l'orizzonte, con i capelli sferzati dal vento - che si domandano cosa ci sia dall'altra parte, che sapore abbia veramente la libertà, se è fatta più di domande, o di risposte, o magari di parentesi e punti di sospensione.
E soprattutto quale prezzo realmente abbia - perché la libertà è un po' puttana: non redige contratti prima e non ti presenta conti, ma il mattino dopo potresti ritrovarti col portafoglio vuoto e nessuno al tuo fianco.
Le mura racchiudono le case, le solide facciate di pietra grigia, i vicoli stretti fatti di storie e di turisti che passeggiano.
Le proteggono dal mare corsaro che sta fuori, con cui oggi Saint-Malo vive e lavora - nel suo porto commerciale, con i traghetti che vanno fino alle Isole del Canale, e più oltre, fino ai lembi della Gran Bretagna.
Intra Muros un tempo era un'isola - non esisteva l'istmo che oggi la collega col resto della città, col resto del mondo.
Le mura servivano da riparo, da salvaguardia, anche per le maree, che, in questo angolo di mondo, hanno un'escursione rapidissima, ineluttabile.
Adesso la marea è bassa: la spiaggia ha un respiro più ampio, gli scogli fanno asciugare al sole le loro alghe umide e l'isolotto del Gran Bé, uno spunzone roccioso poco distante dalla riva su cui riposa François de Chateaubriand, è raggiungibile a piedi.
E' come se l'animo corsaro di Saint-Malo si stesse prendendo una pausa - uno stacco senza pensieri pesanti: gli stivali appoggiati sul tavolo, un boccale di rhum e qualche risata un po' sguaiata.
E' come se i suoi occhi si facessero limpidi e ti permettessero di scrutarci dentro, di capirne i segreti - che forse, in realtà, di segreto non c'è davvero nulla: ci sono solo cose che non si riescono a vedere, che non si riescono ad interpretare.
La battigia diventa infinita e ti sembra di poter andare a piedi fin dall'altra parte del mare: la sabbia umida ti invita a muoverti se non vuoi sprofondare, e ogni tanto ribolle per qualche piccolo crostaceo che vuole uscire allo scoperto.
Ritorniamo sulle mura, e i segreti che prima ho visto da vicino adesso li guardo da lontano - ed entrambe le cose servono.
Sul bordo della cinta, proteso verso le sfumature blu di mare e di cielo, mi fa compagnia un gabbiano. Gli dico "Bonjour mouette" e lui reclina la testa incuriosito.
Comanda lui.
I gabbiani sono i padroni del mare e dei pezzi di terra che lo baciano, ed esercitano il loro potere in maniera un po' spaccona, fiondandosi in picchiata su coni gelato e patatine fritte, rubando la merenda agli umani come fanno i bulli con i più deboli - o come faceva Robin Hood con i ricchi, per poi librarsi ad ali spalancate verso il blu.
Oggi è sabato e Saint-Malo brulica di turisti e gitanti, ma in pochi salgono fin sopra le mura.
Girano fra i negozietti e le vie medievali - signore con i tacchi ed overdose di animalier, uomini stempiati con le birkenstock e la pancia che tende i bottoni della camicia hawaiana, ragazzine con i capelli verde acqua e le calze a rete.
Rimango un po' ad osservare la gente, quasi come se fossi anch'io un gabbiano - ma non ho intenzione di rubare il gelato a nessuno.
Ceniamo in un ristorante afghano con le tende di plastica e le sedie in legno intagliato come se fosse uno chalet di montagna.
Dalle mura probabilmente l'avevamo visto, ma l'insegna l'abbiamo notata solo vagando fra i vicoli ed infilandoci quasi per sfida, quasi per capriccio in quello più anonimo, in quello più disabitato.
C'è una musica dolce e ritmata nell'aria, su una parete è appesa la foto della bambina dagli occhi verdi del National Geographic.
Il cibo e squisito e speziato.
Sono passate le nove ed è ancora chiaro, ma la metamorfosi sta già cominciando a compiersi.
Il mare ribolle, è come una diga che straripa ed allaga.
La pausa è finita: i segreti tornano ad essere torbidi, si seppelliscono sotto l'acqua che pian piano diventa scura.
Le risate si spengono ma cominciano i discorsi interessanti: se si scherza lo si fa solo per dire verità scomode - le domande superano di gran lunga le risposte, si fanno confessioni a metà, e il resto rimane sospeso fra il volo dei gabbiani e il mare che da azzurro comincia a diventare dorato. E, quando non si dice qualcosa, e perché non c'è mai modo migliore di dirlo.
E' questo il dono che Saint-Malo ci sta facendo per essere rimasti qui, per aver aspettato che la marea salisse di nuovo e si portasse via la frenesia del giorno, le sue sicurezze, la sua semplicità: sta per cominciare il tramonto.
Il Fort National troneggia sugli scogli che contengono pozze con microcosmi di alghe e conchiglie, e, sotto la luce calda e morente della fine di questo giorno, sembra un castello fatato, uscito da una leggenda celtica ed abitato da elfi immortali che fanno gli eremiti disincantati, re un po' codardi che cercano il coraggio di essere giusti e cavalieri in cerca di gloria che si illudono di poter rimanere senza macchia.
In realtà era una prigione, e la marea serviva per farla diventare un'isola.
Forse gli eroi della fiaba celtica ci hanno abitato davvero - solo che erano umani, e quindi per loro non ha funzionato.
Mi giro, ed inseguo il sole che sta morendo.
I contorni della spiaggia, dei suoi scogli e degli alti pali frangiflutti, sono diventati neri.
C'è un cane che corre verso il mare, inseguendo che cosa non lo so. Ma la luce abbacinante nel suo canto morente rende nero ed invisibile anche lui: è solo una sagoma, e quindi potrebbe essere benissimo una metafora.
Una risposta - ad una qualsiasi delle tante domande che la marea scura ha portato.
O forse a tutte quante, chissà.
Alzo lo sguardo verso uno stridio roco, e vedo un gabbiano, che si lancia anche lui verso l'orizzonte.
Chissà se è lo stesso che oggi pomeriggio ci ha fatto compagnia sui bastioni.
Ha perso l'aria strafottente: quando vola diventa quasi nobile - sembra un soldato al galoppo verso una missione, e di fatto lo è. La sua missione è un punto lontano, qualche messaggio scritto dal sole morente, dai nuovi colori di cui si tinge il cielo, che vede solo lui..
Quel che rimane della battigia è uno specchio dorato, e, se la marea sta nascondendo dei segreti, poco importa se siano zavorre o peccati: ciò che importa è che adesso stiano esplodendo di luce, accecante come l'oro, cremisi come il sangue - e come qualunque altra cosa che ci faccia vivere.
L'ho aspettato dieci anni questo tramonto, ma adesso so perché.
Prima dovevo affogare in qualche marea, trovare il coraggio di correre verso l'orizzonte e capire che, spesso, questo è l'unico modo che abbiamo per poter irradiare la nostra luce.
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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io non ho un gran ricordo di Saint Malo e un po' mi spiace: credo che sia perché ho preso un temporale di quelli che ti ricordi finché campi!
RispondiEliminaMi era piaciuto tanto andare a Dinard in traghetto
Bella Dinard! Dovrei scrivere anche un post su di lei. Prima o poi... 😖
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