agosto 18, 2018
Lo schermo sul mio sedile del Boeing 757 Copenaghen - Reykjavik della Icelandicair mi informa che un islandese su dieci ha pubblicato un libro.
Coloro che risiedono ufficialmente sul suolo della repubblica islandese sono all'incirca 350 mila anime. E, a quanto pare, devono avere tutti un temperamento piuttosto artistico. E, a parte ciò, riescono financo a pubblicare - che, come tutti gli aspiranti scrittori sanno, da noi è un obiettivo equiparabile alla vincita del primo premio della Lotteria di Capodanno, in termini di probabilità di realizzazione.
Quindi comincio già a provare un po' di curiosa ed aperta ammirazione per questo Paese.
La scritta sul monitor cambia, e mi dice che in islandese ci sono cento diverse parole per definire il vento.
Ciò mi fa cominciare a sospettare che debba essere un elemento dominante.
Ma al tempo stesso mi fa anche domandare come mai invece noi, nel dialetto della Val di Susa, non abbiamo altrettanti termini per descrivere il nostro agente atmosferico preponderante.
In Islanda non hanno i Mac Donald's, e non hanno i cognomi.
Usano i patronimici: il nome del padre seguito dal suffisso -son, figlio, per i maschi e -dottìr, figlia, per le femmine.
A chi immigra viene chiesto di prendere un cognome islandese - quindi mi sto già prefigurando come mi suonerebbe sentirmi chiamare Serena Mariodottìr.
Un po' strano, devo ammettere.
Sto guardando "La forma dell'acqua", e ogni tanto sbircio fuori dal finestrino: ci sono solo nubi - bianche, soffici, sembrano cotone oppure panna; e mi domando che cosa stiano nascondendo, se c'è ancora solo acqua sotto, o se stiamo già sorvolando qualche lembo di terra.
E intanto la storia sullo schermo mi coinvolge, e un po' di commuove anche - non da piangere, ma semplicemente da gonfiarmi qualcosa nel petto, una bolla tiepida e fragile che risale fino alla gola.
Non so perché con i film mi emoziono sempre con una facilità esagerata, come se la celluloide avesse il potere di trasformare in argilla le mie barriere difensive normalmente di cemento armato.
Però non mi emoziono per le cose per cui di solito si emozionano le persone normali.
Non è la storia d'amore in sé a commuovermi, è il fatto di riconoscersi - una diversità che diventa similitudine, solo declinata in modalità diverse.
E del volare mi piace questo: di come stacchi, per qualche ora, di come puoi immergerti, in maniera totalizzante, in una storia, e contemporaneamente nei tuoi pensieri - e al tempo stesso riuscire a guardarli dall'alto, prenderli per mano uno ad uno e provare a metterli in ordine, mentre scorrono insieme alle nubi dal finestrino.
E infine le nubi si aprono, perché è questo che in fin dei conti le nubi fanno, prima o poi, e la vedo - questa terra tanto attesa, da tanto tempo, da talmente tanto che, a furia di immaginarla e di sognarla, è diventata un po' magica, un po' mistica.
O forse lo è davvero.
La sbircio, mentre si rivela pian piano attraverso le nuvole che si sfilacciano, che si strappano come la carta che avvolge un regalo che sei impaziente di aprire: la guardo, così come si guarda qualcuno che ti piace guardare, qualcuno che è capace di farti accelerare la frequenza cardiaca anche quando lo vedi da lontano.
Mi incollo al finestrino.
Gli altri sgomitano un po' perché vogliono vedere anche loro. Scivolo un po' di lato, guardo con un occhio solo come fanno i gatti quando fingono di dormire.
E i miei occhi cominciano a sorridere - sia quello che sta vedendo, sia quello che sta ancora immaginando.
Ci sono montagne, e crateri sotto di me.
Ci sono distese infinite che sembrano Marte, o forse la luna. Ci sono sbuffi di fumo. Ci sono gibbosità, tagli profondi nella terra, promontori dal profilo frastagliato, strati e strati di roccia ondulati che arrivano da ere geologiche diverse, nati da animosità del sottosuolo che hanno esploso, plasmato, ferito e creato.
C'è verde - intenso ma non sfacciato. Vivo. All'improvviso vira sul bruno, sull'ocra, sul bruciato. Poi di nuovo verde. Poi nero, grigio, qualcosa di cupo ma brillante.
E blu.
Blu sfumato, blu quasi verde. Blu scintillante di quelle che da quassù sembrano pozze irregolari ma sono laghi. Blu trasparente sulla costa - il blu di quello che è il mare, che lambisce spiagge nere, vulcaniche, ma da cui non si lascia diventare torbido: si mantiene cristallino, invitante. Poi rientra verso l'interno tramite estuari sabbiosi, paludi in cui terra ed acqua si confondono, si abbracciano, si intrecciano scambiandosi la reciproca bellezza.
Ghiaccio.
Blocchi di ghiaccio bianco, azzurro, sfumato di nero - di lava sfiorata, annullata, incorporata nel suo stesso contrario.
La parte più incredibile dell'Islanda è che è fuoco e ghiaccio contemporaneamente.
I due opposti coesistono su questo rettangolo frastagliato di poco più di 100 mila km quadrati che somiglia al profilo di una piccola balena tozza.
A song of ice and fire - barriere di ghiaccio e draghi dormienti sotto la sua superficie.
L'Islanda è entrambe le cose - e, come spesso succede a luoghi e persone che sono in grado di abbracciare le proprie contraddizioni, di viverle entrambe pienamente, è proprio questo che la rende bellissima.
C'è voluto il fuoco per farla diventare unica, con le sue cicatrici lunari, con le sue sfumature di minerali liquefatti ed i suoi contorni irregolari.
C'è voluto il ghiaccio, e la pioggia, a renderla verde, e silente, e pacifica come una lunga distesa di prati che si estende fino a dove si perde l'orizzonte.
L'Islanda è fatta di tante cose diverse che si combinano insieme - sono un mosaico, ingredienti strani che combinati insieme creano qualcosa di speciale, di unico.
L'Islanda è per chi è tante cose contemporaneamente - e, dopo aver passato mezza vita a cercare di scegliere, ha capito che non può. E, del resto, non dovrebbe.
L'Islanda è per chi è in grado di vedere la bellezza che c'è anche nel cielo plumbeo, non solo nel sole. La bellezza delle ombre, delle profondità fatte anche di cose oscure, di cose che possono spaventare - ed è così: i draghi che vivono dentro di noi non si domano, ma, se si smette di lottare contro di essi, possono diventare i nostri migliori alleati.
L'Islanda è per chi non ha paura di ascoltare il silenzio. Per chi sa scegliere la solitudine - e, anzi, ne ha bisogno per riuscire a non perdere di vista se stesso.
Continuo a guardarla, dal finestrino, mentre ci avviciniamo all'atterraggio.
La guardo, e penso che me ne sono già innamorata - prima ancora di metterci piede.
Ma, in fin dei conti, lo sapevo già.
La guardo e realizzo che sono felice di essere qui.
Che è bello - questa terra strana e bellissima, questo film, queste nuvole, questa sensazione.
Credo ci siano tante cose che mi mancano, alcune che non vanno e altre che vorrei diverse - ma in questo momento non m'importa.
E, forse, è questo che si chiama felicità: non quando va tutto bene - ma quei luoghi, quei momenti, quelle persone che ci fanno dimenticare il resto.
Lo schermo sul mio sedile del Boeing 757 Copenaghen - Reykjavik della Icelandicair mi informa che un islandese su dieci ha pubblicato un ...
Il cielo sopra l'Islanda
Lo schermo sul mio sedile del Boeing 757 Copenaghen - Reykjavik della Icelandicair mi informa che un islandese su dieci ha pubblicato un libro.
Coloro che risiedono ufficialmente sul suolo della repubblica islandese sono all'incirca 350 mila anime. E, a quanto pare, devono avere tutti un temperamento piuttosto artistico. E, a parte ciò, riescono financo a pubblicare - che, come tutti gli aspiranti scrittori sanno, da noi è un obiettivo equiparabile alla vincita del primo premio della Lotteria di Capodanno, in termini di probabilità di realizzazione.
Quindi comincio già a provare un po' di curiosa ed aperta ammirazione per questo Paese.
La scritta sul monitor cambia, e mi dice che in islandese ci sono cento diverse parole per definire il vento.
Ciò mi fa cominciare a sospettare che debba essere un elemento dominante.
Ma al tempo stesso mi fa anche domandare come mai invece noi, nel dialetto della Val di Susa, non abbiamo altrettanti termini per descrivere il nostro agente atmosferico preponderante.
In Islanda non hanno i Mac Donald's, e non hanno i cognomi.
Usano i patronimici: il nome del padre seguito dal suffisso -son, figlio, per i maschi e -dottìr, figlia, per le femmine.
A chi immigra viene chiesto di prendere un cognome islandese - quindi mi sto già prefigurando come mi suonerebbe sentirmi chiamare Serena Mariodottìr.
Un po' strano, devo ammettere.
Sto guardando "La forma dell'acqua", e ogni tanto sbircio fuori dal finestrino: ci sono solo nubi - bianche, soffici, sembrano cotone oppure panna; e mi domando che cosa stiano nascondendo, se c'è ancora solo acqua sotto, o se stiamo già sorvolando qualche lembo di terra.
E intanto la storia sullo schermo mi coinvolge, e un po' di commuove anche - non da piangere, ma semplicemente da gonfiarmi qualcosa nel petto, una bolla tiepida e fragile che risale fino alla gola.
Non so perché con i film mi emoziono sempre con una facilità esagerata, come se la celluloide avesse il potere di trasformare in argilla le mie barriere difensive normalmente di cemento armato.
Però non mi emoziono per le cose per cui di solito si emozionano le persone normali.
Non è la storia d'amore in sé a commuovermi, è il fatto di riconoscersi - una diversità che diventa similitudine, solo declinata in modalità diverse.
E del volare mi piace questo: di come stacchi, per qualche ora, di come puoi immergerti, in maniera totalizzante, in una storia, e contemporaneamente nei tuoi pensieri - e al tempo stesso riuscire a guardarli dall'alto, prenderli per mano uno ad uno e provare a metterli in ordine, mentre scorrono insieme alle nubi dal finestrino.
E infine le nubi si aprono, perché è questo che in fin dei conti le nubi fanno, prima o poi, e la vedo - questa terra tanto attesa, da tanto tempo, da talmente tanto che, a furia di immaginarla e di sognarla, è diventata un po' magica, un po' mistica.
O forse lo è davvero.
La sbircio, mentre si rivela pian piano attraverso le nuvole che si sfilacciano, che si strappano come la carta che avvolge un regalo che sei impaziente di aprire: la guardo, così come si guarda qualcuno che ti piace guardare, qualcuno che è capace di farti accelerare la frequenza cardiaca anche quando lo vedi da lontano.
Mi incollo al finestrino.
Gli altri sgomitano un po' perché vogliono vedere anche loro. Scivolo un po' di lato, guardo con un occhio solo come fanno i gatti quando fingono di dormire.
E i miei occhi cominciano a sorridere - sia quello che sta vedendo, sia quello che sta ancora immaginando.
Ci sono montagne, e crateri sotto di me.
Ci sono distese infinite che sembrano Marte, o forse la luna. Ci sono sbuffi di fumo. Ci sono gibbosità, tagli profondi nella terra, promontori dal profilo frastagliato, strati e strati di roccia ondulati che arrivano da ere geologiche diverse, nati da animosità del sottosuolo che hanno esploso, plasmato, ferito e creato.
C'è verde - intenso ma non sfacciato. Vivo. All'improvviso vira sul bruno, sull'ocra, sul bruciato. Poi di nuovo verde. Poi nero, grigio, qualcosa di cupo ma brillante.
E blu.
Blu sfumato, blu quasi verde. Blu scintillante di quelle che da quassù sembrano pozze irregolari ma sono laghi. Blu trasparente sulla costa - il blu di quello che è il mare, che lambisce spiagge nere, vulcaniche, ma da cui non si lascia diventare torbido: si mantiene cristallino, invitante. Poi rientra verso l'interno tramite estuari sabbiosi, paludi in cui terra ed acqua si confondono, si abbracciano, si intrecciano scambiandosi la reciproca bellezza.
Ghiaccio.
Blocchi di ghiaccio bianco, azzurro, sfumato di nero - di lava sfiorata, annullata, incorporata nel suo stesso contrario.
La parte più incredibile dell'Islanda è che è fuoco e ghiaccio contemporaneamente.
I due opposti coesistono su questo rettangolo frastagliato di poco più di 100 mila km quadrati che somiglia al profilo di una piccola balena tozza.
A song of ice and fire - barriere di ghiaccio e draghi dormienti sotto la sua superficie.
L'Islanda è entrambe le cose - e, come spesso succede a luoghi e persone che sono in grado di abbracciare le proprie contraddizioni, di viverle entrambe pienamente, è proprio questo che la rende bellissima.
C'è voluto il fuoco per farla diventare unica, con le sue cicatrici lunari, con le sue sfumature di minerali liquefatti ed i suoi contorni irregolari.
C'è voluto il ghiaccio, e la pioggia, a renderla verde, e silente, e pacifica come una lunga distesa di prati che si estende fino a dove si perde l'orizzonte.
L'Islanda è fatta di tante cose diverse che si combinano insieme - sono un mosaico, ingredienti strani che combinati insieme creano qualcosa di speciale, di unico.
L'Islanda è per chi è tante cose contemporaneamente - e, dopo aver passato mezza vita a cercare di scegliere, ha capito che non può. E, del resto, non dovrebbe.
L'Islanda è per chi è in grado di vedere la bellezza che c'è anche nel cielo plumbeo, non solo nel sole. La bellezza delle ombre, delle profondità fatte anche di cose oscure, di cose che possono spaventare - ed è così: i draghi che vivono dentro di noi non si domano, ma, se si smette di lottare contro di essi, possono diventare i nostri migliori alleati.
L'Islanda è per chi non ha paura di ascoltare il silenzio. Per chi sa scegliere la solitudine - e, anzi, ne ha bisogno per riuscire a non perdere di vista se stesso.
Continuo a guardarla, dal finestrino, mentre ci avviciniamo all'atterraggio.
La guardo, e penso che me ne sono già innamorata - prima ancora di metterci piede.
Ma, in fin dei conti, lo sapevo già.
La guardo e realizzo che sono felice di essere qui.
Che è bello - questa terra strana e bellissima, questo film, queste nuvole, questa sensazione.
Credo ci siano tante cose che mi mancano, alcune che non vanno e altre che vorrei diverse - ma in questo momento non m'importa.
E, forse, è questo che si chiama felicità: non quando va tutto bene - ma quei luoghi, quei momenti, quelle persone che ci fanno dimenticare il resto.
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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Penso di non aver mai letto un "resoconto di viaggio" così bello, artistico e poetico! Complimenti! Non sono mai stata in Islanda, anche se una volta mi proposero un campo di volontariato lassù al quale non potei partecipare per cause di forza maggiore. Dev'essere davvero un luogo magico, dove predomina la natura e, forse, la semplicità dell'animo umano.
RispondiEliminaLa mia frase preferita del tuo post è questa:
"L'Islanda è per chi non ha paura di ascoltare il silenzio. Per chi sa scegliere la solitudine - e, anzi, ne ha bisogno per riuscire a non perdere di vista se stesso."
Meravigliosa.
Grazie per la condivisione!
A presto, un abbraccio! :)
Grazie Diana!
EliminaL'Islanda è un posto davvero speciale, uno di quei luoghi in cui si può ancora riuscire ad entrare in contatto con la natura e con se stessi.
Ti auguro di riuscire a visitarlo un giorno, perché è incantevole!
Sei riuscita a trasmettermi il tuo amore per questo paese prima ancora che l'aereo toccasse terra ❤️ Mi piacerebbe tanto andarci, la sogno da tanto tempo ma sai quando per un motivo o per l'altro non è mai il momento giusto? Sono certa che mi piacerebbe, e la immagino un po' come le isole al nord della Norvegia: selvaggia, dura, inospitale - proprio come piace a me!
RispondiEliminaE poi vogliamo mettere il fatto che non ci siano i Mac Donald's? Il paese che fa per me ��
Spero che tu possa riuscire presto a realizzare il sogno di andarci, Silvia!
EliminaE' proprio quel genere di paesaggio... se vogliamo espresso ancora di più nella sua essenza e nella sua magia rispetto alla Scandinavia.
L'assenza dei Mac è decisamente un punto a suo favore!! E il cibo è buonissimo!
che viaggio da sogno e che strano avere 100 parole per dire vento!
RispondiEliminaVero!
EliminaPaese che vai...