Il viaggio da Arequipa attraverso la Valle del Colca è lungo - ma ha in mezzo tutto il Perù.
Le personalità (dei luoghi, delle persone) sono fatte di dettagli: i dettagli sono tessere di puzzle, e sono metafore - servono per vedere altro, sono come un codice che compone una frase, ma che serve anche per leggere fra le righe qualcosa che rimane come scritto in una lingua straniera, che non riesci ad afferrare fino in fondo. Ma di cui, bene o male, riesci ad afferrare il senso.
I dettagli di un luogo sono quelli che non compaiono nelle guide turistiche, nei filmati di promozione del territorio.
Sono quelli quotidiani ed un po' banali, spogli, magari sporchi anche, o brutti - ma reali, senza strati di trucco rifatto ad attutirne le imperfezioni, sinceri come una chiacchierata da sbronzi alle 2 di notte.
I dettagli sinceri del Perù sono in queste strade trafficate di periferia sterrate, con bambini che giocano in mezzo alla strada e macilenti cani vagabondi.
Con le case non intonacate che rimarranno per sempre incompiute per pagare metà tasse.
Con le scritte colorate a caratteri cubitali sui muri inneggianti a partiti e a candidati politici: per le campagne elettorali non ci sono manifesti, ci sono graffiti. E chi non vota viene multato.
Con i camioncini dei netturbini che arrivano suonando la sigla de "La Sirenetta".
E i carrettini degli ambulanti che vendono leche de tigre e queso helado.
Ci sono campi di erba medica che viene coltivata per gli allevamenti dei cuy, i porcellini d'India - che qui sono fra le carni più popolari.
Ci sono delle arene, per le corride - che però vengono combattute solo fra tori, ad armi pari. Nessun torero armato di spade ed inganni a fomentare il crudele spettacolo.
E ci sono i cartelloni pubblicitari dell'Inka Cola, un soft drink giallo canarino frizzante che sa un po' di bubble gum e che viene spesso usato per pasteggiare. Qui è abitudine accompagnare il cibo con qualche bevanda dolce e gassata - ma non con il pane. Il pane si mangia solo a colazione con le olive.
La Valle del Colca è immensa, non basta mai un giorno solo per girarla.
Soprattutto se non sei peruviano ed hai il soroche che resta perennemente in agguato, sornione come un gatto che finge di dormire, appollaiato sulle tue spalle - sempre come un gatto, sì, ma di parecchi chili.
Il soroche è il mal di montagna: siamo costantemente sopra ai 3000 metri qui, in alcuni punti si raggiungono quasi i 5000, senza quasi accorgersene. E' un altopiano, le cime delle montagne sono sullo sfondo e sembrano lontanissime - non ne hai la cognizione, di essere così in alto, se non fosse per questa continua e strana sensazione di stordimento che ti accompagna.
Testa leggera e respiro pesante.
Ognuno lo vive a modo suo, il soroche.
Per me, nulla più che un po' di affaticamento e fiato corto - mi è bastata la cura indigena. Qualcun altro viene colpito un po' più duramente.
La cura indigena sono le foglie di coca, un energizzante naturale più potente della caffeina e con meno effetti collaterali.
Al contrario del suo scapestrato e delinquente derivato chimico, non dà nessuna dipendenza.
I locali ne masticano direttamente le foglie essiccate - sanno vagamente di alloro, con un retrogusto di tè verde. Non sono sgradevoli, ma il mio colon ha avuto un po' da ridire - pertanto la maggior parte delle volte ho preferito consumarle sotto forma di tisane o caramelle.
La Valle del Colca è immensa, e ha diversi volti.
Il primo è lunare.
Un deserto bianco, con ogni tanto qualche distesa di rocce scure appuntite, accatastate.
Radi cespugli ispidi, secchi.
Picchi montagnosi all'orizzonte, lontani, persi nel blu.
Nuvole bianche attorno ai cocuzzoli.
Oh no, non sono nubi - è fumo. Sono vulcani e stanno eruttando.
Dovrebbe far paura, forse. Però qui sembra quasi normale - normale nella sua surrealità, in linea con la surrealità del luogo in cui siamo.
Ci fermiamo.
C'è silenzio. C'è bellezza, una bellezza desolata e, appunto per questo, molto intima. Essenziale, spoglia di qualunque elemento di distrazione. Profonda, un po' mistica.
Tagliente.
Il deserto ti dice questo - che nella solitudine ci può essere bellezza.
Una bellezza seria e silenziosa, che fa un po' male.
Che fa anche un po' bene.
Che è come la malinconia - non a tutti piace. Qualcuno la trova triste, gli fa un po' paura.
Ma a chi piace riesce sempre a dire molte cose.
E, anche se hai dei vulcani in eruzione sullo sfondo, ti spaventano un po' meno.
Sai che non puoi scappare, perché se lo facessi ti perderesti tutto il resto.
E, alla fine, senza rendertene conto trovi il coraggio di conviverci.
O forse si chiama semplicemente abitudine, chissà.
C'è un piccolo alpaca bianco che mi insegue.
Sembra interessato al mio sacchetto di caramelle alla coca.
Le vigogne le abbiamo viste passare da lontano. Correvano veloci sull'altopiano bianco, a branchi.
Alpaca e lama sono più socievoli - i primi più dei secondi.
I lama tollerano la tua presenza, gli alpaca sono quasi festosi.
Un po' come fossero gatti e cani.
Grossi gatti e cani delle Ande, che somigliano a cammelli pelosi e con le orecchie lunghe.
Il paesaggio cambia, la Valle cambia volto.
C'è dell'acqua, azzurra. La vegetazione si fa più diffusa.
Il rapporto fra sterpi e pietre ribalta la proporzione.
L'azzurro si allarga sempre più.
Poi si cambia ancora.
La Valle diventa coltivata.
E' come se la solitudine si aprisse.
Senza negarsi, solo arricchendosi. Godere della solitudine come introspezione, ma con la consapevolezza di non essere davvero soli. Di avere un posto nel mondo, la possibilità di essere capiti.
E' il secondo giorno, qui nel Colca.
Il sole sta sorgendo alle spalle dell'altipiano, ed illumina i terrazzamenti, acceca la Valle.
La acceca di gioia, di speranza.
Gli ricorda che ha passato il deserto, ha passato i vulcani e le rocce appuntite.
Ha saputo vederci bellezza, ha saputo trovarci del coraggio.
Ha saputo guardare dentro di sé senza paura, e ha saputo imparare qualcosa da quello che ha visto.
Ha trovato il modo di andare avanti e di provare lo stesso a coltivare.
E adesso, forse, è giunto il momento di far nascere qualcosa di nuovo...
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