gennaio 25, 2018
Matera è una di quelle cose che ti sorprendono nonostante lo sapessi già da prima che lo avrebbe fatto.
Quando ci arrivi, un sabato mattina sul presto, in autobus dall'aeroporto di Bari, attraversando cemento e campagne piene di ulivi, sembra una città qualunque, fatta di strade asfaltate e lastricate di pietre rosate, con chiese, e mercati, e piazze - ma poi svolti l'angolo, scendi qualche gradino e, da una balconata che si sporge verso il basso, la vedi.
Vedi il suo vecchio cuore di pietra bianca inerpicato sulle colline, che sembra quasi finto.
E' una meraviglia - e la guardi dall'alto: te la vuoi assaporare un po' nel suo insieme, come se fosse un quadro, però vivo, grande, fatto di pietre che respirano la stessa aria che stai respirando tu, prima di andargli incontro, di farsi fagocitare dai suoi dedali in salita, dai suoi Sassi.
Guardo la mappa - e non è lontano, questo pezzo fatato di città abbarbicato in alto; eppure a vederlo da qui sembra quasi impossibile riuscire ad arrivarci: sembra un mondo diverso, parallelo ma a cui pare troppo facile accedere seguendo una semplice strada - probabilmente ci sarà una cortina di nebbia da attraversare, o bisognerà infilarsi in un armadio, o nella tana di un coniglio che va di fretta.
Eppure pare che si debba semplicemente proseguire diligentemente lungo la Via Lucana - per cui ci provo.
La strada è pedonale, lastricata di pietre bianche tendenti al rosato, che, col sole tiepido e sfuggente di questo sabato di metà ottobre che vi si struscia sopra, sembrano quasi lucide. C'è profumo di peperone crusco nell'aria - si sale e poi si scende, fra case bianche, botteghe, qualche ape calessino parcheggiata in un angolo.
Ogni tanto c'è qualche chiesa, barocca, dall'aria vissuta. C'è una piazza con panchine e qualche albero, ed una gelateria invitante.
C'è qualche belvedere - ed è sempre là, l'altra Matera, quella mitica, quella un po' fiabesca.
Però sembra che la direzione sia proprio quella giusta.
Qualcuno l'ha definita un presepe, qualcun altro un abisso.
Per me è un labirinto bianco, le viscere di pietra di un gigante. Qualcosa dal respiro antico, primordiale come i sassi - essenziale, come i sassi. Forse saggio, forse crudo. Qualcosa che definirei quasi mistico, se non avesse una carica pragmatica che quasi lo farebbe suonare inutile: ha una sacralità concreta Matera, non è un'eremita, è una contadina - prega lavorando, entra in comunione con il sacro facendo partorire la terra.
Ed è stato un parto difficile.
E' fatta di silenzio, Matera - un silenzio che scivola fra i suoi vicoli di pietra, nei suoi angoli nascosti, fra i suoi Sassi millenari, e si chiude in casa, dimentica o indifferente dei gruppi di turisti che si aggirano attorno esclamando stupore.
Per anni è stata dimenticata, come troppo spesso facciamo in Italia rinchiudendo in soffitta i nostri tesori a prendere polvere, a farsi corrodere dal tempo e dalla muffa.
Ora tutti la cercano, la insigniscono di titoli, tutti la vogliono vedere - ma a lei poco cambia: non ha bisogno di fronzoli, di un vestito nuovo per la festa; è fatta di sasso, ha scavato la roccia a mani nude - la sua straordinarietà sta nella sua semplicità labirintica, bianca, silente.
E' uno di quei labirinti in cui è bello perdersi - perché non ti perdi mai veramente, solo scopri nuovi pezzi, nuovi particolari. Ti concedi visuali nuove - vagando a caso.
C'è un cuore, in questo cuore di Sasso - ed è verde.
E' dove l'abisso sprofonda, dividendo il Sasso Caveoso, con le sue case grotte scavate nel tufo, dal Sasso Barisano: qui scorre il Torrente Gravina, che taglia la vecchia Civita in due, e pulsa selvaggio, inviolato, la sua acqua come sangue per tenere in vita.
In alto, in cima al Sasso Caveoso, la Chiesa di Santa Maria di Idris - scavata nella roccia come se fosse una sua figlia.
Come se la roccia avesse voluto diventare chiesa - aspettando solo la giusta mano, il giusto mezzo ispirato che l'aiutasse a plasmarsi, ad uscire fuori.
La guardo arrampicata fra gli anfratti del Sasso di fronte.
Il sole si sta stiracchiando, e scivola lentamente dietro le rupi di tufo facendo esplodere la luce, smorzando i toni, accendendo il calore delle tinte.
Il tramonto a Matera è quasi trasformazione.
E' come se il silenzio cominciasse a parlare, e lo facesse con un sorriso sfuggente.
I vicoli assumono nuove sfumature, più dolci.
Il bianco si muta, ci sono altre profondità. Ci sono particolari che prima non avevi notato.
Se di giorno pareva che il tempo si fosse fermato, ora è come se il tempo non esistesse più. Come se davvero ci si fosse sprofondati in un incantesimo un po' sognante, da cui non si abbia davvero voglia di uscire.
Le luci cominciano ad accendersi, per prepararsi al buio.
Ed è ora di tornare.
Dalla Via Lucana sprofondata nella coltre della notte, do un ultimo sguardo alla Civita - che mostra ancora un altro volto, ancora altri colori. Altre luci, altre sfumature.
Eccolo, il presepe.
Eccolo, l'abisso.
Chissà che cosa avrà da dire, adesso, il suo silenzio.
Col buio di solito il silenzio parla.
E credo che quello di Matera debba avere molte storie da raccontare...
Matera è una di quelle cose che ti sorprendono nonostante lo sapessi già da prima che lo avrebbe fatto. Quando ci arrivi, un sabato mat...
Matera, cuore di Sasso
Matera è una di quelle cose che ti sorprendono nonostante lo sapessi già da prima che lo avrebbe fatto.
Quando ci arrivi, un sabato mattina sul presto, in autobus dall'aeroporto di Bari, attraversando cemento e campagne piene di ulivi, sembra una città qualunque, fatta di strade asfaltate e lastricate di pietre rosate, con chiese, e mercati, e piazze - ma poi svolti l'angolo, scendi qualche gradino e, da una balconata che si sporge verso il basso, la vedi.
Vedi il suo vecchio cuore di pietra bianca inerpicato sulle colline, che sembra quasi finto.
E' una meraviglia - e la guardi dall'alto: te la vuoi assaporare un po' nel suo insieme, come se fosse un quadro, però vivo, grande, fatto di pietre che respirano la stessa aria che stai respirando tu, prima di andargli incontro, di farsi fagocitare dai suoi dedali in salita, dai suoi Sassi.
Guardo la mappa - e non è lontano, questo pezzo fatato di città abbarbicato in alto; eppure a vederlo da qui sembra quasi impossibile riuscire ad arrivarci: sembra un mondo diverso, parallelo ma a cui pare troppo facile accedere seguendo una semplice strada - probabilmente ci sarà una cortina di nebbia da attraversare, o bisognerà infilarsi in un armadio, o nella tana di un coniglio che va di fretta.
Eppure pare che si debba semplicemente proseguire diligentemente lungo la Via Lucana - per cui ci provo.
La strada è pedonale, lastricata di pietre bianche tendenti al rosato, che, col sole tiepido e sfuggente di questo sabato di metà ottobre che vi si struscia sopra, sembrano quasi lucide. C'è profumo di peperone crusco nell'aria - si sale e poi si scende, fra case bianche, botteghe, qualche ape calessino parcheggiata in un angolo.
Ogni tanto c'è qualche chiesa, barocca, dall'aria vissuta. C'è una piazza con panchine e qualche albero, ed una gelateria invitante.
C'è qualche belvedere - ed è sempre là, l'altra Matera, quella mitica, quella un po' fiabesca.
Però sembra che la direzione sia proprio quella giusta.
Qualcuno l'ha definita un presepe, qualcun altro un abisso.
Per me è un labirinto bianco, le viscere di pietra di un gigante. Qualcosa dal respiro antico, primordiale come i sassi - essenziale, come i sassi. Forse saggio, forse crudo. Qualcosa che definirei quasi mistico, se non avesse una carica pragmatica che quasi lo farebbe suonare inutile: ha una sacralità concreta Matera, non è un'eremita, è una contadina - prega lavorando, entra in comunione con il sacro facendo partorire la terra.
Ed è stato un parto difficile.
E' fatta di silenzio, Matera - un silenzio che scivola fra i suoi vicoli di pietra, nei suoi angoli nascosti, fra i suoi Sassi millenari, e si chiude in casa, dimentica o indifferente dei gruppi di turisti che si aggirano attorno esclamando stupore.
Per anni è stata dimenticata, come troppo spesso facciamo in Italia rinchiudendo in soffitta i nostri tesori a prendere polvere, a farsi corrodere dal tempo e dalla muffa.
Ora tutti la cercano, la insigniscono di titoli, tutti la vogliono vedere - ma a lei poco cambia: non ha bisogno di fronzoli, di un vestito nuovo per la festa; è fatta di sasso, ha scavato la roccia a mani nude - la sua straordinarietà sta nella sua semplicità labirintica, bianca, silente.
E' uno di quei labirinti in cui è bello perdersi - perché non ti perdi mai veramente, solo scopri nuovi pezzi, nuovi particolari. Ti concedi visuali nuove - vagando a caso.
C'è un cuore, in questo cuore di Sasso - ed è verde.
E' dove l'abisso sprofonda, dividendo il Sasso Caveoso, con le sue case grotte scavate nel tufo, dal Sasso Barisano: qui scorre il Torrente Gravina, che taglia la vecchia Civita in due, e pulsa selvaggio, inviolato, la sua acqua come sangue per tenere in vita.
In alto, in cima al Sasso Caveoso, la Chiesa di Santa Maria di Idris - scavata nella roccia come se fosse una sua figlia.
Come se la roccia avesse voluto diventare chiesa - aspettando solo la giusta mano, il giusto mezzo ispirato che l'aiutasse a plasmarsi, ad uscire fuori.
La guardo arrampicata fra gli anfratti del Sasso di fronte.
Il sole si sta stiracchiando, e scivola lentamente dietro le rupi di tufo facendo esplodere la luce, smorzando i toni, accendendo il calore delle tinte.
Il tramonto a Matera è quasi trasformazione.
E' come se il silenzio cominciasse a parlare, e lo facesse con un sorriso sfuggente.
I vicoli assumono nuove sfumature, più dolci.
Il bianco si muta, ci sono altre profondità. Ci sono particolari che prima non avevi notato.
Se di giorno pareva che il tempo si fosse fermato, ora è come se il tempo non esistesse più. Come se davvero ci si fosse sprofondati in un incantesimo un po' sognante, da cui non si abbia davvero voglia di uscire.
Le luci cominciano ad accendersi, per prepararsi al buio.
Ed è ora di tornare.
Dalla Via Lucana sprofondata nella coltre della notte, do un ultimo sguardo alla Civita - che mostra ancora un altro volto, ancora altri colori. Altre luci, altre sfumature.
Eccolo, il presepe.
Eccolo, l'abisso.
Chissà che cosa avrà da dire, adesso, il suo silenzio.
Col buio di solito il silenzio parla.
E credo che quello di Matera debba avere molte storie da raccontare...
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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Non ho dubbi che Matera sia "una di quelle cose che ti sorprendono nonostante lo sapessi già da prima che lo avrebbe fatto" e anche sul fatto che tu l'avresti saputa raccontare favolosamente non c'erano dubbi. Sono davvero rapita!
RispondiEliminaGrazie Anna!
EliminaMatera è davvero un incanto...