Se pensavo a Bologna, nel corso dell'ultimo anno, mi veniva in mente la canzone di Carboni - quella in cui lui vaga di notte per le vie porticate della città sul tettuccio di un furgoncino assieme alla sua band sgallettata che sembra quella degli Aristogatti, dicendo cose un po' sconnesse sulle regole che noi cattolici post-moderni ci poniamo e su come la vita sia bellissima.
E mi sfugge il nesso.
E mi sfugge anche il perché secondo lui pure Bologna dovrebbe essere una regola.
Ma se è per questo non capisco nemmeno perché in un'altra canzone dica "Amami ancora adesso / sono sempre Luca lo stesso" - ti è mai venuto in mente che potrebbe essere proprio questo il motivo per cui non ti ama più??
Comunque, mi dispiaceva collegare Bologna con questa canzone, che, a dirla tutta, mi fa abbastanza cagare, perché Bologna a me piace, è una città graziosa ed alla mano - quindi ho pensato che il metodo più efficace per resettare questa associazione fosse sovrascriverla con qualche memoria più recente.
Tra l'altro avevo scovato per caso sul web un ristorante giapponese autentico proprio dietro la stazione che fa okonomiyaki e takoyaki, dei quali sto cominciando a sentire la nostalgia, quindi poteva servire come pretesto ufficiale per tornare a trovare la Dotta.
Ma si può andare a Bologna per mangiare giapponese?? - mi domandano basiti un po' tutti.
"...e c'è una regola per cui / se vai a Bologna devi mangiare i tortellini..."
Basta Carboni, taci.
I binari dell'alta velocità praticamente sono talmente sottoterra e talmente distanti da tutti gli altri che per uscire dalla stazione impieghiamo una piccola eternità - e continuiamo a vedere ovunque cartelli che, oltre ad indicare l'Uscita (e dove diamine mai sarà 'sta uscita??), indicano un misterioso servizio "Kiss & Ride". Aggrotto le sopracciglia e subito penso ad una qualche stramba traduzione fatta con Google Translate.
E invece no - i cartelli insistono. A quanto pare nella stazione di Bologna c'è una cosa che consiste nel baciare e poi farsi una corsa. Quanto sono espansivi questi Emiliani - ci guardiamo di sottecchi io e Mackerel Cat, un po' perplesse da brave Torinesi algide ed anaffettive.
"...e c'è una regola per cui / a Bologna i taxisti non si fan pagare / ma solo baciare..."
Cavoli, sarebbe stata quasi una strofa più bella di quelle che effettivamente ci sono.
Il mio senso dell'orientamento fa sempre cilecca sul più bello e ci troviamo a vagare in una specie di Chinatown un po' losca. Ma poi grazie a Google Maps ritrovo il pieno controllo della mia memoria visiva e ci compaiono davanti le rassicuranti gradinate bianche della Montagnola
"...e c'è una regola per cui / la strada giusta te la ricordi / solo quando la trovi..."
Anche questa non sarebbe male, devo dire.
Chissà se Carboni mi assumerà come paroliere.
Forse no - dato che ho detto che le sue canzoni fanno cagare.
Ma non è vero, "Mare mare mare" non mi dispiaceva, e nemmeno quella della mamma da portare a ballare. Ah no, quello era Luca Barbarossa.
Va beh, pazienza.
I portici di Via dell'Indipendenza sono molto affollati.
Gente, tanta gente. Gente che non va avanti, gente che ti spintona un po' con le borse quando esce dai negozi, gente col passeggino, o con il cane, o con il cane ed il passeggino, gente che si tiene sotto braccio a gruppi di tre o quattro e procede, lenta ed inesorabile, con una formazione a testuggine sotto i portici.
Mi ricorderebbe quasi Milano al sabato pomeriggio, tutta questa calca, non fosse che a Milano hanno tutti il passo più rapido e non si fermano molto a parlare gli uni con gli altri. E sono anche più griffati, ma quello è irrilevante.
Forse, quindi, mi ricorda più Cuneo di domenica.
Sto provando a riflettere su come mai a Torino non mi sia mai capitato di imbattermi in certi fenomeni di calca molesta - se c'è qualche motivazione razionale di tipologia architettonico-urbanistico per cui l'ammasso umano finisce per distribuirsi in modalità più fluida, oppure se a Torino manchino i negozi interessanti, oppure se sono io che non vado mai in giro nelle ore di punta... ma mi distraggo guardando in alto, verso le volte a crociera, i capitelli, gli edifici in cotto.
E' tutto così medievale qui, e io mi incanto sempre di fronte alle cose medievali.
E non mi importa nemmeno più tanto della folla - anche perché finalmente sbuchiamo in Piazza Maggiore e la calca si disperde.
Sono quasi le 11 del mattino, ma il sole è ancora un po' restio a svegliarsi e fa capolino timidamente dietro a San Petronio.
Mi piace Piazza Maggiore, per questo suo essere maestosa ma al tempo stesso semplice, di un'eleganza sobria e bonaria, come quella di qualcuno a cui interessa poco apparire, ma piuttosto dedicarsi ai giusti e genuini piaceri della vita - come ad esempio il cibo e la cultura.
E mi piace San Petronio, proprio per questa sua incompiutezza. Bologna se ne frega proprio un po' del look, e fa bene perché è bella lo stesso. San Petronio ne è l'emblema - è una signora che esce di casa in tailleur ma con le scarpe da ginnastica ai piedi. Le cose lasciate a metà hanno sempre un loro fascino un po' decadente, un po' malinconico: ci si domanda sempre che cosa sia che ha fatto bloccare il tutto, lasciandolo sospeso nell'aria - eterno embrione, atto mai del tutto compiuto. Nel caso di San Petronio pare che sia stata la costruzione dell'Archiginnasio, a poco più di 10 metri di distanza: questo ha fatto sì che il previsto progetto di espansione della Basilica, con la costruzione di un ulteriore transetto a sinistra, venisse inevitabilmente cassato - e alla fine anche la facciata è rimasta incompiuta, ricordando quei tutorial che si trovano on line in cui si trucca solo mezza faccia per far vedere la differenza prima e dopo. In ogni caso mi affascina questo fatto, che si sia in un certo senso sacrificata l'estetica di una Chiesa a favore della cultura - e del resto San Petronio è la sesta chiesa d'Europa in ordine di grandezza, dopo San Pietro, Saint Paul a Londra e le cattedrali di Siviglia, Milano e Firenze; quindi questa non-chalance con cui è stata messa da parte la messa in luce della sua esteriorità mi fa scattare una certa fratellanza fra animi refrattari al marketing di sé stessi.
Comunque, mi dispiace per le rughe mal mimetizzate di San Petronio, ma, dovendo scegliere, sono proprio contenta che abbiano deciso di accordare la propria preferenza all'Archiginnasio.
L'Archiginnasio, la sede originaria dell'Università, una delle più antiche e prestigiose d'Europa, è il mio posto preferito a Bologna. Forse sarà per il silenzio, o per la sensazione di essere un po' fuori dal mondo - e di trovarsi in un altro mondo, non necessariamente migliore, ma in cui crescere significa imparare, e conoscere diventa l'obiettivo primario. Si sale una scalinata circondati da affreschi un po' barocchi, e poi ci sono pavimenti a scacchi bianchi e neri, stemmi stuccati in altorilievo, mobili di mogano stracolmi di libri antichissimi, rilegati in pelle.
In una sala è esposta la copia manoscritta dell'Infinito di Leopardi, e poco più in là, da una grata, si vedono i corridoi infiniti della biblioteca - file e file di libri che abitano lì da secoli. Avessimo più tempo mi ci vorrei perdere.
Il Teatro Anatomico è una piccola stanza ad anfiteatro, con le gradinate e le sedute in legno di abete ed un tavolo di marmo nel mezzo. Si tenevano le lezioni di anatomia e infatti ci sono anche due statue di due corpi umani privati della pelle, amichevolmente detti "gli Spellati" - che un po' mi ricordano il pezzo della facciata di San Petronio senza marmi. Però adesso me li sto anche immaginando come special guest nella band di Carboni, a suonare il basso sul suo furgoncino scalcagnato.
Nella stanza ci sono anche degli opuscoli che spiegano come fosse organizzata l'università - e mi viene da sorridere a pensare che un tempo lo studio della Matematica fosse classificato fra le "Arti": erano i tempi in cui i matematici erano anche filosofi e viceversa, in cui si era consapevoli che la bellezza e la perfezione fossero regolate da un algoritmo ben preciso - e si voleva andare a cercarlo.
Sbuchiamo di nuovo fuori su Piazza Maggiore, ed è quasi ora di pranzo: nelle varie viuzze laterali dedicate ai mestieri medievali ci sono parecchi localini ed osterie dall'aria rustica ed invitante, e sarei quasi tentata di annullare i miei piani esotici per dirottarmi sul fascino ruspante della mortazza - ma, ahimé, appartengo a quella molesta categoria di persone che quando si mettono in testa una cosa poi non riescono a rinunciarvi.
Passiamo di fronte al Palazzo di Re Enzo - che, per qualche contorto meccanismo mentale, ci fa venire in mente Enzo Miccio vestito da re, con lo scettro del Buongusto in mano, il mantello di ermellino e le pantofoline di velluto. Forse era meglio continuare a pensare a Carboni.
"...e c'è una regola che / ti fa pensare ad Enzo Miccio / quando preferiresti pensare a me..."
Va beh, adesso non esageriamo bello.
Comunque il Re Enzo in questione in questo palazzo, più che abitarci, era stato fatto prigioniero fino alla fine dei suoi giorni, per una ventina d'anni. Era figlio dell'Imperatore di Svevia Federico II, ed era stato sconfitto in battaglia dai bolognesi - non so se, appeso al soffitto ad una gabbia, avesse molta opportunità o volontà di curare i propri outfit, ma non dubitiamo che il suo chiccoso omonimo contemporaneo al posto suo avrebbe combattuto strenuamente per non diventare anche prigioniero del cattivo gusto e della sciattoneria.
Mi guardo attorno perplessa, perché c'è qualcosa che mi sfugge.
Qualcosa che manca, per la precisione.
Manca Nettuno, non lo vedo.
Dov'è finito? Ha deciso di passare Natale alle Maldive?
Sono un po' confusa - magari mi ricordo male io e non è qua.
Mackerel avvista un cartello che lo segnala e proviamo a seguirlo, ma ci ritroviamo di fronte alle due torri - quella degli Asinelli, slanciata ed altissima, e la Garisenda, più piccola e tozza, che era stata ribassata un paio di secoli dopo la sua creazione per un cedimento delle fondamenta ed è rimasta così.
Questa cosa mi ricorda vagamente la facciata incompiuta di San Petronio - e chissà se la Regola di Bologna, alla fin fine, ha a che fare con il fatto di non aver timore di cambiare idea strada facendo e badare più agli aspetti concreti e funzionali che non all'apparire. Che è qualcosa che forse dovremmo imparare a tenere tutti un po' più presente.
Comunque sia, sta di fatto che Nettuno non può essere sparito così nel nulla.
Lo avrebbero detto al telegiornale e lo avrebbero scritto anche su Facebook - c'è una certa responsabilità nell'essere il dio del mare. Anche se a Bologna non c'è il mare, ma adesso non è il caso di stare a puntualizzare. E poi sul treno abbiamo letto dei Sette Segreti di Bologna, e gli altri sei non ce li ricordiamo già più - ma quello del dito del Signor Nettuno che, visto da una certa angolazione, sembra qualcos'altro, rimane sempre impresso.
Però oggi non c'è, né lui né il suo dito ambiguo.
Ad un certo punto mi viene un flash, e torniamo indietro, davanti al Palazzo di Re Enzo.
Ecco svelato l'arcano: il buon Nettuno è stato impacchettato sotto un'orribile impalcatura di plastica - e menomale che il Re Enzo che gli abita di fronte non è davvero Enzo Miccio altrimenti credo che soffrirebbe non poco per l'imbruttimento che questa cosa provoca a tutta l'armoniosa medioevalità di Piazza Maggiore. A meno che lì sotto non ci sia anche lui, e che i "restauri" in questione in realtà non siano un rifacimento del look della divinità, che in effetti, forse, nonostante il fisico gagliardo, non avrebbe più tanto l'età per andare in giro nudo.
"...e c'è una regola per cui / dopo una certa età è meglio coprirsi / anche se si è il dio del mare... mare mare mare / ma che voglia di arrivare"
Ecco, bravo Carboni, quella era meglio.
Visto che Nettuno fa il ritroso, continuiamo a dirigerci verso la nostra agognata meta di delizie nipponiche - che si sta rivelando più lontana di quanto avessi inizialmente pensato.
Passiamo in mezzo ai Quartieri Universitari, che mi fa strano vedere così deserti, con i graffiti sui portici e nessun punkabbestia col cane a sostare nell'androne.
In realtà non è che sia proprio questa la via più veloce da seguire - ma, ecco, come al solito mi sono sbagliata e con l'aiuto di Google stiamo facendo un detour un po' impegnativo.
Camminiamo e camminiamo - e devo dire che non ne avevo bisogno, ma, se avessi voluto un'ulteriore controprova del fatto che Mackerel mi voglia bene, potrebbe essere questa.
Non mi mugugna contro nemmeno mezzo improperio in tutto questo lungo pellegrinare - nemmeno quando arriviamo finalmente di fronte al famoso ristorante e lo troviamo chiuso.
Sì, esatto chiuso. Impacchettato nel suo bozzolo di serrande come Nettuno nelle impalcature.
"...e c'è una regola per cui / se durante le vacanze di Natale / non telefoni per sapere / che un ristorante sia chiuso ci può stare / solo di Trip Advisor non ti puoi fidare..."
Senti Carboni, non è proprio il momento - gli dico mentre addento un panino freddo in un bar affollato alla stazione e lui continua a cantare con i suoi Aristogatti sul camioncino.
Ci dirigiamo verso Piazza Santo Stefano, che è il cuore medievale di Bologna.
"Cuore" nel senso letterale del termine, perché tutte le lunghe vie porticate risalenti alla stessa epoca che si diramano con aria un po' casuale nel centro città, convergono tutte lì.
Ne percorriamo diverse, a più riprese: il colore che predomina è il rosso mattone, l'arancio scuro. Lo stile architettonico si è preservato dall'età di mezzo, e c'è sempre un po' d'ombra. Nell'ombra sbucano diversi negozietti - di artigianato, di abbigliamento alternativo, oppure qualche locale interessante, e panetterie e negozi alimentari dall'aria sicuramente più tradizionale.
I portici di Bologna mi ricordano una diatriba che c'era stata in ufficio tanti anni fa, quando avevo due colleghi bolognesi, su quale fosse la città con più portici: e Bologna aveva stracciato Torino alla grande, con l'inclusione degli svariati kilometri che servono per salire in collina a San Luca. I Savoia evidentemente non avevano mai considerato l'ipotesi di andare fino a Superga a piedi, quindi i portici li hanno lasciati solo per le vie del centro.
I portici di Bologna alternano scritte di insulti a Renzi e a Salvini, forse con una frequenza superiore alle altre città d'Italia.
"...e c'è una regola per cui / se ti chiami Matteo e fai il politico / verrai insultato sui muri di Bologna..."
Beh, no Carboni... credo che il denominatore comune non sia solo questo, in verità...
Piazza Santo Stefano è larga, irregolare, pavimentata di ciottoli rotondi.
E' pedonale e sembra una versione ingrandita di una piazza di paese, dove la gente si ferma a chiacchierare ed i bambini giocano.
Su Piazza Santo Stefano si affacciano le Sette Chiese - che io, finora, nemmeno avevo capito che fossero sette: non ero mai entrata, e, dalla piazza, vedendo solo la facciata di Santo Stefano, mi domandavo dove fossero le altre sei.
Come Nettuno, si erano solo un po' nascoste.
Le Sette Chiese sono una sorta di labirinto sacro medievale composto di diversi complessi collegati fra loro: Santo Sepolcro, Santi Vitale ed Agricola, Trinità, Pilato e Crocifisso, più ovviamente Santo Stefano - un caleidoscopio di chiostri, absidi, chiaroscuri, archi e navate, che non segue nessuna regola (sia ben chiaro, Carboni) e in cui è bello vagare. Perché sembra davvero di ritrovarsi a vagare in un'altra epoca.
Mentre ci ritempriamo in un bar, per scaldarci e far riposare i piedi prima di andare a riprendere il treno, ripenso di nuovo a quella canzone.
"...e che Bologna è una regola / che hai provato a spiegarmi tu..."
Non lo so.
A me non l'hanno spiegata, in realtà.
Però, forse, un po' mi sembra di averla capita...
Che belle foto!😊 E anche bella descrizione, non sono mai andata a Bologna ma dato che abito abbastanza vicino a questa città mi sa che ci andrò. Interessante il tuo blog con protagonista un gatto nero, io amo i gatti!😻 A presto!👋
RispondiEliminagattaracinefila.blogspot.it
Grazie :)
EliminaBologna merita sicuramente una visita, spero che ti piacerà.
E passo presto a trovarti sulla tua pagina!
Mi piace sempre leggere della mia città che amo e odio assieme, bellissime le foto! E già il nostro Nettuno è in fase di restaurazione ma c'è una bella iniziativa che ti permette di entrare nell'area della restaurazione ed essere faccia a faccia con lui :)
RispondiEliminaGrazie!
EliminaE grazie anche per la segnalazione su Nettuno :)
Molto carina e ironica la descrizione di Bologna. Da bolognese ti posso dire che forse è vero che a Bologna non si guarda molto all'estetica ma alla sostanza con anche un po' di bonaria noncuranza. E poi onestamente la canzone di Carboni l'ho capita poco anche io! :)
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