luglio 14, 2014
Quando visito una città grande ed industriale temo sempre che possa rivelarsi troppo grigia, imbronciata ed indaffarata. Negli insediamenti...
Newcastle - ovvero come un gatto torinese fece amicizia con i Geordie
Newcastle - ovvero come un gatto torinese fece amicizia con i Geordie
Newcastle - ovvero come un gatto torinese fece amicizia con i Geordie
Quando visito una città grande ed industriale temo sempre che possa rivelarsi troppo grigia, imbronciata ed indaffarata.
Negli insediamenti urbani che visito vado sempre alla ricerca di quel tocco di accoglienza curato e cosy, quel legame rispettoso con la propria storia e le tradizioni che ti dia l'impressione di entrare in un vecchio salotto di famiglia, dove sorseggiare un tè osservando le foto degli antenati del tuo ospite. Ma le città industriali sono spesso troppo pragmatiche per curarsi di questo aspetto: l'arredamento del loro salotto è minimal, iper-moderno e funzionale, e trovano controproducente perdersi in contemplazioni nostalgiche del passato, poiché il loro obiettivo è correre il più velocemente possibile verso il futuro.
Newcastle però mi ispirava simpatia.
Da Torinese in qualche modo me la sentivo particolarmente affine ancor prima di visitarla.
La prima cosa che mi è venuta in mente, quando Ginger Cat ha proposto di inserirla come base nel nostro itinerario, è stata la sua squadra di calcio - e le strisce bianconere della sua maglia già sono una prima affinità con Torino.
La seconda affinità è la sua anima di città industriale.
Newcastle prosperava quando l'industria del carbone e dell'acciaio era fiorente; e poi la crisi di questo settore le ha fatto subire diversi naufragi della sorte, in mezzo ai quali è però sempre comunque riuscita a tenersi a galla a testa alta.
Fra gli aggettivi con cui la Lonely Planet la descrive "elegante" e "raffinata" vengono utilizzati più di una volta, e di sicuro ha più di un edificio o di una via che meritano di essere insigniti di questa caratteristica; però penso che il primo aspetto che salti all'occhio sia piuttosto la sua attitudine a lavorare sodo: Newcastle indosserà sì degli abiti eleganti, ma non ha paura di rimboccarsi le maniche e di sporcarsi le mani. E' una nobildonna di campagna che partecipa in prima persona al raccolto e sotto i guanti di velluto ha le mani arrossate e callose.
E ne è, giustamente, orgogliosa.
A Newcastle noi ci arriviamo di domenica, sotto un cielo plumbeo che però fa atmosfera.
Le strade attorno alla stazione hanno tutte nomi che sembrano tratte da Harry Potter (Grang(i)er, Neville...); e soprattutto hanno una planimetria strana che mette a dura prova l'abitualmente fenomenale senso dell'orientamento di Ginger Cat.
Ci sono poche targhe con i nomi delle strade, e anche i semafori pedonali sono semi nascosti.
E' un po' come se la città non si volesse rivelare; come se i suoi abitanti fossero quasi degli adepti di una setta segreta, e, per entrare a farne parte, debbano superare la prova di imparare a muoversi nell'altrimenti sconosciuto dedalo di vie e mandarne a memoria i nomi.
Anche trovare il Blackfriars, il ristorante di cucina medioevale situato all'interno di un ex convento in cui avremmo intenzione di mangiare pranzo, si rivela un po' meno facile del previsto.
Quando ci riusciamo scopriamo che il locale è al completo, per cui non ci resta che accontentarci di scattare qualche foto all'esterno dell'ex convento ristrutturato ed immaginare in che cosa consistano i corsi di team building che si tengono lì, dopo aver letto all'ingresso che sono uno dei servizi che offrono: una sfida ai fornelli in stile Masterchef Convento, oppure un torneo di spada medioevale?
In ogni caso l'atmosfera intima e goticheggiante della location credo che mi renderebbe la prospettiva del "team building" meno raccapricciante di quanto non lo sia normalmente.
Altro gotico lo troviamo nella Cattedrale di San Nicholas, guardata a vista da una Regina Vittoria tinta di nero e seduta sul suo trono.
Di fuori è semplice e poco fantasiosa, ma l'interno è interessante e vario.
Sulle volte lignee si stendono orgogliose delle Union Jack d'antan, vecchie di secoli e probabili reduci di guerre o rivolte.
Vetrate elaborate di scene e colori illuminano con soffusa discrezione le navate.
Marmi cesellati incorniciano l'altare e statue di santi e venerabili che qui riposano.
In una nicchia c'è persino un angolo gioco per i bambini. Un'idea forse un po' controversa, ma, se vogliamo, in linea con il pragmatismo di Newcastle: potrà anche essere strano spingere i bambini a giocare durante la messa, ma è di sicuro un modo efficace per evitare che si annoino e che distraggano con pianti e capricci gli altri fedeli.
Rinunciamo a seguire un itinerario o una cartina, e vagabondiamo a caso.
Newcastle è una città di uomini.
Non perché sia aspra e dura, ma perché vediamo poche donne in giro.
Siccome Ginger Cat sostiene sempre che Genova, invece, è una città di donne, forse si potrebbe proporre un gemellaggio.
Purché non sfoci in un Ratto delle Sabine - anzi, delle Genovesi.
I Geordie, comunque, sono rudi e burberi solo in apparenza, perché di fatto incontriamo cordialità ed accoglienza ovunque, accompagnata da un accento quasi scozzese.
Da dove derivi il nome "Geordie", peraltro, nessuno lo sa.
O perlomeno, non lo sa la Lonely Planet, che ipotizza derivi da un diminutivo del re protestante di origine tedesca George I, al quale la città, durante la rivolta giacobita del 1715, decise di rimanere fedele, in avversione al pretendente cattolico Giacomo Stuart.
E la parlata degli abitanti non è l'unica cosa che ricordi la Scozia.
La vicinanza al confine si sente in molte cose: nelle guglie di alcune chiese, nei saliscendi che ricordano Edimburgo, nei camini anneriti e nella sobrietà un po' grigia delle vie che hanno un ché di Glasgow.
Contemplandola dall'alto di uno dei suoi sette ponti sul Tyne continua a passarmi per la mente qualche flash che mi rimanda al confine fra la Old e la New Town di Edimburgo.
Da quassù si nota anche il dominio assoluto dei gabbiani, che hanno preso pieno possesso di alcuni edifici abbandonati, nidificando nei loro anfratti e trasformandone la fisionomia: lì per lì pare una scena da film di fantascienza post-apocalittico, come se gli uccelli avessero preso possesso dell'intera città, sfrattandone gli esseri umani, o obbligandoli a sopravvivere come loro schiavi per farsi nutrire di gelati e fish & chips.
Il Pianeta dei Gabbiani...
Tim Burton prendi nota.
Lungo il Tyne c'è chi fa bungee-jumping lanciandosi da una gru fino a lambire il pelo dell'acqua grigia.
C'è un triangolo di sabbia dove un paio di bambini giocano tranquilli, ed alcune bancarelle di dolciumi e giocattoli che stanno già smantellando.
Qui la domenica tutto chiude alle quattro del pomeriggio.
Comincia a cadere una pioggerella fine e l'atmosfera si fa un po' malinconica.
Gli edifici lungo al fiume sono anneriti di fuliggine e le costruzioni più moderne hanno l'aria di integrarsi poco con quelle antiche: non c'è armonia, è come se vivessero fianco a fianco ma senza parlarsi. Non c'è necessariamente conflitto fra di loro, ma è come se ognuna volesse andare avanti per conto suo, dritta per la sua strada.
E' lo spirito pragmatico della Newcastle industriale: non ha tempo per i fronzoli, non ha tempo di pensare al passato. Deve andare avanti e ci va spedita, a tessa bassa, senza voltarsi indietro.
Forse non sarà bella questa città, ma è vera: mostra la sua anima in maniera diretta, senza filtri per voler apparire migliore, senza maniere affettate per costruirsi maschere di cortesia. Non ne vede il motivo, è sempre stata troppo concreta per potersi dedicare a questi giochi di ruolo della bella società.
La pioggia ci fa rifugiare nell'Union Rooms, una casa georgiana trasformata in pub.
Ceniamo con un toastie in una saletta con il caminetto, i quadri alle pareti e diversi scaffali di libri.
Libri veri, non soprammobili.
Quando vedo dei libri devo sempre ficcarci il naso. E' strano per un gatto ammettere di avere una vocazione da topo di biblioteca.
Ce n'è uno che si intitola "Adua" ed è di uno scrittore italiano, ma è scritto in tedesco.
Fuori dalla finestra si vede la strada, sventrata da lavori in corso.
Attorno a noi una girls night out: ragazze in carne con tacchi altissimi, meches fucsia e vestite con centimetri quadrati di tessuto fosforescente che a noi paiono troppo pochi in relazione alle temperature che ci sono fuori. Ridono a squarciagola e flirtano con il barman.
E' un curioso contrasto con l'arredamento georgiano circostante.
Anche qui sembra che il nuovo e l'antico viaggino su due binari separati, ignorandosi pacificamente.
Chissà, forse verrà il giorno in cui impareranno a stringersi la mano, e a guardarsi in faccia, per conoscersi ed imparare qualcosa l'uno dall'altro...
Negli insediamenti urbani che visito vado sempre alla ricerca di quel tocco di accoglienza curato e cosy, quel legame rispettoso con la propria storia e le tradizioni che ti dia l'impressione di entrare in un vecchio salotto di famiglia, dove sorseggiare un tè osservando le foto degli antenati del tuo ospite. Ma le città industriali sono spesso troppo pragmatiche per curarsi di questo aspetto: l'arredamento del loro salotto è minimal, iper-moderno e funzionale, e trovano controproducente perdersi in contemplazioni nostalgiche del passato, poiché il loro obiettivo è correre il più velocemente possibile verso il futuro.
Newcastle però mi ispirava simpatia.
Da Torinese in qualche modo me la sentivo particolarmente affine ancor prima di visitarla.
La prima cosa che mi è venuta in mente, quando Ginger Cat ha proposto di inserirla come base nel nostro itinerario, è stata la sua squadra di calcio - e le strisce bianconere della sua maglia già sono una prima affinità con Torino.
La seconda affinità è la sua anima di città industriale.
Newcastle prosperava quando l'industria del carbone e dell'acciaio era fiorente; e poi la crisi di questo settore le ha fatto subire diversi naufragi della sorte, in mezzo ai quali è però sempre comunque riuscita a tenersi a galla a testa alta.
Fra gli aggettivi con cui la Lonely Planet la descrive "elegante" e "raffinata" vengono utilizzati più di una volta, e di sicuro ha più di un edificio o di una via che meritano di essere insigniti di questa caratteristica; però penso che il primo aspetto che salti all'occhio sia piuttosto la sua attitudine a lavorare sodo: Newcastle indosserà sì degli abiti eleganti, ma non ha paura di rimboccarsi le maniche e di sporcarsi le mani. E' una nobildonna di campagna che partecipa in prima persona al raccolto e sotto i guanti di velluto ha le mani arrossate e callose.
E ne è, giustamente, orgogliosa.
A Newcastle noi ci arriviamo di domenica, sotto un cielo plumbeo che però fa atmosfera.
Le strade attorno alla stazione hanno tutte nomi che sembrano tratte da Harry Potter (Grang(i)er, Neville...); e soprattutto hanno una planimetria strana che mette a dura prova l'abitualmente fenomenale senso dell'orientamento di Ginger Cat.
Ci sono poche targhe con i nomi delle strade, e anche i semafori pedonali sono semi nascosti.
E' un po' come se la città non si volesse rivelare; come se i suoi abitanti fossero quasi degli adepti di una setta segreta, e, per entrare a farne parte, debbano superare la prova di imparare a muoversi nell'altrimenti sconosciuto dedalo di vie e mandarne a memoria i nomi.
Anche trovare il Blackfriars, il ristorante di cucina medioevale situato all'interno di un ex convento in cui avremmo intenzione di mangiare pranzo, si rivela un po' meno facile del previsto.
Quando ci riusciamo scopriamo che il locale è al completo, per cui non ci resta che accontentarci di scattare qualche foto all'esterno dell'ex convento ristrutturato ed immaginare in che cosa consistano i corsi di team building che si tengono lì, dopo aver letto all'ingresso che sono uno dei servizi che offrono: una sfida ai fornelli in stile Masterchef Convento, oppure un torneo di spada medioevale?
In ogni caso l'atmosfera intima e goticheggiante della location credo che mi renderebbe la prospettiva del "team building" meno raccapricciante di quanto non lo sia normalmente.
Altro gotico lo troviamo nella Cattedrale di San Nicholas, guardata a vista da una Regina Vittoria tinta di nero e seduta sul suo trono.
Di fuori è semplice e poco fantasiosa, ma l'interno è interessante e vario.
Sulle volte lignee si stendono orgogliose delle Union Jack d'antan, vecchie di secoli e probabili reduci di guerre o rivolte.
Vetrate elaborate di scene e colori illuminano con soffusa discrezione le navate.
Marmi cesellati incorniciano l'altare e statue di santi e venerabili che qui riposano.
In una nicchia c'è persino un angolo gioco per i bambini. Un'idea forse un po' controversa, ma, se vogliamo, in linea con il pragmatismo di Newcastle: potrà anche essere strano spingere i bambini a giocare durante la messa, ma è di sicuro un modo efficace per evitare che si annoino e che distraggano con pianti e capricci gli altri fedeli.
Rinunciamo a seguire un itinerario o una cartina, e vagabondiamo a caso.
Newcastle è una città di uomini.
Non perché sia aspra e dura, ma perché vediamo poche donne in giro.
Siccome Ginger Cat sostiene sempre che Genova, invece, è una città di donne, forse si potrebbe proporre un gemellaggio.
Purché non sfoci in un Ratto delle Sabine - anzi, delle Genovesi.
I Geordie, comunque, sono rudi e burberi solo in apparenza, perché di fatto incontriamo cordialità ed accoglienza ovunque, accompagnata da un accento quasi scozzese.
Da dove derivi il nome "Geordie", peraltro, nessuno lo sa.
O perlomeno, non lo sa la Lonely Planet, che ipotizza derivi da un diminutivo del re protestante di origine tedesca George I, al quale la città, durante la rivolta giacobita del 1715, decise di rimanere fedele, in avversione al pretendente cattolico Giacomo Stuart.
E la parlata degli abitanti non è l'unica cosa che ricordi la Scozia.
La vicinanza al confine si sente in molte cose: nelle guglie di alcune chiese, nei saliscendi che ricordano Edimburgo, nei camini anneriti e nella sobrietà un po' grigia delle vie che hanno un ché di Glasgow.
Contemplandola dall'alto di uno dei suoi sette ponti sul Tyne continua a passarmi per la mente qualche flash che mi rimanda al confine fra la Old e la New Town di Edimburgo.
Da quassù si nota anche il dominio assoluto dei gabbiani, che hanno preso pieno possesso di alcuni edifici abbandonati, nidificando nei loro anfratti e trasformandone la fisionomia: lì per lì pare una scena da film di fantascienza post-apocalittico, come se gli uccelli avessero preso possesso dell'intera città, sfrattandone gli esseri umani, o obbligandoli a sopravvivere come loro schiavi per farsi nutrire di gelati e fish & chips.
Il Pianeta dei Gabbiani...
Tim Burton prendi nota.
Lungo il Tyne c'è chi fa bungee-jumping lanciandosi da una gru fino a lambire il pelo dell'acqua grigia.
C'è un triangolo di sabbia dove un paio di bambini giocano tranquilli, ed alcune bancarelle di dolciumi e giocattoli che stanno già smantellando.
Qui la domenica tutto chiude alle quattro del pomeriggio.
Comincia a cadere una pioggerella fine e l'atmosfera si fa un po' malinconica.
Gli edifici lungo al fiume sono anneriti di fuliggine e le costruzioni più moderne hanno l'aria di integrarsi poco con quelle antiche: non c'è armonia, è come se vivessero fianco a fianco ma senza parlarsi. Non c'è necessariamente conflitto fra di loro, ma è come se ognuna volesse andare avanti per conto suo, dritta per la sua strada.
E' lo spirito pragmatico della Newcastle industriale: non ha tempo per i fronzoli, non ha tempo di pensare al passato. Deve andare avanti e ci va spedita, a tessa bassa, senza voltarsi indietro.
Forse non sarà bella questa città, ma è vera: mostra la sua anima in maniera diretta, senza filtri per voler apparire migliore, senza maniere affettate per costruirsi maschere di cortesia. Non ne vede il motivo, è sempre stata troppo concreta per potersi dedicare a questi giochi di ruolo della bella società.
La pioggia ci fa rifugiare nell'Union Rooms, una casa georgiana trasformata in pub.
Ceniamo con un toastie in una saletta con il caminetto, i quadri alle pareti e diversi scaffali di libri.
Libri veri, non soprammobili.
Quando vedo dei libri devo sempre ficcarci il naso. E' strano per un gatto ammettere di avere una vocazione da topo di biblioteca.
Ce n'è uno che si intitola "Adua" ed è di uno scrittore italiano, ma è scritto in tedesco.
Fuori dalla finestra si vede la strada, sventrata da lavori in corso.
Attorno a noi una girls night out: ragazze in carne con tacchi altissimi, meches fucsia e vestite con centimetri quadrati di tessuto fosforescente che a noi paiono troppo pochi in relazione alle temperature che ci sono fuori. Ridono a squarciagola e flirtano con il barman.
E' un curioso contrasto con l'arredamento georgiano circostante.
Anche qui sembra che il nuovo e l'antico viaggino su due binari separati, ignorandosi pacificamente.
Chissà, forse verrà il giorno in cui impareranno a stringersi la mano, e a guardarsi in faccia, per conoscersi ed imparare qualcosa l'uno dall'altro...
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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Complimenti per la descrizione coinvolgente . Sembra di essere già passato negli stessi luoghi nelle stesse vie.
RispondiEliminaAlberto 7