aprile 30, 2016
Sono qui che penso a come raccontarvi di Amburgo, e non lo so.
Potrei semplicemente cassarla dicendo che non mi ha entusiasmata - eppure in qualche modo mi sembrerebbe ingiusto.
Mi faccio i sensi di colpa anche nei confronti delle città, non solo delle persone. E dire che pensavo di essere migliorata...
Non è che non sia bella Amburgo - il primo giorno l'ho girata in compagnia di Jenny ed ero concentrata sulle nostre chiacchiere: la sbirciavo con la coda dell'occhio, curiosa di particolari, adocchiando qua e là i monumenti resi fosforescenti, un po' alieni dall'illuminazione notturna, i chiaroscuri delle strade buie, e, come primo, parco assaggio, mi pareva promettente, mi faceva mescolare queste prime, vaghe sensazioni con la ridda di informazioni e suggerimenti che la mia amica annotava sulla mappa stropicciata presa in albergo, facendomi dire "Bene: a domani, Amburgo".
"Domani" c'era il sole, ma faceva anche freddo.
Ero da sola, ma ero anche in compagnia dei miei pensieri.
Volevo esserlo, in fin dei conti: dalla compagnia dei propri pensieri è impossibile fuggire, quindi tanto vale imparare a sentirsici a proprio agio. Io, questo, in realtà l'ho imparato piuttosto presto. E' stato assai più tardi, invece, che ho imparato che il confine fra sentirsi a proprio agio e finirci intrappolati, indulgentemente, pigramente, è spesso troppo sottile. Mantenere nella maniera più equa, più costante possibile l'equilibrio fra pensare e vivere, quindi, lo sto ancora imparando.
E allora, mentre giravo fra quelle strade senza capire se era la luce del sole che curiosamente le rendeva meno belle, o se erano soltanto i miei occhi, pensavo.
Pensavo che, a volte, pensare è inutile.
Pensavo che avrei preferito avere qualcos'altro che dei pensieri. Ma avevo solo quelli. E avevo Amburgo.
Quindi l'ho girata senza sosta, come spesso mi capita di fare quando sono da sola: fermarmi mi sembra sempre uno spreco quando c'è tutto un mondo da scoprire, quando quello che potrei vedere se continuo ad andare avanti potrebbe essere, chissà, la cosa più bella che mi sia mai capitata. E' una fame un po' infantile di vita, questa che mi prende in maniera quasi ossessiva quando sono da sola: una fame di conoscere, di provare, di vedere. Forse, anche, una fame di non pensare.
E, magari, anche fame di vedere segni.
Trovare qualcosa che mi parli, qualcosa che possa amare, fra le strade, le piazze di Amburgo sarebbe stato un buon auspicio - un buon oroscopo.
Sono superstiziosa, a modo mio: ho i miei personalissimi rituali ed oracoli - e ovviamente a me i gatti neri che attraversano la strada portano fortuna. E sono talmente, esageratamente razionale da credere al sesto senso.
Ma nella città anseatica tutto questo non l'ho trovato.
Amburgo è bella, Amburgo è interessante, ha tanto da dire - ma a me non l'ha detto, non è scattata la scintilla.
Un'altra cosa che mi capita con le città, oltre che con le persone.
Ci siamo percorse in silenzio, le ho scattato delle foto in cui lei sorrideva, ma era un sorriso tirato, senza calore.
Aveva angoli che mi ricordavano quelli di altre città: qualcosa di Copenaghen, di Stoccolma, persino di Gloucester e Liverpool. Qualcosa preso dai loro volti più efficienti e dinamici, quelli più moderni ed essenziali: qualcosa dalle linee pulite e sobrie, con una sua bellezza, una sua armonia - che parla al mio cervello, ma non al mio cuore.
La piazza del Rathaus oggi è invasa da bambini e bolle di sapone - e, guardando verso l'alto, verso il ricco profilo neorinascimentale della torre del municipio, c'è questa mescolanza quasi sfacciata fra l'azzurro glorioso del cielo, le tinte ocra e verde rame dell'edificio, i moncherini neri degli alberi e le curve iridescenti delle bolle.
Sembra quasi un inno alla gioia, alla vitalità incipiente della primavera che si sente tutto intorno - anche se fa freddo.
Anche se io penso. E pensare, a volte, mi inibisce la capacità di sentire.
Ci sono tizi travestiti da conigli pasquali al volante di BMW che procedono lentamente imbottigliati nel traffico del sabato pomeriggio in centro: la musica a palla suona come qualche canzoncina tradizionale - e io mi son dimenticata di chiedere a Jenny se questi conigli in berline di lusso avessero qualche scopo benefico, pubblicitario o solo masochistico.
Il cuore di Amburgo è lo Speicherstadt, la "Città dei Magazzini", centro nevralgico per le attività mercantili della Lega Anseatica - oggi occupato da musei e (pochi) ristoranti.
I suoi edifici alti ed austeri di arenaria rossa costeggiano un labirinto di canali verdognoli, attraversati da ponti e scale.
Come tutti i labirinti, è bello perdersi a girarli - perché non sai mai cosa potrai trovare svoltando un angolo, sbucando dietro un cupo muro rosso.
A volte è solo uno scorcio, un punto di vista diverso.
Altre volte è un minuscolo stralcio di quello che avresti voluto trovare.
E' piccolo, ma te lo godi tenendolo nel palmo di una mano, guardandolo come un bonsai di tutto quello che ti piace.
Il parco Planten und Bloemen ha un nome olandese.
Jenny non sa perché, e Wikipedia neppure. Credo centri la cara vecchia Lega Anseatica, tanto per cambiare: Amsterdam, in fondo, non è poi tanto distante.
Entrarci, dopo una lunga camminata costeggiando il porto, gratificante solo per il luccichio dell'acqua altrettanto, scandalosamente, azzurra quanto il cielo, è come piombare all'improvviso in un reame incantato.
C'è questo idillio verdissimo tappezzato di crochi bianchi e viola, che scivola lento e delicato verso l'acqua, scura ma trasparente.
Non ci sono panchine, e mi siedo qui, per terra, a mangiare un panino quando ormai è quasi ora di merenda. Sono stanca per il mio camminare senza sosta, ed ho le spalle tese per il peso della borsa. Rimarrei qua a lungo, ma come sempre non riesco a rimanere ferma.
Il resto del parco è più pragmatico, meno idilliaco, ma sempre curato e verde.
La serra botanica è piuttosto piccola e semplice, e il mio piumino non rappresenta l'abbigliamento adatto per girarla con calma senza trovare soffocante la sua umidità.
Esco, e all'estremità opposta del parco mi siedo di nuovo.
Sono alla fine del mio itinerario di oggi. Ho rispettato la mia tabella di marcia.
Ho stancato un po' anche i miei pensieri, oltre che le mie gambe, e resto a guardare i mosaici e le aiuole del parco inondate dalla luce dorata del tramonto.
Non può essere sempre tutto perfetto, non ci si può innamorare perdutamente ogni volta, restare senza fiato, trovare quello che si cerca, avere quello che si vuole.
Però, mentre lo racconto, il ricordo di Amburgo mi suona più dolce, più intenso di come, forse, era la sua aria mentre la respiravo...
Sono qui che penso a come raccontarvi di Amburgo, e non lo so. Potrei semplicemente cassarla dicendo che non mi ha entusiasmata - eppur...
Alla ricerca di qualcosa ad Amburgo...
Sono qui che penso a come raccontarvi di Amburgo, e non lo so.
Potrei semplicemente cassarla dicendo che non mi ha entusiasmata - eppure in qualche modo mi sembrerebbe ingiusto.
Mi faccio i sensi di colpa anche nei confronti delle città, non solo delle persone. E dire che pensavo di essere migliorata...
Non è che non sia bella Amburgo - il primo giorno l'ho girata in compagnia di Jenny ed ero concentrata sulle nostre chiacchiere: la sbirciavo con la coda dell'occhio, curiosa di particolari, adocchiando qua e là i monumenti resi fosforescenti, un po' alieni dall'illuminazione notturna, i chiaroscuri delle strade buie, e, come primo, parco assaggio, mi pareva promettente, mi faceva mescolare queste prime, vaghe sensazioni con la ridda di informazioni e suggerimenti che la mia amica annotava sulla mappa stropicciata presa in albergo, facendomi dire "Bene: a domani, Amburgo".
"Domani" c'era il sole, ma faceva anche freddo.
Ero da sola, ma ero anche in compagnia dei miei pensieri.
Volevo esserlo, in fin dei conti: dalla compagnia dei propri pensieri è impossibile fuggire, quindi tanto vale imparare a sentirsici a proprio agio. Io, questo, in realtà l'ho imparato piuttosto presto. E' stato assai più tardi, invece, che ho imparato che il confine fra sentirsi a proprio agio e finirci intrappolati, indulgentemente, pigramente, è spesso troppo sottile. Mantenere nella maniera più equa, più costante possibile l'equilibrio fra pensare e vivere, quindi, lo sto ancora imparando.
E allora, mentre giravo fra quelle strade senza capire se era la luce del sole che curiosamente le rendeva meno belle, o se erano soltanto i miei occhi, pensavo.
Pensavo che, a volte, pensare è inutile.
Pensavo che avrei preferito avere qualcos'altro che dei pensieri. Ma avevo solo quelli. E avevo Amburgo.
Quindi l'ho girata senza sosta, come spesso mi capita di fare quando sono da sola: fermarmi mi sembra sempre uno spreco quando c'è tutto un mondo da scoprire, quando quello che potrei vedere se continuo ad andare avanti potrebbe essere, chissà, la cosa più bella che mi sia mai capitata. E' una fame un po' infantile di vita, questa che mi prende in maniera quasi ossessiva quando sono da sola: una fame di conoscere, di provare, di vedere. Forse, anche, una fame di non pensare.
E, magari, anche fame di vedere segni.
Trovare qualcosa che mi parli, qualcosa che possa amare, fra le strade, le piazze di Amburgo sarebbe stato un buon auspicio - un buon oroscopo.
Sono superstiziosa, a modo mio: ho i miei personalissimi rituali ed oracoli - e ovviamente a me i gatti neri che attraversano la strada portano fortuna. E sono talmente, esageratamente razionale da credere al sesto senso.
Ma nella città anseatica tutto questo non l'ho trovato.
Amburgo è bella, Amburgo è interessante, ha tanto da dire - ma a me non l'ha detto, non è scattata la scintilla.
Un'altra cosa che mi capita con le città, oltre che con le persone.
Ci siamo percorse in silenzio, le ho scattato delle foto in cui lei sorrideva, ma era un sorriso tirato, senza calore.
Aveva angoli che mi ricordavano quelli di altre città: qualcosa di Copenaghen, di Stoccolma, persino di Gloucester e Liverpool. Qualcosa preso dai loro volti più efficienti e dinamici, quelli più moderni ed essenziali: qualcosa dalle linee pulite e sobrie, con una sua bellezza, una sua armonia - che parla al mio cervello, ma non al mio cuore.
La piazza del Rathaus oggi è invasa da bambini e bolle di sapone - e, guardando verso l'alto, verso il ricco profilo neorinascimentale della torre del municipio, c'è questa mescolanza quasi sfacciata fra l'azzurro glorioso del cielo, le tinte ocra e verde rame dell'edificio, i moncherini neri degli alberi e le curve iridescenti delle bolle.
Sembra quasi un inno alla gioia, alla vitalità incipiente della primavera che si sente tutto intorno - anche se fa freddo.
Anche se io penso. E pensare, a volte, mi inibisce la capacità di sentire.
Ci sono tizi travestiti da conigli pasquali al volante di BMW che procedono lentamente imbottigliati nel traffico del sabato pomeriggio in centro: la musica a palla suona come qualche canzoncina tradizionale - e io mi son dimenticata di chiedere a Jenny se questi conigli in berline di lusso avessero qualche scopo benefico, pubblicitario o solo masochistico.
Il cuore di Amburgo è lo Speicherstadt, la "Città dei Magazzini", centro nevralgico per le attività mercantili della Lega Anseatica - oggi occupato da musei e (pochi) ristoranti.
I suoi edifici alti ed austeri di arenaria rossa costeggiano un labirinto di canali verdognoli, attraversati da ponti e scale.
Come tutti i labirinti, è bello perdersi a girarli - perché non sai mai cosa potrai trovare svoltando un angolo, sbucando dietro un cupo muro rosso.
A volte è solo uno scorcio, un punto di vista diverso.
Altre volte è un minuscolo stralcio di quello che avresti voluto trovare.
E' piccolo, ma te lo godi tenendolo nel palmo di una mano, guardandolo come un bonsai di tutto quello che ti piace.
Il parco Planten und Bloemen ha un nome olandese.
Jenny non sa perché, e Wikipedia neppure. Credo centri la cara vecchia Lega Anseatica, tanto per cambiare: Amsterdam, in fondo, non è poi tanto distante.
Entrarci, dopo una lunga camminata costeggiando il porto, gratificante solo per il luccichio dell'acqua altrettanto, scandalosamente, azzurra quanto il cielo, è come piombare all'improvviso in un reame incantato.
C'è questo idillio verdissimo tappezzato di crochi bianchi e viola, che scivola lento e delicato verso l'acqua, scura ma trasparente.
Non ci sono panchine, e mi siedo qui, per terra, a mangiare un panino quando ormai è quasi ora di merenda. Sono stanca per il mio camminare senza sosta, ed ho le spalle tese per il peso della borsa. Rimarrei qua a lungo, ma come sempre non riesco a rimanere ferma.
Il resto del parco è più pragmatico, meno idilliaco, ma sempre curato e verde.
La serra botanica è piuttosto piccola e semplice, e il mio piumino non rappresenta l'abbigliamento adatto per girarla con calma senza trovare soffocante la sua umidità.
Esco, e all'estremità opposta del parco mi siedo di nuovo.
Sono alla fine del mio itinerario di oggi. Ho rispettato la mia tabella di marcia.
Ho stancato un po' anche i miei pensieri, oltre che le mie gambe, e resto a guardare i mosaici e le aiuole del parco inondate dalla luce dorata del tramonto.
Non può essere sempre tutto perfetto, non ci si può innamorare perdutamente ogni volta, restare senza fiato, trovare quello che si cerca, avere quello che si vuole.
Però, mentre lo racconto, il ricordo di Amburgo mi suona più dolce, più intenso di come, forse, era la sua aria mentre la respiravo...
About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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Bellissimo post <3
RispondiEliminaMagari sì, tutte le città ci parlano ma è tanto importante anche quando lo fanno oltre che come. Sono convinta che tanti dei luoghi che non mi hanno entusiasmato anni fa mi parlerebbero in modo differente ora che ho una testa e pensieri diversi. Certo è che non sempre ci si innamora e forse va bene così :) (Amburgo non aveva entusiasmato neanche me).
Grazie :)
EliminaChissà, magari in futuro potrò dare un'altra chance ad Amburgo. Oppure, semplicemente, funziona come con le persone: non si può essere amati da tutti.
Ma del resto meglio così: ognuno di noi ha i suoi posti speciali, e se tutto diventa speciale, allora nulla lo è veramente...
Eh già, è come con le persone, alcune sono obiettivamente apprezzabili ma personalmente non scatta l'attrazione, almeno in quel momento o magari non scatterà mai... ad ognuno i suoi angoli speciali!
RispondiEliminaGià... del resto non si può piacere a tutti ;)
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