Sono viaggi che ti fanno scoprire qualcosa - magari ti danno delle risposte, magari le danno a domande che non sapevi nemmeno di avere.
Sono viaggi che continui a ricordare, perché quello che ti danno lo porti sempre con te - ed è sempre mescolato, connesso, intersecato con l'anima del luogo che hai visitato, con quella strana alchimia che era presente nell'aria, nell'atmosfera, nelle circostanze di quel posto che è riuscita ad innescare la reazione chimica di quel particolare incantesimo.
A Barcellona ci sono andata, era il 2006, anche se non ero particolarmente convinta.
Io - che sono da paesini medioevali, da rovine di chiese gotiche in cima ad un dirupo, da sale da tè con le tovaglie di pizzo... cosa ci andavo a fare in questa capitale della movida, in questa vivacità mediterranea?
E invece, a volte, è proprio di qualcosa di radicalmente opposto da noi che abbiamo bisogno - uscire dagli schemi, esplorare qualcosa di nuovo, metterti in gioco fuori dalla tua comfort zone. E scoprire con stupore che, magari, ti ci senti sorprendentemente a tuo agio...
Di Barcellona mi ricordo che avevamo perso il volo in connessione da Monaco - 10 anni fa non c'era ancora il volo diretto da Torino, e nemmeno l'autobus che ci collegava con Malpensa.
Mi ricordo che avevo sbuffato, parecchio irritata da questo - perché significava arrivare nel tardo pomeriggio anziché subito dopo pranzo, e questo, in altre città, avrebbe sostanzialmente significato perdere completamente una giornata delle tre che avevamo a disposizione.
Mi ricordo che qualcuno mi aveva detto "Ma a Barcellona la vita comincia dopo il tramonto" - e mi ricordo che avevo pensato "Sì, ma non fa per me".
Ma soprattutto mi ricordo, che non appena avevamo svoltato l'angolo della stradina laterale in cui si trovava il nostro albergo, e ci eravamo tuffati nelle Ramblas - in quel vitale e sorprendente fiume di colori, gente, musica ed energia che sono le Ramblas, questo mio pensiero era immediatamente evaporato.
Perché mi ricordo che, in quel periodo in cui ero partita per Barcellona, con poche aspettative e solo un po' di voglia di scappare, pensavo troppo - come spesso mi accade.
Gli ingranaggi del mio cervello erano surriscaldati, erano fuori controllo: avevano superato il numero massimo di giri consentito, e, quando questo succede, io vado in loop - mi blocco, come un automa in corto circuito. Penso, penso, penso - e non faccio, non riesco a fare, sto ferma.
Ora lo so qual è l'antidoto in questi casi: parto, sposto il focus, vado in un posto che disorienti i miei schemi mentali, che rompa le righe, che distragga la guardia di piantone. Possibilmente un posto che abbia il mare e che abbia i colori - come Barcellona dieci anni fa.
Mercato della Boqueria |
Mentre camminavo per le Ramblas, tutto il cigolio meccanico del mio cervello si era quietato. Forse perché per le Ramblas io non stavo camminando - stavo un po'... danzando magari. O scivolando, come se mi stessi lasciando trasportare da un'altra energia - un'energia che non mi appartiene, ma che è calda, bella.
Mentre camminavo per le Ramblas, fra giocolieri, bancarelle, persone di tutte le età a passeggio, musica, vino, non pensavo più "Questo non fa per me". Non stavo proprio pensando se questo facesse o meno per me - ero semplicemente viva, contenta di essere lì, di essere lì in quel preciso momento.
Di quella prima sera a Barcellona mi ricordo che abbiamo cenato a mezzanotte, con qualche tapas al porto.
Se mi avessero detto anche questo, solo poche ore prima, sull'aereo, avrei di nuovo commentato "Non fa per me" - ma ancora non sapevo.
Ancora non conoscevo Barcellona.
Non conoscevo il suo sorriso, il suo abbraccio caloroso e il modo bellissimo e spontaneo che ha di accoglierti - offrendoti qualcosa che sì, in apparenza è diversissimo da te, dalle tue abitudini, dai tuoi schemi, eppure che riesce immediatamente a farti sentire a tuo agio.
Le tapas con cui abbiamo cenato non erano granché. Ma di fronte a noi c'era il mare, una distesa di velluto buio su cui tremolavano le stelle, che con la sua brezza ci accarezzava le guance accaldate e felici - e allora mi sono resa conto che per parecchie ore ero riuscita a spegnere i pensieri.
Mi sono resa conto che Barcellona mi aveva guardata negli occhi, e aveva visto una parte di me che nemmeno io conoscevo ancora - e, con un sorriso, aveva deciso di prendermi per mano e farmela scoprire.
Parco Guell |
Barcellona ha una parte giocosa e visionaria che si è espressa incarnandosi nelle architetture inventate dal genio folle e sublime di uno dei suoi figli più celebri - Antoni Gaudì.
Ma è come se questa visione, innovativa, quasi onirica, più che appartenere alla mente del geniale architetto, appartenesse al suo essere figlio di questa città, di questa terra.
E' come se le linee fantasiose, i mosaici di colore di Casa Battlò e del Parco Guell spuntassero direttamente dalla terra che li ospita, come se fossero una sua emanazione - come se fossero strani alberi radicati nel cuore di Barcellona.
Parco Guell |
Sembrano usciti da una fiaba - o da un sogno.
Oppure da un reame sottomarino.
Sembrano fatte di sabbia, o di panpepato, di conchiglie e coralli.
C'è dentro il Mediterraneo. C'è dentro l'energia spontanea, fresca di Barcellona.
C'è dentro una visione onirica - la potenza creativa irrefrenabile e gioiosa che tutti noi abbiamo da bambini, e che poi perdiamo per strada.
Forse perché pensiamo troppo.
E allora anche le forme di Gaudì sono un invito all'uscire dagli schemi, al lasciarsi andare, al lasciarsi trasportare dal momento.
Creare senza farsi domande, scrivere di getto, buttare fuori ciò che si ha dentro e farlo diventare bellissimo...
Casa Battlò |
E poi Barcellona si è fermata un attimo.
Mi ha preso la mano e il suo sorriso, da gioioso, entusiasta, è diventato più malinconico, velato - il sorriso di chi sta per svelarti un segreto.
Camminando per i vicoli antichi e tortuosi del Barrio Gotico ho capito.
Ho capito perché io e Barcellona abbiamo saputo intenderci al primo sguardo, perché lei ha saputo conquistarmi immediatamente, senza remore, pur essendo così diverse - perché, in realtà, non è vero che siamo poi così diverse...
Il cuore di Barcellona è uguale al mio.
E' fatto di chiaroscuri, di spazi ristretti dove si lasciano passare poche persone per volta, di cortili segreti, di ombre che si allungano e che dipingono di significati diversi tutto ciò che le circonda.
Di storie incise nella pietra - storie che non si urlano, si rivelano per immagini, per metafore. Storie che sono lì per chi ha voglia di leggerle, per chi ha voglia di provare a capirle.
Ma, anche se hai un cuore malinconico, se hai ombre e segreti, non significa che fuori tu non possa tramutarti in energia colorata, in musica vivace, in creatività spontanea.
Proprio come Barcellona sa fare.
Mi ricordo anche la data esatta di quando ho conosciuto Barcellona.
Era il 23 aprile - festa di San Jordi, patrono della Catalunya.
Per San Jordi è tradizione regalare alle donne una rosa, similmente a quanto si fa a Venezia due giorni dopo per San Marco - e, agli uomini, un libro.
Regalano una rosa anche a me - e un po' protesto.
Che ingiustizia. Volevo un libro. No, non so il catalano, e nemmeno il castigliano, ma che importa.
Volevo un libro.
Le rose sono bellissime, ma sfioriscono subito.
Il libro dura ben oltre la durata delle sue pagine. Qualcosa te lo lascia sempre.
Come un viaggio.
Come questo viaggio...
E poi c'è l'incontro.
Il punto esatto di fusione fra le due anime di Barcellona - quella gotica, introversa, riflessiva, e quella variopinta, folle, festosa.
Il suo simbolo.
Ed è di nuovo lui, Antoni Gaudì.
E' il suo sogno più grande, più folle. Così grande che non è riuscito a vederlo finito. Così folle che ha finito per consumarlo, per portarlo, letteralmente, alla pazzia.
La Sagrada Familia, la cattedrale incompiuta.
Da lontano sembra un castello di sabbia, di quelli che si fanno lasciando colare la sabbia umida dal pugno chiuso goccia a goccia.
Oppure un castello marino fatto di stalagmiti e sormontato di coralli.
La facciata è così ricca di simboli e particolari da perdersi: potresti passarci delle ore ad osservarli tutti - o forse non ti basterebbe una vita intera.
Così come a Gaudì non è bastata una vita intera per sognarla, progettarla, costruirla.
Ma, forse, non importa.
Ci sono cose che vanno oltre una singola vita.
Larger than life...
Vale la pena impazzire per i propri sogni? Vale la pena morire?
Forse no - o forse sì.
Chi può dire, in realtà, cos'è veramente che ci fa impazzire e morire - se i nostri sogni o il fatto di non viverli.
E allora, nel dubbio, viviamoli.
Non ingabbiamoli in pensieri.
Buttiamoli fuori.
Cerchiamo la felicità dell'essere qui, dell'essere vivi ora.
Che sia un chiaroscuro gotico o una sferzata di colore...
Barcellona merita un altro incontro per scoprire aspetti non visti.
RispondiEliminaAlberto 7
Sì, decisamente
Eliminaadoro barcellona, tanto che dopo la gita di 5° liceo ci son ritornata altre due volte... ma non ci vivrei mai, troppo casino per me!
RispondiElimina...sì, penso anch'io ;)
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