O forse sento troppo.
Il mio cuore è imbottigliato, avvolto in strati ruvidi, e in altri troppo soffici, legato da spaghi ormai sfilacciati eppure resistenti come cavi metallici. Mi dico che è una misura di sicurezza. Che, a volte, se dovesse essere libero, sarebbe una creatura selvaggia, una specie di drago eruttante padrone di un fuoco che non sa controllare, che non sa scaldare ma solo distruggere. Ma penso anche che, forse, è così selvatico perché è sempre stato incatenato, non ha imparato a stare al mondo, a capire che le ombre si allungano verso sera, e che quelli che sembrano giganti in realtà sono soltanto nani. Però non so se potrei liberarlo: mi è arrivato in dotazione così, impacchettato e legato - forse sarebbe troppo fragile senza tutto il suo imballaggio.
Il mio cervello spesso prova a parlargli, ma lui non lo ascolta: gli dice "Sì, va bene" e poi continua a fare quel che gli pare.
Lo tiene al guinzaglio ma lui strattona, svolazza, si gonfia e trema. Lascia sfuggire zaffate di vapore calde e dolorose.
E poi implode, si accuccia rannicchiandosi su se stesso - e a volte vorrebbe piangere: non perché sia davvero triste, ma solo per sfogarsi, per buttare fuori un po' di tutta questa cosa che ha dentro che ribolle, che non si quieta, stupida e strana, dolorosa e felice.
Quando il mio drago si sente così, inquieto per le fitte pulsanti delle ferite che si provoca da solo, tirando troppo le cinghie che lo recludono - io parto.
Prendo un treno - o una metropolitana, o semplicemente i miei piedi.
Devo muovermi - devo muoverlo, come si fa con un neonato quando piange troppo e non si sa perché.
Lo cullo, a volte, oppure lo scuoto, e spero si distragga.
Sestri Levante, qualche settimana fa, è stata la meta in cui ho portato a spasso il mio drago.
C'era il mare - mi sono detta.
Il mare è sempre un buon posto per distrarlo. Al mare lui vola.
Gli piace il blu, gli piace lasciarselo scivolare dentro, pian piano, in silenzio - perché una volta che si è fatto riempire da tutto quel mare e quel cielo tutto il resto si perde, si sfuma, va in apnea.
Il mare sfila in lontananza sui finestrini del treno da Genova - un'anteprima del suo blu rubata fra le gallerie ed i tetti delle case, un'anteprima che è una premessa, che è una specie di magia per chi, come me, lo vede poco, e, forse per questo, riesce ancora a stupirsi ogni volta del suo mistero, del suo incanto.
Il mare a Sestri Levante è accolto nell'abbraccio di due culle: la prima è la Baia del Silenzio, uno scrigno di cose belle, di barche in legno, di spiaggia sabbiosa, di case color pastello che si accoccola nell'entroterra per aprirsi di slancio verso il Golfo del Tigullio, costeggiando il promontorio di Portofino, verso il blu dove il mio drago vola.
Non so perché si chiami "del Silenzio" - il silenzio qui non c'è, naturalmente. E' domenica mattina e ci sono voci, ci sono bambini che corrono, ci sono anziani che chiacchierano, c'è la carezza del mare sulla risacca.
Non lo so - però forse mi piacerebbe rimanere qui in silenzio, senza parlare, senza bisogno di dire parole che spieghino perché il mio drago è ferito, o di altre parole per cercare di distrarlo, di coprire le sue ferite sotto strati di cenere e di sorrisi che fingano che vada tutto bene, che non esistano. Vorrei stare qui in silenzio, a lasciarlo volare un po'.
Magari a lasciarlo anche piangere, se ne sente il bisogno - senza dovergli dire che non è il caso, che non può piangere per così poco.
Per niente.
Per tutto...
La Baia delle Favole è la seconda culla del mare a Sestri.
L'ha battezzata così Enzo Tortora, per ricordare il legame della città con Hans Christian Handersen, che l'amava particolarmente.
E' più ampia, più che una culla è un letto, e il mare lo accoglie con le braccia spalancate.
La si costeggia con una passeggiata che è come una passerella, dove sei tu a muoverti e la baia a sfilare, a farsi ammirare nel suo incanto.
Le due culle sono separate da un promontorio - ed è lì che il mio drago ad un certo punto vuole salire.
Per lanciarsi in volo più lontano, forse; per avere ancora più blu, quello del cielo oltre a quello del mare, con cui sfamarsi.
Sul promontorio si sale, si imboccano vicoli ripidi e sassosi - se ti fermi e ti giri, la vedi: la Baia del Silenzio - bellissima, ma lontana.
Nel frattempo il cielo si adombra: il blu si abbassa di tono in un cipiglio quasi plumbeo; ma il drago vi si tuffa lo stesso, nonostante questo grigio abbia lo stesso colore di ciò da cui per un po' voleva scappare.
Forse perché non ne vuole scappare veramente...
Questi vicoli mi ricordano i miei pensieri.
Scavano a fondo, percorrono strade complicate, che forse sarebbe meglio evitare. Sono faticosi, tortuosi - ma, a modo loro, sono anche belli.
Sono contenta di percorrerli, sono fiera di non fermarmi solo perché sembrano difficili.
Si incontra qualche rovina lungo il percorso, come quelle dell'oratorio di Santa Caterina, moncherini nudi di un edificio del XIV secolo mutilato dai bombardamenti del 1944; ma si incontra anche una chiesa medievale completamente integra, quella di San Nicolò dell'Isola, che in epoca barocca si era nascosta sotto altri strati per potersi conformare ai diktat di stile del tempo e poter sopravvivere - finché un restauro avvenuto durante i primi del '900 le ha consentito di tornare ad essere se stessa.
Si incontrano gatti. Neri, ovviamente.
E si incontrano cose che sono come sale sulle ferite del drago. Oppure materializzazioni del suo canto.
Scritte che parlano di distanze incolmabili. Fisiche. Mentali.
Di sogni stupidi. Di desideri ingiusti, insensati.
Porte che rimangono chiuse. Campane che suonano in lontananza, per qualcun altro, non per te.
Nuvole che cambiano forma rapidamente, e che ti fan capire che quello che hai voluto vederci era solo una tua prospettiva, solo un'ombra che sparisce quando il sole non c'è. Solo qualcosa che avevi bisogno di vedere.
Il drago si tuffa nel grigio, e allora capisco perché sia una creatura magica.
Perché bisogna sempre ascoltarlo.
Anche quando è in gabbia, non sa mentire.
Quel che dice è sempre vero. E' la tua verità.
E, anche se preferisci non ascoltarla, continuerai sempre a trovartela tutto intorno...
"...because, no matter where you'll run,
you'll always end up running into yourself..."
(Truman Capote)
Ognuno ha il suo drago che vola alto o basso a seconda delle condizioni dell'anima... Mi vengono in mente dei versi, letti chissa` dove, che dicevano: "Seduto sullo scoglio dell'attesa, ascolto le parole del mio mare"... Anche se il silenzio ci circonda, dobbiamo imparare ad ascoltare le parole del nostro mare perche` ci aiutano a capire noi stessi. Un abbraccio...Ginger Cat
RispondiElimina*hugs back*!!
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