luglio 02, 2018
Per una volta, cominciamo una storia dalla fine.
E' il mio ultimo giorno a Santorini, e, quando stai per andartene, non ti resta molto altro da fare se non rimanere sulla sua spiaggia nera.
A Santorini tutte le spiagge sono nere; ma quella che viene chiamata così è una sola: è più nera delle altre, e le fa apparire di un nero sbiadito - o forse soltanto di una sfumatura di grigio particolarmente cupa. La sabbia nera non è sabbia: sono briciole di vulcano - che col sole diventano bollenti e che incupiscono anche il mare blu, che diventa subito profondo e torbido già a pochi passi dalla riva.
A Santorini c'è sempre il vento: un refolo costante che ti accompagna come un respiro, a tratti più impetuoso, affannato, da trasportare via asciugamani e segnalibri appoggiati sui lettini. Se tace è solo per pochi attimi - e subito ti sembra un sollievo, ma dopo pochissimo già ti manca, perché ti accorgi immediatamente di come batte e morde il sole quando lui non c'è.
Quando un giorno è un ultimo giorno, è fatto di lentezza: è fatto di cose che si vedranno e che si faranno per l'ultima volta, e che si cerca di assaporare, di cullare - quasi come se fosse a loro che dispiace lasciar andare via noi, e non viceversa.
E' un saluto ad una quotidianità, una quotidianità che è stata nostra per un tempo breve ma diverso - un capitolo alternativo, una parentesi tonda come un respiro trattenuto e lasciato andare, uno spazio differente in cui abbiamo potuto essere differenti, per un po'.
E i saluti alla quotidianità, quando sono definitivi, si trasformano sempre in omaggi: la quotidianità per un giorno diventa regina, i suoi dettagli da scontati si fanno preziosi.
Il lungomare di Perissa è lungo e sarebbe una distesa infinita di briciole di vulcano e di mare a tinte forti; ma viene diversificato dai tanti locali, ristoranti ed alberghi che sorgono uno accanto all'altro, punteggiandolo come tante pietre miliari colorate.
Alternativi, vegani, variopinti, tradizionali, minimal, classici un po' antiquati, pacchiani con le cariatidi di cartapesta all'ingresso e le serate sirtaki, oppure turistico-trash con le foto sbiadite avviluppate nella plastica trasparente - ciò che li accomuna è l'uso intensivo ed invasivo del direct marketing, andando ad arpionare i turisti che passeggiano e proponendo invariabilmente la miglior cucina dell'isola.
Dal Manuale di Autodifesa del Viaggiatore Introverso: "Ignorarli non sempre funziona, perché alcuni di loro vorranno sapere perché li stai ignorando. Si suggerisce di girare con un cartello appeso al collo con su scritto: - Grazie, ho già mangiato e già bevuto -.
Per principio, e per fare qualcosa, nel proprio piccolo, per scoraggiare questa violazione di privacy, scegliere sempre quei pochi, rari locali che non la applicano. Ricordiamo infatti che l'assioma inverso del marketing è spesso vero: chi più ha meriti meno ha bisogno di pubblicità".
A Santorini la gente urla. Come se fosse sempre arrabbiata. O come se non si sentisse capita.
E io penso che, forse, in effetti, non l'ho capita molto, Santorini.
Ma, oggi che sto per lasciarla, credo un po' di più.
Santorini è come chi ha un dono e lo trascura - lascia che si accumuli la polvere, che crescano le erbacce, che si crepino i muri.
Capelli spettinate, scarpe sformate: aria un po' apatica, di chi si cura poco perché gli importa poco.
Gatti magri, alcuni macilenti. Altri più sornioni, in forma quel tanto che basta.
Camminano con la loro grazia indolente sui terrazzi bianchi di Oia, si stagliano contro il blu accecante del mare come se si stessero mettendo in posa.
C'è un gatto rosso che vive nella pineta vicino al nostro hotel.
Tutte le mattine gli portavamo il prosciutto della colazione, che divorava famelico.
Un giorno gli abbiamo comprato dei croccantini in un negozietto sul lungomare. Li ha annusati e se n'è andato.
Forse sono davvero un gatto anche io.
Mi affeziono ai luoghi, più di qualunque altra cosa - ma me ne rendo conto solo quando me ne devo andare.
La spiaggia di Perissa finisce con una montagna.
E' come una cortina di roccia che separa due mondi - come certi muri che la Storia ha costruito.
Di là c'è Kamari: per arrivarci via terra il percorso è lungo, può anche durare un'ora, se si prende l'autobus, cambiando a Thira; se si arriva via mare potrebbero bastare poche bracciate, per chi sa nuotare.
Posti vicini eppure lontani, come accade a volte alle persone.
Dipende che via si sceglie. Dipende che via si può scegliere.
Il lungomare di Kamari è modaiolo e curato - eppure ha la stessa sabbia nera di Perissa, lo stesso suo stuolo di ristoranti che offrono polpo e moussaka, tramite direct marketing invasivo.
Ma a Santorini tutte le spiagge sono nere.
Eppure ce n'è una che si fa chiamare Red Beach.
La roccia lavica qui ha bagliori infuocati, come se stesse ancora bruciando. La spiaggia è una lingua stretta, appoggiata ad una parete a picco cupa e bellissima. Una specie di gigante, di cavaliere oscuro che ha deciso di fermarsi a guardare il mare.
E il mare qui è più trasparente, più sfumato di turchese verdastro rispetto alle altre parti dell'isola.
Come se sapesse di essere guardato e volesse mostrarsi.
Alle spalle del cavaliere oscuro, sotto spessi strati che il tempo stava facendo dimenticare, ci sono gli scavi archeologici di Akrotiri, che stanno riportando alla luce una città micenea.
Santorini un tempo era un'isola tondeggiante - poi un vulcano l'ha fatta sprofondare, vomitando palate di lava vischiosa che l'han resa ciò che è oggi: uno spicchio nero a mezzaluna, aguzzo, frastagliato e a picco come la schiena di un drago.
Per questo si pensa che fosse Santorini il luogo che Platone aveva descritto come Atlantide.
La vecchia bocca del vulcano, Palea Kameni, oggi è un minuscolo isolotto roccioso contornato di acque sulfuree calde, dal colore brunastro, in cui bisogna immergersi senza gioielli addosso perché sono in grado di corrodere i metalli nobili.
La nuova bocca del vulcano, Nea Kameni, è un po' più grande, a metà strada fra la vecchia e l'isola principale.
E' un drago tranquillo ma ancora sveglio, e questo fa sì che spesso a Santorini la terra tremi.
Ne è testimonianza il villaggio fantasma di Mesa Gonia - quasi completamente raso al suolo da un terremoto negli anni '50 e oggi casa di più gatti randagi che di persone.
L'aeroporto di Santorini è minuscolo: si fa la coda fuori per fare il check-in.
Dentro c'è solo un negozietto di duty free, un bagno con la porta rotta e poche sedie.
L'aereo decolla e dall'alto si vede meglio ciò che finora ho sempre solo visto dal basso - o meglio, che ho visto standoci dentro.
Le cose dall'alto si vedono sempre meglio - forse per questo è bene farlo quando le si saluta.
La mezzaluna irregolare della Caldera sembra protendersi verso i suoi due resti vulcanici, quasi avvolgendoli - o quasi protendendosi verso di loro con la punta sporgente di Thira, come se non volesse lasciarli andare.
Nonostante l'abbiano quasi distrutta.
O, forse, fatta rinascere sotto altra forma.
E' lo stesso panorama che si vedeva dal finestrino del pullman, andando da Perissa verso Thira, ma ancora più in alto: le strade tortuose, con sotto lo strapiombo di roccia nera, il nugolo di case bianche, come funghi, in lontananza, il blu cupo del mare che si confonde con quello del cielo, e, ancora oltre, le sagome rarefatte delle isole minori.
Il trasporto pubblico a Santorini converge tutto su Thira.
Grossi autobus granturismo, più o meno nuovi, che nelle ore di punta non hanno posti a sedere sufficienti per tutti quelli che li devono prendere, fanno la spola incessantemente fra il centro nevralgico dell'isola e le altre sue località.
I biglietti si possono acquistare soltanto a bordo e sono sganciati da bigliettai un po' burberi, che, miracolosamente, riescono a sgusciare e a districarsi anche in mezzo ai passeggeri in piedi.
Thira è una e trina - perché congloba in sé anche i paesi di Imerovigli e Firostefani, che si raggiungono in soluzione di continuità, senza nemmeno accorgersene, passeggiando lungo un camminamento terrazzato a picco sul blu intenso del mare.
Thira pullula di gioiellerie: sono una di fronte all'altra - e i loro proprietari adottano la stessa tecnica di direct marketing invasivo dei ristoratori.
Thira ha, poi, un precipizio a zig-zag per scendere al porto: è la stretta corsia riservata per i primi taxi dell'isola - gli asini.
Ce ne sono a decine, agghindati a festa con selle e pennacchi carnevaleschi, guidati da mandriani dai modi spicci, cavalcati da turisti giapponesi che mandano gridolini di finto terrore o da americani che si sentono un po' cowboy.
Gli zoccoli degli asini faticano e scivolano sul selciato liscio, e galoppano sbandando contro le pareti di roccia, noncuranti se in mezzo ci sia un ostacolo vivente.
Esiste anche una funicolare che gli fa concorrenza: il prezzo del biglietto è lo stesso, ma il 20% dei suoi incassi vanno ai mandriani. Agli asini suppongo di no.
Questa stessa discesa, fatta a piedi, sembra eterna - ma poi si arriva al porto.
Negozietti di souvenir nelle caverne scavate nella roccia, polpi appena pescati appesi al sole - mare trasparente nonostante il viavai di barche.
Una barca ci ha portati fino ad Oìa, ed è stata una decisione improvvisa, di pancia.
Oìa è l'icona - è quel che si trova sulle cartoline di Santorini.
Oìa è la selva di armonia casuale di casette bianche con i tetti blu, incastrate fra loro come un mosaico, intrecciate in un labirinto a più livelli di sentieri e di balconi, che nascondono ristoranti, localini, resort più o meno di lusso, a picco sul mare, sulle rocce nere.
Oìa è il tramonto.
E' la punta estrema occidentale dell'isola, ed è dove ogni sera il sole scivola dentro il mare facendolo arrossire.
Qui il tramonto è diventato un'attrazione turistica: frotte di persone lo attendono appollaiate sulle gradinate come se fossero in uno stadio, ad un concerto. E applaudono persino.
C'è la stessa folla che c'è a Venezia a Carnevale. O a Milano durante i saldi.
Forse sarebbe davvero speciale il tramonto di Santorini, ma le cose troppo inflazionate finiscono per sembrare svendute. Finiscono per sciupare la loro magia, come la polvere sulle ali delle farfalle quando vengono strofinate.
Anche adesso, mentre sono sull'aereo che è appena decollato, il sole sta tramontando.
Si china per baciare Oìa, e il suo abbraccio giunge fino a Perissa, all'estremo opposto della mezzaluna di roccia nera.
Siamo in alto, e sembra lontano. Non si distinguono i colori delle case, solo il loro profilo a bassa risoluzione.
E' il sole che muore, e, mentre se ne va, diventa più intenso, e regala la stessa intensità, accecante e bella come un significato, a ciò che sfiora.
Come spesso succede negli addii - come in questo mio a Santorini.
Perché quando si dice addio si riescono sempre a rivedere le cose dall'alto.
E a dar loro un significato...
Per una volta, cominciamo una storia dalla fine. E' il mio ultimo giorno a Santorini , e, quando stai per andartene, non ti resta mo...
Santorini e gli addii
Per una volta, cominciamo una storia dalla fine.
E' il mio ultimo giorno a Santorini, e, quando stai per andartene, non ti resta molto altro da fare se non rimanere sulla sua spiaggia nera.
A Santorini tutte le spiagge sono nere; ma quella che viene chiamata così è una sola: è più nera delle altre, e le fa apparire di un nero sbiadito - o forse soltanto di una sfumatura di grigio particolarmente cupa. La sabbia nera non è sabbia: sono briciole di vulcano - che col sole diventano bollenti e che incupiscono anche il mare blu, che diventa subito profondo e torbido già a pochi passi dalla riva.
A Santorini c'è sempre il vento: un refolo costante che ti accompagna come un respiro, a tratti più impetuoso, affannato, da trasportare via asciugamani e segnalibri appoggiati sui lettini. Se tace è solo per pochi attimi - e subito ti sembra un sollievo, ma dopo pochissimo già ti manca, perché ti accorgi immediatamente di come batte e morde il sole quando lui non c'è.
Quando un giorno è un ultimo giorno, è fatto di lentezza: è fatto di cose che si vedranno e che si faranno per l'ultima volta, e che si cerca di assaporare, di cullare - quasi come se fosse a loro che dispiace lasciar andare via noi, e non viceversa.
E' un saluto ad una quotidianità, una quotidianità che è stata nostra per un tempo breve ma diverso - un capitolo alternativo, una parentesi tonda come un respiro trattenuto e lasciato andare, uno spazio differente in cui abbiamo potuto essere differenti, per un po'.
E i saluti alla quotidianità, quando sono definitivi, si trasformano sempre in omaggi: la quotidianità per un giorno diventa regina, i suoi dettagli da scontati si fanno preziosi.
Il lungomare di Perissa è lungo e sarebbe una distesa infinita di briciole di vulcano e di mare a tinte forti; ma viene diversificato dai tanti locali, ristoranti ed alberghi che sorgono uno accanto all'altro, punteggiandolo come tante pietre miliari colorate.
Alternativi, vegani, variopinti, tradizionali, minimal, classici un po' antiquati, pacchiani con le cariatidi di cartapesta all'ingresso e le serate sirtaki, oppure turistico-trash con le foto sbiadite avviluppate nella plastica trasparente - ciò che li accomuna è l'uso intensivo ed invasivo del direct marketing, andando ad arpionare i turisti che passeggiano e proponendo invariabilmente la miglior cucina dell'isola.
Dal Manuale di Autodifesa del Viaggiatore Introverso: "Ignorarli non sempre funziona, perché alcuni di loro vorranno sapere perché li stai ignorando. Si suggerisce di girare con un cartello appeso al collo con su scritto: - Grazie, ho già mangiato e già bevuto -.
Per principio, e per fare qualcosa, nel proprio piccolo, per scoraggiare questa violazione di privacy, scegliere sempre quei pochi, rari locali che non la applicano. Ricordiamo infatti che l'assioma inverso del marketing è spesso vero: chi più ha meriti meno ha bisogno di pubblicità".
A Santorini la gente urla. Come se fosse sempre arrabbiata. O come se non si sentisse capita.
E io penso che, forse, in effetti, non l'ho capita molto, Santorini.
Ma, oggi che sto per lasciarla, credo un po' di più.
Santorini è come chi ha un dono e lo trascura - lascia che si accumuli la polvere, che crescano le erbacce, che si crepino i muri.
Capelli spettinate, scarpe sformate: aria un po' apatica, di chi si cura poco perché gli importa poco.
Gatti magri, alcuni macilenti. Altri più sornioni, in forma quel tanto che basta.
Camminano con la loro grazia indolente sui terrazzi bianchi di Oia, si stagliano contro il blu accecante del mare come se si stessero mettendo in posa.
C'è un gatto rosso che vive nella pineta vicino al nostro hotel.
Tutte le mattine gli portavamo il prosciutto della colazione, che divorava famelico.
Un giorno gli abbiamo comprato dei croccantini in un negozietto sul lungomare. Li ha annusati e se n'è andato.
Forse sono davvero un gatto anche io.
Mi affeziono ai luoghi, più di qualunque altra cosa - ma me ne rendo conto solo quando me ne devo andare.
La spiaggia di Perissa finisce con una montagna.
E' come una cortina di roccia che separa due mondi - come certi muri che la Storia ha costruito.
Di là c'è Kamari: per arrivarci via terra il percorso è lungo, può anche durare un'ora, se si prende l'autobus, cambiando a Thira; se si arriva via mare potrebbero bastare poche bracciate, per chi sa nuotare.
Posti vicini eppure lontani, come accade a volte alle persone.
Dipende che via si sceglie. Dipende che via si può scegliere.
Il lungomare di Kamari è modaiolo e curato - eppure ha la stessa sabbia nera di Perissa, lo stesso suo stuolo di ristoranti che offrono polpo e moussaka, tramite direct marketing invasivo.
Ma a Santorini tutte le spiagge sono nere.
Eppure ce n'è una che si fa chiamare Red Beach.
La roccia lavica qui ha bagliori infuocati, come se stesse ancora bruciando. La spiaggia è una lingua stretta, appoggiata ad una parete a picco cupa e bellissima. Una specie di gigante, di cavaliere oscuro che ha deciso di fermarsi a guardare il mare.
E il mare qui è più trasparente, più sfumato di turchese verdastro rispetto alle altre parti dell'isola.
Come se sapesse di essere guardato e volesse mostrarsi.
Alle spalle del cavaliere oscuro, sotto spessi strati che il tempo stava facendo dimenticare, ci sono gli scavi archeologici di Akrotiri, che stanno riportando alla luce una città micenea.
Santorini un tempo era un'isola tondeggiante - poi un vulcano l'ha fatta sprofondare, vomitando palate di lava vischiosa che l'han resa ciò che è oggi: uno spicchio nero a mezzaluna, aguzzo, frastagliato e a picco come la schiena di un drago.
Per questo si pensa che fosse Santorini il luogo che Platone aveva descritto come Atlantide.
La vecchia bocca del vulcano, Palea Kameni, oggi è un minuscolo isolotto roccioso contornato di acque sulfuree calde, dal colore brunastro, in cui bisogna immergersi senza gioielli addosso perché sono in grado di corrodere i metalli nobili.
La nuova bocca del vulcano, Nea Kameni, è un po' più grande, a metà strada fra la vecchia e l'isola principale.
E' un drago tranquillo ma ancora sveglio, e questo fa sì che spesso a Santorini la terra tremi.
Ne è testimonianza il villaggio fantasma di Mesa Gonia - quasi completamente raso al suolo da un terremoto negli anni '50 e oggi casa di più gatti randagi che di persone.
L'aeroporto di Santorini è minuscolo: si fa la coda fuori per fare il check-in.
Dentro c'è solo un negozietto di duty free, un bagno con la porta rotta e poche sedie.
L'aereo decolla e dall'alto si vede meglio ciò che finora ho sempre solo visto dal basso - o meglio, che ho visto standoci dentro.
Le cose dall'alto si vedono sempre meglio - forse per questo è bene farlo quando le si saluta.
La mezzaluna irregolare della Caldera sembra protendersi verso i suoi due resti vulcanici, quasi avvolgendoli - o quasi protendendosi verso di loro con la punta sporgente di Thira, come se non volesse lasciarli andare.
Nonostante l'abbiano quasi distrutta.
O, forse, fatta rinascere sotto altra forma.
E' lo stesso panorama che si vedeva dal finestrino del pullman, andando da Perissa verso Thira, ma ancora più in alto: le strade tortuose, con sotto lo strapiombo di roccia nera, il nugolo di case bianche, come funghi, in lontananza, il blu cupo del mare che si confonde con quello del cielo, e, ancora oltre, le sagome rarefatte delle isole minori.
Il trasporto pubblico a Santorini converge tutto su Thira.
Grossi autobus granturismo, più o meno nuovi, che nelle ore di punta non hanno posti a sedere sufficienti per tutti quelli che li devono prendere, fanno la spola incessantemente fra il centro nevralgico dell'isola e le altre sue località.
I biglietti si possono acquistare soltanto a bordo e sono sganciati da bigliettai un po' burberi, che, miracolosamente, riescono a sgusciare e a districarsi anche in mezzo ai passeggeri in piedi.
Thira è una e trina - perché congloba in sé anche i paesi di Imerovigli e Firostefani, che si raggiungono in soluzione di continuità, senza nemmeno accorgersene, passeggiando lungo un camminamento terrazzato a picco sul blu intenso del mare.
Thira pullula di gioiellerie: sono una di fronte all'altra - e i loro proprietari adottano la stessa tecnica di direct marketing invasivo dei ristoratori.
Thira ha, poi, un precipizio a zig-zag per scendere al porto: è la stretta corsia riservata per i primi taxi dell'isola - gli asini.
Ce ne sono a decine, agghindati a festa con selle e pennacchi carnevaleschi, guidati da mandriani dai modi spicci, cavalcati da turisti giapponesi che mandano gridolini di finto terrore o da americani che si sentono un po' cowboy.
Gli zoccoli degli asini faticano e scivolano sul selciato liscio, e galoppano sbandando contro le pareti di roccia, noncuranti se in mezzo ci sia un ostacolo vivente.
Esiste anche una funicolare che gli fa concorrenza: il prezzo del biglietto è lo stesso, ma il 20% dei suoi incassi vanno ai mandriani. Agli asini suppongo di no.
Questa stessa discesa, fatta a piedi, sembra eterna - ma poi si arriva al porto.
Negozietti di souvenir nelle caverne scavate nella roccia, polpi appena pescati appesi al sole - mare trasparente nonostante il viavai di barche.
Una barca ci ha portati fino ad Oìa, ed è stata una decisione improvvisa, di pancia.
Oìa è l'icona - è quel che si trova sulle cartoline di Santorini.
Oìa è la selva di armonia casuale di casette bianche con i tetti blu, incastrate fra loro come un mosaico, intrecciate in un labirinto a più livelli di sentieri e di balconi, che nascondono ristoranti, localini, resort più o meno di lusso, a picco sul mare, sulle rocce nere.
Oìa è il tramonto.
E' la punta estrema occidentale dell'isola, ed è dove ogni sera il sole scivola dentro il mare facendolo arrossire.
Qui il tramonto è diventato un'attrazione turistica: frotte di persone lo attendono appollaiate sulle gradinate come se fossero in uno stadio, ad un concerto. E applaudono persino.
C'è la stessa folla che c'è a Venezia a Carnevale. O a Milano durante i saldi.
Forse sarebbe davvero speciale il tramonto di Santorini, ma le cose troppo inflazionate finiscono per sembrare svendute. Finiscono per sciupare la loro magia, come la polvere sulle ali delle farfalle quando vengono strofinate.
Anche adesso, mentre sono sull'aereo che è appena decollato, il sole sta tramontando.
Si china per baciare Oìa, e il suo abbraccio giunge fino a Perissa, all'estremo opposto della mezzaluna di roccia nera.
Siamo in alto, e sembra lontano. Non si distinguono i colori delle case, solo il loro profilo a bassa risoluzione.
E' il sole che muore, e, mentre se ne va, diventa più intenso, e regala la stessa intensità, accecante e bella come un significato, a ciò che sfiora.
Come spesso succede negli addii - come in questo mio a Santorini.
Perché quando si dice addio si riescono sempre a rivedere le cose dall'alto.
E a dar loro un significato...

About author: Serena Chiarle
Analitica come stile di vita, e data scientist di professione. Introversa e fiera di esserlo, ho come arma preferita il sarcasmo. Viaggio spesso con il pensiero e ogni tanto anche dal vivo. Leggo per legittima difesa e scrivo con premeditazione di reato - oppure per evitare di commetterne. Bevo vino rosso, caffé senza zucchero, parlo con i gatti e fotografo tramonti. Amo le contraddizioni perché è così che funziona.
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