solitamente rispondo che so bene quel che fuggo,
ma non so quel che cerco"
(Michel de Montaigne)
Lasciamo perdere.
Lasciamo perdere i soliti discorsi, che tanto lasciano sempre il tempo che trovano, e alla fine non si possono nemmeno fare, perché sono talmente comuni a tutti che nessuno li vuole sentire. No, non lo so gestire lo stress - ma nemmeno conosco nessuno che ne sia capace. Chi? Un monaco buddista tibetano forse? Ma se vivessi in un monastero fra le montagne e facessi meditazione tutto il giorno nemmeno io sarei stressata, probabilmente. Magari un po' annoiata, ma è un problema mio.
E, lo so, va bene, bisognerebbe riuscire a costruire una vita da cui non si abbia mai bisogno di fuggire, e nemmeno di andare in vacanza.
Bisognerebbe.
Solo che non ho ancora ben capito come si faccia. Magari per la prossima ci riuscirò.
Nel frattempo, ogni tanto, fuggo.
Ovvero vado in vacanza.
Anzi, per la precisione viaggio.
Quasi mi basta l'idea, la prospettiva: comincia già nella pianificazione il suo effetto terapeutico - diventa un obiettivo a cui tendere, un sogno da sognare, una golosità da assaporare.
In giro l'atmosfera comincia a farsi vacanziera - era appena cominciato giugno: sono circondata da persone in partenza, da discorsi su settimane in Grecia ed alle Maldive - io vado un weekend a Trento, e ne sono parimenti esaltata.
Ho bisogno di staccare. Ho bisogno di un posto nuovo, di svegliarmi con un panorama diverso alla finestra, di qualcosa da scoprire, di un po' di bellezza e tranquillità.
E' tutto perfetto.
Me lo pregusto come un cioccolatino alla fine di un mese di dieta, il mio piccolo weekend perfetto.
Ci vado in treno - perché anche il treno è un po' come una terapia: ti culla, ti massaggia i pensieri e li lascia scivolare pian piano attraverso il finestrino, rimestandoli con il paesaggio che scorre via veloce - buttandoli fuori, come se non ti appartenessero più, e diventando più lineari e meno cupi nel momento stesso in cui cessano di appartenerti.
Leggo, ma sono distratta.
Dai miei pensieri che non mi appartengono più.
Alla stazione di Trento vedo un cartello che indica il treno per Malè.
Allora è proprio vero che queste sono le mie Maldive.
Davanti al piazzale della stazione ci sono giardini molto verdi e fioriti, con un'imponente statua di Dante Alighieri. Poi strade normali, che potrebbero essere ovunque.
E infine strade che potrebbero essere soltanto a Trento.
Medioevo e colori pastello mitteleuropei, dalle linee un po' severe ma accoglienti.
Il cuore di Trento sembra quasi un paese: intimo, raccolto, con strade pedonali lastricate in pietra grigia che si incrociano, portici che proteggono, angoli nascosti da scoprire - bellezza medioevale pulita e ben tenuta, in cui ci si aggira con piacere.
E terminato il giro si ha voglia di ripeterlo, di rielaborare l'itinerario modificando l'ordine, cambiando il punto di vista.
Ci si perde volentieri nel cuore di Trento - anche perché s'impara presto la geografia degli incroci e dei punti di riferimento: per cui perdersi diventa poi solo una scusa, un gioco ozioso per rimanere lì, rimescolare le carte, impadronirsi di questo piccolo incanto rimirandolo da ogni possibile angolazione, e scoprendo aspetti nuovi ad ogni giro di giostra.
Ci si perde - ma c'è un punto in cui si arriva sempre: la Piazza del Duomo, cuore del cuore, con il suo Nettuno che la domina in mezzo, in piedi sul suo trono-fontana, e tutte le cose belle che ci sono intorno.
Una basilica, quella di San Vigilio, bianca, austera. Una cupola che sembra una cipolla di ferro sul campanile e che ricorda senza possibilità di scampo le radici mitteleuropee di questo pezzetto d'Italia poco italiana. Leoni ieratici e colonne annodate che si nascondono sul retro. E' lunga, imponente - un unico blocco ripieno di misteri medievali sdraiato su un lato della piazza.
Sugli altri lati, macchie di colore: case e palazzi, dalle facciate variopinte ma sobrie, come una scatola di pastelli.
Alle loro spalle, ovunque, le montagne: roccia e verde che sembrano una corona, che rincorrono il cielo.
Questo è il cuore nel cuore perché qui è rinchiusa tutta l'essenza di Trento: il riassunto, la caption che rende bene l'idea, la cartolina da mandare.
Vado a dormire con addosso quella meravigliosa sensazione di stanchezza fisica e felicità che si ha dopo una giornata pienissima, ma di cose belle. Di testa svuotata e di libertà, di novità - che stupiscono e spingono a ricalcolare i confini dei propri schemi mentali.
E vado anche a dormire con la pancia piena di canederli, in bocca ancora l'acquolina del saporito connubio fra speck, burro e il boccale di birra Forst preso direttamente al loro birrificio.
Il mini-appartamento che ho affittato per questa notte è una mansarda piena di mobili rustici e foto color seppia alle pareti.
Il letto è infilato in basso, dove il tetto con le travi a vista si fa spiovente.
Dormo un sonno gustoso e chissà cosa sogno.
Non me lo ricordo ma direi che è qualcosa che mi lascia addosso una sensazione di benessere, che penso bene di voler accentuare con una fetta di strudel.
Ed un giro al Castello del Buonconsiglio.
I castelli medioevali sono la mia calamita, e mi aggiro, nel fresco delle sue sale. Ci sono anche le celle in cui furono tenuti prigionieri Cesare Battisti e gli altri irredentisti prima di essere processati e giustiziati.
Questo castello ha le sue pagine buie di storia - e anche una leggenda, che narra che un tempo si chiamasse Malconsiglio, e che diventò "Buon" quando i principi vescovi, che vi abitarono durante l'apogeo del suo splendore, riuscirono a scacciare le streghe che vivevano in una torre.
Forse le streghe in questione avrebbero una versione diversa della storia da raccontare.
Chissà.
Ci penso per un po', alle streghe e agli irredentisti, mentre sono in treno che torno a casa.
Ci penso ma poi smetto di pensarci, i pensieri scappano fuori sul finestrino.
Allora mi concentro per cercare di trattenere qualcosa che non è un pensiero, bensì una sensazione - questo benessere, questa libertà che ripulisce gli ingranaggi dentro di me e li fa funzionare per il verso giusto, in maniera armoniosa, costruttiva.
Vorrei poter riuscire a trattenerla ancora un po'.
Chissà se ce la farò.
Ma in ogni caso me la ricorderò.
Quando le fughe sono fatte per ritornare, l'importante è quello che poi ci si riesce a portare dietro.
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